Non è molto gloriosa la storia del fantasy al cinema. Almeno prima che uscisse in sala Il Signore degli Anelli: la compagnia dell’anello. È fatta di piccoli cult (Labyrinth, Willow) o progetti più grandi mai diventati dei veri successi (Legend), alcuni horror (Leprechaun) e in generale un’aura da prodotti per ragazzi troppo costosi per quel che rendono. Mai aveva avuto quella caratteristica che invece il fantasy letterario ha sempre posseduto, cioè il grande respiro, la costruzione di mondi, la strutturazione di società, storiografie e rapporti di forza politici e sociali simili ai nostri ma al tempo stesso deformati per essere più interessanti.

La compagnia dell’anello, tra le molte cose che ha fatto, ha anche importato questo al cinema, cioè che i mondi fantasy siano costituiti da rapporti tra razze e popoli diversi, di territori divisi, confini, reami, lotte per il potere, profezie e leggende accanto alla storia ufficiale e personaggi molto complicati. Lo ha fatto con la scrittura (quella che adattava Tolkien), lo ha fatto con la produzione (immaginando finalmente una saga) e lo ha fatto visivamente, creando mondi sporchi, molto concreti, in cui i personaggi hanno bisogni non troppo diversi dai nostri e in cui la dicotomia bene/male comincia ad essere sfumata.

Caratteristica del fantasy è avere cavalieri neri e cavalieri bianchi, cioè di presentarsi con un certo manicheismo quando si tratta di dipingere le attitudini dei personaggi, ma i migliori usano queste differenze come punti di partenza per sfumare i concetti.

viggo mortensen compagnia dell'anello

Tra la versione cinematografica di La compagnia dell’anello e la prima puntata di Il trono di spade ci sono 10 anni (2001-2011), non poco, ma inevitabilmente il secondo è figlio del primo. Anche se apparentemente hanno poco a che spartire. Pur essendo entrambi racconti fantasy (entrambi tratti da romanzi) il primo racconta un mondo da subito magico, permeato da forze oscure, mentre il secondo sembra fare di tutto per negarle il più a lungo possibile, confinarle, marginalizzarle e relegarle in ambiti circoscritti (e il bello è che lungo la serie il magico lentamente permea tutto come se fosse sempre stato lì anche quando non lo vedevamo). Ma se si riescono a mettere da parte differenze come questa e come l’approccio (e l’uso) del sesso, è chiaro che Il trono di spade porta avanti quel che La compagnia dell’anello aveva iniziato.

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Il gioco politico di Il trono di spade, la grande dialettica e lo scontro tra popoli viene dritto da La compagnia dell’anello (e non, per dire, dai successivi sfruttamenti di un altro classico fantasy come Le cronache di Narnia). Il mondo fatto di sporco sotto le unghie, fango e ranghi bassissimi come gli istinti che li dominano di Il trono di spade suona come l’esasperazione di quello di La compagnia dell’anello. Aggiungendo una componente inesistente in quei mondi, cioè il sesso, quella serie completa il cerchio e trova un modo suo di ritrarre gli stessi bisogni primari umani e come guidino la politica e le relazioni. Ma non solo, Il trono di spade è in un certo senso la storia della diaspora di una famiglia, in un altro è la storia di come una donna abbia scoperto la sua natura e guidato un popolo intero alla guerra. Entrambi questi temi implicano il viaggio, che è l’asse cruciale di Il signore degli anelli. Visivamente poi, nonostante le grandi differenze di budget tra una serie tv e un film, Il trono di spade da subito aveva trovato la capacità di differenziare mondi, nazioni, popoli e regni, in modo che l’impressione di varietà e ampiezza data dalla sua sigla si trovasse anche all’interno degli episodi.

il trono di spade

Se sembra tutto molto scontato e parte di quello che poi il fantasy è per natura, si pensi di nuovo a cosa fosse in precedenza quel genere al cinema, si pensi per l’appunto a Labyrinth, Legend e Willow. Film o ambientati in un posto solo, in cui non c’era bisogno di mitologie, grandi mappe e l’impressione di mondi sconfinati, oppure in viaggio e con creature diverse ma senza riuscire mai a creare l’impressione della varietà e del contrasto tra culture e popoli differenti. Film in cui la politica, i rapporti tra regni, le convenienze e lo scontro ideologico non erano mai il cuore del racconto. Film in cui la parte più gretta e terrena dei bisogni umani non guidava mai l’azione ma semmai a farlo erano i valori più alti. L’opposto di Gollum e della sua centralità e l’opposto degli antieroi di Approdo del Re.

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L’asessuato La compagnia dell’anello ha creato negli spettatori (e soprattutto nei produttori) la consapevolezza che un racconto sovreccitato, come quello che ha poi animato Il trono di spade, poteva essere popolare, amato e soprattutto seguito attraverso gli anni. Quello che non era scontato (ma che, ad essere onesti anche altre saghe filmiche e altre serie tv stavano dimostrando) era che gli intrighi di mondi lontani con nomi assurdi che sembrano tutti uguali, potevano essere seguiti anche di anno in anno. A grande distanza. Se Il Signore Degli Anelli era stato seguito lungo tre anni, Il trono di spade poteva fare lo stesso e per più tempo ancora. Soprattutto, poteva spostare in alto l’asticella del raccontabile e avvicinare più di tutti l’audiovisivo alla letteratura.

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