Il cinema ha ancora bisogno di John Williams!

Non tutte le note hanno la stessa importanza. Soprattutto non quando si compone una colonna sonora. Ci sono dei momenti in cui la musica deve fare da sottofondo alle immagini, scomparire e non rubare la scena. Oggi le cose funzionano così: gran parte dell’accompagnamento è suoni, rumori, archi sfregati con frenesia per simulare la tensione o il senso di fretta. Note trascinate e indolori che non sanno immaginare. La musica semmai deve essere paziente e aspettare il suo momento, in scene madri struggenti verso l’inizio del terzo atto di un film o nei titoli di coda. 

Avete mai notato che, ascoltando una colonna sonora su disco, generalmente i brani migliori sono il primo, l’ultimo e quello a tre quarti? Tema, end credit, e scena emozionante verso la fine. Un teorema che non sbaglia quasi mai se non fosse che… non è affatto vero. O meglio, non lo è mai quando alla colonna sonora c’è John Williams. Non lo è quando chi compone può scegliere e può avere parola sulle questioni artistiche, sui significati e sulle emozioni dei film.

Il leggendario compositore ha annunciato qualche giorno fa che la colonna sonora di Indiana Jones 5 sarà il suo ultimo lavoro per il cinema. Attenzione, questo non significa che ha chiuso con la musica, anzi, nei suoi progetti c’è anche la direzione della Filarmonica della Scala. Inoltre si dedicherà alla composizione di musica da concerto tra cui quello per pianoforte che sta scrivendo per Emanuel Ax.

John Williams si riposa… lavorando meno

Tempo di rallentare quindi, all’età di 90 anni, e dedicarsi solo a progetti di piacere che richiedono meno tempo. Una scelta comprensibile e un ritiro meritato. Ha attraversato intere epoche e correnti della storia del cinema, ha creato i temi più memorabili e popolari di sempre. Impossibile dire un numero, non stanno nemmeno sulle dita di due mani! Ha contribuito, insieme a tanti altri compositori (tra cui il nostro Ennio Morricone) a nobilitare la musica per il cinema. È stato sempre a servizio dei film e nelle sue colonne sonore più ispirate tutto quello che abbiamo detto prima non si è mai verificato: ogni nota ha avuto un peso, ogni tema la stessa importanza rispetto al supporto da dare alla storia. Anche nei momenti in cui il tappeto sonoro avrebbe dovuto fare da accompagnamento, Williams ha trovato il modo di potenziare il lavoro del regista.

Lo squalo: la sua colonna sonora altro non è che il graduale avvicinarsi del pericolo invisibile, come se gli strumenti musicali fossero sott’acqua e noi su una piccola barca. Jurassic Park: il suono della meraviglia, una colonna sonora quasi infantile per quanto carica di entusiasmo. Star Wars: in cui ogni cosa ha un tema, in cui sembra di ascoltare marce classiche, ma intanto ci si ritrova nell’immaginario acustico di una galassia lontana lontana. E ancora Harry Potter, con un tema così semplice, quasi ingenuo, eppure magico. Lo affida ad Edvige, che porta l’incanto nella casa e nella storia, e per estensione lo rende il simbolo di un nuovo mondo. Si potrebbe andare avanti così, toccando anche i brani meno noti o le colonne sonore meno ispirate: c’è sempre un pensiero dietro, un’idea di regia chiara.

John Williams
John Williams ha scritto anche il più importante tema del cinema di supereroi di sempre

Cosa può dare ancora al cinema?

Allora John Williams va in pensione dal cinema, ma oggi abbiamo bisogno di lui più che mai. Non che manchino le belle colonne sonore o le idee innovative. Alexandre Desplat e Michael Giacchino sono dei compositori eccelsi, che usano la colonna sonora in senso classico esaltando la bellezza musicale. Hans Zimmer e i suoi sperimentano con l’elettronica, creano esperienze sonore importanti, avvolgenti, che mettono a dura prova gli impianti dei cinema (si ascolti Dune). Ludwig Göransson è la grande novità, colui che coniuga bene sperimentazione con un approccio rigoroso, non sono da meno Hildur Guðnadóttir o il compianto Jóhann Jóhannsson.

Finalmente, dopo aver regalato i suoni diversi ed etnici di Re della terra selvaggia ci si è ricordati di Dan Romer & Benh Zeitlin (quelli di Luca e A Chiara sono due bellissimi accompagnamenti). Danny Elfman è costante, Alan Silvestri è ritornato potente come un tempo, e James Newton Howard riesce ancora a stupire. 

Allora dove è il problema?

Ai molti talenti serve ancora una guida autorevole, un modello con cui rivaleggiare e a cui aspirare

Il punto debole di tutti questi nomi sta nella capacità di essere potenti con il proprio nome, di riuscire a costringere i registi a pensare che le immagini hanno dietro anche una colonna sonora. Sono grandi lavoratori, artisti che sanno il fatto proprio, eppure sono raramente considerati come parte integrante del successo di un film. John Williams invece è tuttora un maestro indiscusso in questo. Basta ascoltare i suoi ultimi lavori su Star Wars. Non le sue opere migliori, ma che freschezza! Lui non è un compositore, è un regista della musica. Cioè uno che gira un film senza avere bisogno di immagini. Può farlo perché glielo lasciano fare.

Con la sua prima apparizione il tema di Rey racconta della ragazza molto di più di quanto non facciano le immagini. Non ci svela certo il suo passato anche se, ascoltando bene sia il tema di Rey che quello dell’Imperatore (con il x2) si possono trovare dei rimandi forse non casuali.

Però John Williams fa ancora di più: definisce caratterialmente Rey. Un tema giovane, avventuroso, con lo sguardo lungo, agile, ma con una recondita cupezza. Allo stesso modo Duel of the Fates era un dialogo in musica, uno scontro di note, un duello che si prende il suo spazio nella scena. La ingrandisce, conferisce peso, e infine fa volare le immagini dietro agli strumenti musicali. Sembra diretto da John Williams il montaggio di quella scena. Perché ha capito il film, perché sa dove vuole portarlo.

E noi piangiamo con lui mentre le sue note piangono in Schindler’s List. Messe sul pentagramma come se ci concedesse il suo dolore. E noi voliamo con lui, insieme ad E.T. Con qualche sobbalzo dello stomaco, con la vertigine che sembra trascinare a terra, e invece si va sempre più su, andando anche un po’ giù per poi risalire ancora. E nessun regista è mai stato geloso di questa seconda mano sulla storia. 

John Williams ha fatto scuola, ma pochi riescono a lavorare come lui

Non si possono fare cose così se si è costretti a fare i conti con la musica temporanea. Quella che si usa per montare la scena e che il compositore deve seguire grossomodo per creare il suo brano. E non si arriva a quel livello senza avere il tempo, i mesi, per comporre, sperimentare, e sbagliare per giungere infine ai capolavori. Il talentuoso Michael Giacchino è stato costretto a scrivere la colonna sonora di Rogue One in 4 settimane contando la registrazione, John Williams compose il primo Star Wars in 8. Ed era già stato velocissimo, dato che il più delle volte il suo tempo di ideazione arriva a 3 mesi.

Certo, si possono scrivere meraviglie in poco tempo, se presi dall’ispirazione. Il concetto è però un’altro: al cinema servono ancora nomi autorevoli, persone che si mettano a fianco del regista e che vengano considerate quasi di pari importanza nella riuscita finale. E poi, magari, che aiutino gli altri compositori ad avere lo stesso status. Damien Chazelle lo fa con Justin Hurwitz e poi chi altro?
Serve tempo per bilanciare l’aspetto visivo con quello sonoro. Serve budget per non relegare la musica a un accessorio finale, magari foriero di qualche hit pop giusto per entrare in classifica.

Abbiamo ancora bisogno di John Williams perché oggi i film non si ascoltano quasi più. Occorre ancora dimostrare che la musica deve sapere immaginare un mondo, che ora il suono non è una colonna a margine del fotogramma ma può stare al centro. Serve perché i suoni e la musica siano ancora distinti, se non quando l’unione delle due cose ha un senso.

Caro John Williams non lasciare il cinema; perché è chiaro che i grandi compositori ancora guardano a te come una guida, un professionista che ha domato l’industria, un modello a cui aspirare. 

Ma ancora nessuno è diventato come te.

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