La carriera di Wes Craven è stata lunga e ricca di soddisfazioni (e qualche delusione), ma solitamente viene ricordata per due fasi in particolare: quella degli esordi, dove ha infilato un capolavoro dopo l’altro contribuendo insieme a una manciata di altri nomi a ridefinire l’horror, e quella post-Scream, il suo ritorno alla forma dopo aver accarezzato l’idea di mollare del tutto il genere (come raccontava qui) per dedicarsi ad altro. Eppure, con tutto l’amore infinito per Le colline hanno gli occhi e Nightmare, è possibile che il suo film migliore sia arrivato in mezzo tra queste due fasi, in un momento di passaggio; e se non concordate con “migliore” non potrete negare che La casa nera è quantomeno l’opera più interessante e provocatoria di Wes Craven, e quella che più di tutte punge ancora oggi, come se non avesse appena compiuto trent’anni.

Abbiamo appena perso mezz’ora a cercare traccia in Rete di una notizia ma ci dichiariamo sconfitti: la leggenda dietro La casa nera vuole che il film sia stato ispirato a Craven (che l’ha scritto oltre che dirigerlo) da un fatto di cronaca avvenuto a Los Angeles nel 1978: due rapinatori entrarono nella villa di una ricca coppia e ci trovarono, oltre a un sacco di soldi, anche due bambini rapiti e tenuti prigionieri in cantina. Come detto non siamo riusciti a trovare testimonianza di questo specifico episodio, ma ci fidiamo di Craven, anche perché il punto non è il dettaglio sull’accaduto, ma l’idea che ci sta dietro.

 

La casa nera Fool

 

L’idea, cioè, che dietro la facciata di perfezione di una certa America ricca, benestante, benpensante e profondamente conservatrice si nasconda del marcio, la cui estensione è direttamente proporzionale a quanto la superficie sia scintillante. L’idea, anche, che l’America fosse uscita dagli anni Ottanta e dal reaganismo in condizioni pietose (la stessa cosa che aveva detto Carpenter tre anni prima in Essi vivono): con una fetta di popolazione troppo povera per potersi pagare un tetto sopra la testa e un piatto caldo, e un’altra, più ristretta ma più potente, che aveva fatto dell’accumulare (soldi, oggetti costosi, beni, proprietà) la propria unica ragione di vita.

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La casa nera è un film del 1991 che ha come protagonista un tredicenne nero, Poindexter detto Fool, che, per pagare l’affitto e le cure alla madre malata di cancro e priva di assicurazione sanitaria come chiunque abiti nel ghetto, decide, con la collaborazione di un paio di amici adulti e poco raccomandabili, di provare a impossessarsi della collezione di monete rare nascosta nella casa della famiglia Robeson – una coppia ricca sfondata, reclusa e proprietaria di gran parte dei palazzi del quartiere, ghetto compreso. È fin dal principio un film che parla di lotta di classe e che si posiziona senza alcun dubbio dalla parte degli oppressi, e gioca poi per un’ora e mezza con i rapporti di potere tra le due categorie – un po’ come farà tanti anni dopo Parasite, se ci passate il paragone.

 

Fool

 

Paragone che forse non è nemmeno troppo azzardato: come la coppia nel film di Bong, anche quella di La casa nera nasconde, come suggerisce il titolo originale, della gente in cantina. E come nel film di Bong (e in quell’episodio di cronaca che ispirò Craven), a scoprire il loro rosario di orridi segreti è gente che era entrata in casa loro per commettere un crimine dettato dalla disperazione, e che si trova davanti a svariati crimini molto più grandi, e dettati da una visione del mondo distorta e deformata fino a diventare irriconoscibile. È uno home invasion al contrario, come di recente se ne vedono sempre più spesso tra l’altro, da Man in the Dark all’ancora inedito da noi (e bellissimo) Bloody Hell. Ed è intriso di politica in ogni fotogramma, programmatico come se dietro ci fosse Jordan Peele.

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Il giochino dei paragoni con opere e autori contemporanei ci serve per ribadire un concetto: al netto di certe inevitabili differenze legate al fatto che sono passati trent’anni (e che nel 1991, per esempio, non esistevano gli smartphone), La casa nera è un film che potrebbe essere stato scritto e anche girato l’altroieri. È un horror violentissimo e crudele, che raggiunge picchi di sgradevolezza che Craven non toccava da tempo. È una satira sociale altrettanto pungente, e che rifugge peraltro ogni tentazione di benaltrismo: è chiaro fin dall’inizio chi sono i buoni e chi i cattivi in questa vicenda, e la valutazione morale non ha nulla a che vedere con quello che direbbe la legge – non è un caso che (piccolo spoiler) i due adulti che accompagnano Fool vengano fatti fuori quasi subito, e la storia di una rapina andata a male trasformata nell’avventura di un oppresso per liberare un’altra figlia dell’oppressione dalle catene del conservatorismo che la tengono imprigionata tra quattro mura.

 

Mamma pazza

 

Conservatorismo che viene ulteriormente preso in giro e parodizzato nel modo in cui Everett McGill e Wendy Robie (che ritornano coppia su schermo dopo esserlo stati in Twin Peaks un anno prima) danno vita ai loro “Mommy” e “Daddy”; gente che corregge a bacchettate il modo in cui la figlia sta seduta, ma che di notte, lontano dagli occhi giudicanti del resto del mondo, si veste di pelle e borchie e si abbandona ai piaceri del sadomaso. Gente che dedica più affetto al proprio cane di razza che alla propria bambina; che agisce spinta da motivazioni assurde, eppure totalmente logiche, e soprattutto coerenti con tutto il resto della loro personalità. Molta critica al tempo dell’uscita del film si affannò a spiegare come non si trattasse di un horror, o quantomeno non solo; ma il fatto che la coppia antagonista sia un concentrato di puro male senza possibilità di redenzione alcuna sposta La casa nera decisamente in territori di genere.

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Satirici, con toni da commedia qui e là, e persino un pizzico di avventura in stile Goonies, tra trappole, trabocchetti e passaggi segreti. Ma pur sempre horror, di quell’orrore appiccicoso e disturbante che ti rimane addosso anche dopo la visione; e che ti spingerà a guardare con occhio nuovo la villa dei vicini miliardari la prossima volta che ci passerai davanti. Funzionava così nel 1991, funziona ancora così nel 2021: chiediamoci anche come mai in trent’anni non sia cambiato nulla o quasi.

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