Da uno scherzo virale al primo film, Host, fino a un contratto di tre film con la Blumhouse. L’incredibile storia di Robert Savage.

Quella del found footage sembrava una moda ormai tramontata. Dopo un decennio di grande successo, con film come Cloverfield, Paranormal Activity e [Rec], il mondo horror si è nutrito in abbondanza della tecnica fino ad esaurire le risorse creative. Con la pandemia molti registi hanno deciso di confrontarsi con le limitazioni imposte dai lockdown e trovare nuove vie creative. Ci ha provato Netflix con Homemade, i 17 corti d’autore prodotti in casa, così come Bo Burnham con Inside. Nell’ambito delle micro produzioni sono rinati i desktop movie, tramutatisi ora in “Zoom movie”. Ovvero le storie viste dallo schermo di un computer durante una videochiamata.

Host, di Rob Savage, fu uno dei casi più clamorosi di questo genere di film. Ottenne sia un inaspettato boom di popolarità sulla piattaforma Shudder che un alto consenso critico. Uno dei rari film che il regista stesso definisce come “migliori se visti su un computer a casa” proprio perché si svolge tutto sullo schermo di un portatile.

Savage non ha imbarazzo a definirsi un “approfittatore della pandemia”, dato che è uno dei pochi artisti che è riuscito a farsi conoscere proprio grazie alla disastrosa situazione.

Dopo il passaparola generato da Host tra gli appassionati horror, il regista è riuscito a ottenere un importante contratto di produzione con la Blumhouse. Insieme realizzeranno tre film. Il primo a rientrare in questo pacchetto è Dashcam, presentato al London Film Festival. Il concept artistico è simile a quello di Host: girato prevalentemente dagli attori con iPhone e luci naturali, lo sviluppo della trama si basa su un canovaccio e l’improvvisazione nelle scene. Una tecnica consolidata la prima volta dal classico The Blair Witch Project e spesso adottata dagli horror con ambizione di immersività e realismo.

Ma come si costruisce un film in grado di lanciare una carriera nel momento più sbagliato? Quasi per caso, racconta Rob Savage. Prima di Host ci fu uno scherzo molto elaborato ripreso e messo online, che potete vedere di seguito.

 

Pochi giorni dopo essersi trasferito in un nuovo appartamento, un anno prima della pandemia, Savage iniziò a sentire degli strani rumori da sopra la sua stanza da letto. Lo spunto ideale per un macabro scherzo ai propri amici. Collegati su Zoom le inconsapevoli vittime hanno seguito Savage alla ricerca delle cause del rumore. Ovviamente il filmato che vedevano era un premontato, mischiato con la sequenza finale di [Rec], il succitato horror di Jaume Balagueró e Paco Plaza. Il ragazzo si avventura in soffitta con una piccola torcia e il cellulare. Fa una panoramica del luogo fino a quando una strana creatura non lo assale all’improvviso e lo uccide.  

Lo scherzo è stato registrato con le reazioni degli amici in tempo reale. Savage l’ha recuperato e messo online poco dopo l’inizio del lockdown diventando virale. Man mano che la clip si rimbalzava tra i vari siti e le piattaforme social, gli utenti iniziavano a chiedere di espandere l’idea in un lungometraggio. Lo produssero così in fretta e furia per Shudder, servizio dedicato alle opere dell’orrore, con un budget di 100.000 dollari e come protagonisti le stesse persone della clip. Ci misero tre mesi per realizzarlo, chiudendolo due giorni prima della release e caricandolo sulla piattaforma senza nemmeno avere il trailer. 

La “fortuna” di Host è stata quella di catturare lo zeitgeist del periodo, rendendolo quasi un film a scadenza nel suo impatto emotivo. Raccontò la paura della pandemia e, grazie anche a una durata di poco meno di un’ora, venne divorato dal pubblico. Il suo successo è servito a mettere in buona luce il regista attirando l’attenzione della casa fondata da Jason Blum, produttore sempre alla ricerca di strategie originali per ottimizzare l’investimento in una pellicola. 

Dashcam, il nuovo film, seguirà due amici in diretta lungo un viaggio di terrore. È questa l’opera che il regista avrebbe voluto girare prima della pandemia e prima di Host, senza essere mai riuscito trovare i finanziamenti. La produzione resta piccola. Ha il grande vantaggio di fare affidamento a pochi personaggi e di essere girato con una troupe agile, così da limitare le spese e i limiti delle rigide regole imposte dai protocolli sanitari. “Host era un film che raccontava come ci si sentiva durante il lockdown del 2020” ha detto il regista “Dashcam fa lo stesso ma in un modo diverso. Cerca di raccontare come si sentono e come interagiscono tra di loro le persone in questi tempi”.

La pandemia potrebbe rilanciare così una nuova declinazione del found footage, facendoci ripensare alla quantità di immagini reali e “live” a cui siamo sottoposti. Un genere morto che risorge dalle sue ceneri per proporre una rilettura della realtà. Ovviamente con la lente affascinante e deformante dell’horror. 

Fonte: Hollywood Reporter

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