A Classic Horror Story, il film di Roberto De Feo e Paolo Strippoli, si diverte a citare i classici topoi narrativi del cinema dell’orrore. Non è in alcun modo uno spoiler dato che s’intuisce con una certa semplicità già dal trailer del film che potete vedere o rivedere in questo nostro articolo. E in mezzo ai vari topoi non poteva di certo mancare quello della casa sperduta in mezzo a chissà dove all’interno della quale viene fatto chissà cosa.

Di case abbandonate e inquietanti l’Italia è letteralmente piena zeppa. Magari ne avete qualcuna pure nei paraggi della vostra residenza: un edificio o una villa nella campagna dei dintorni in cui, fin da quando eravate piccoli, vi veniva detto di non andare perché “lì succedono cose strane”. A prescindere che vogliate o meno indulgere in suggestioni che hanno a che fare col paranormale o, peggio, col pericoloso ritualismo accennato già dal trailer di A Classic Horror Story, è innegabile che l’esplorazione di caseggiati come quelli sia un’attività in grado di appagare la curiosità di chi decide di cimentarsi in questa attività. Un hobby questo che, ormai da tempo, ha una sua categorizzazione ben precisa: Urbex, esplorazione urbana.

Ed è per questo che, in occasione dell’uscita su Netflix di A Classic Horror Story abbiamo deciso di parlare di tetre magioni abbandonate insieme ad Alessandro Tesei, videomaker, fotografo, documentarista e autore per Le iene. Tesei, marchigiano, è il fondatore di Ascosi Lasciti, sito che, da una decina d’anni, è diventato il punto di riferimento principale degli Urbex Italiani.

 

A Classic Horror Story

La casa di A Classic Horror Story

 

Quando hai cominciato a interessarti all’urbex e quando hai deciso di dare il via ad Ascosi Lasciti?

Penso che l’interesse verso i luoghi abbandonati sia un qualcosa che tutti noi abbiamo un po’, che ci portiamo dietro e non è neanche tanto legato al luogo abbandonato in sé e per sé, ha a che fare col fascino della scoperta che è qualcosa d’innato nell’essere umano. Il ragionamento è un po’ più complesso: il luogo abbandonato diventa l’ultima ancora di salvezza per il curioso nei tempi in cui viviamo in cui tutto è a portata di click, tutto è Googlabile, tutto è facilmente rintracciabile. Se voglio andare a Cracovia prima me la posso guardare tutta con Streetview anche se non c’ho mai messo piede. Nei nostri tempi, il fascino della scoperta è venuto un po’ a mancare, la possibilità di restare a bocca aperta per qualcosa che non ti aspettavi. Il luogo abbandonato viene in soccorso di questa necessità, che penso sia proprio umana, di vedere, di scoprire. Che è anche un po alla base dell’archeologia se ci pensi no? La scoperta, fatta con tutta una serie di studi e tecniche – e non voglio assolutamente paragonare l’Urbex all’archeologia, non sia mai – di qualcosa che non c’è più. Però, fondamentalmente, sono entrambe figlie dello stesso pensiero: la voglia dell’uomo di scoprire e, soprattutto, di riscoprire le sue tracce, le sue vestigia. È questo che mi lega ai luoghi abbandonati. Poi bisogna anche dire che l’Urbex, in sé e per sé, significa “esplorazione urbana” e il luogo abbandonato è esso stesso un elemento dell’arredo urbano. Per me è esplorazione urbana anche il ritrovamento fortuito di un piccolo museo di paese che magari è un gioiellino e nessuno conosce. È un po’ come una deriva situazionista: ti perdi nello spazio urbano cercando di fare percorsi non convenzionali, non battuti, lasciandoti guidare dal caso, dalle intuizioni che ti vengono in soccorso. È questa per me l’esplorazione urbana, un qualcosa che tutti dovremmo provare. Perché cambia il tuo modo di vedere il paesaggio, gli spazi, cambia il modo anche d’innamorarsi del nostro territorio. Lo abbracci nella sua interezza e non solo nella funzionalità dello spazio urbano, che è legato a quelle che sono le nostre necessità pratiche quotidiane in cui il resto diventa una sorta di contorno in cui lo spazio abbandonato non è contemplato perché privo di utilità. Non venendo né visto, né percepito. Per come la vedo io è un po’ questa la summa dell’Urbex come la intendo io.

E come si sono sviluppati il sito di Ascosi Lasciti e la community social?

Il sito è nato nel 2011 o nel 2012, non ricordo esattamente l’anno. Forse più 2012. Nasce come progetto personale perché volevo cercare di non disperdere quelle emozioni che provavo all’interno di questi luoghi e di formalizzarle. Un tentativo naif se vogliamo di dare vita a un blog. Raccontavo, fotograficamente e con un minimo di testo, queste incursioni nei posti abbandonati riportandone anche la storia per quello che, ieri come oggi, era possibile farne. Senza divulgare l’esatta ubicazione del luogo – e dopo arriveremo anche al punto del perché noi esploratori urbani siamo così gelosi, fieri e fissati sul non divulgare le coordinate dei luoghi che ritroviamo. Insomma, nasce come un progetto personale. Poi, piano piano, grazie a tutta una serie di situazioni fortuite e anche d’incontri casuali, si è creata questa community, tanto che ora Ascosi Lasciti vive di vita propria, non riesco neanche più a seguire le pubblicazioni. Ci sono i gruppi regionali, quelli dall’estero, Svizzera, Slovenia e Portogallo soprattutto, il Belgio. Fondamentalmente l’unico posto dove siamo un po’ scoperti è la Gran Bretagna e l’Irlanda, lì non abbiamo nessuno.

Che poi è strano considerato la quantità abnorme di posti strani che hanno, tanto nel countryside quanto nel cuore stesso di una metropoli gigantesca come Londra.

No, ma ci sono sicuramente, conosco anche personalmente alcuni esploratori inglesi, ma non si riesce a collaborare, stanno molto sulle loro. Comunque è una cosa che si è trasformata da progetto personale a progetto collettivo e anche un’associazione, visto che da circa un anno, abbiamo fatto questo passo ulteriore diventando associazione con uno scopo ben preciso, ovvero quello di parlare con le istituzioni per dialogare con gli spazi abbandonati che si trovano sul territorio.

Che si tratti di andare a cercare posti nelle città o in scenari extra urbani, possiamo dire che “fare Urbex” sia anche un po’ un hobby “da film horror”?

Sicuramente in questi luoghi, specie se parli di ville dove c’è una forte componente intima che chiaramente nella discoteca o nella fabbrica abbandonata magari non trovi, non ti comunicano le stesse cose, la stessa sensazione di una villa… Un edificio come quello presuppone che ci siano state delle vite vissute al suo interno, delle famiglie, delle storie che si sono intrecciate ed è chiaro che c’è una componente emotiva molto più forte anche in questo entrare nella vita di altri.

Anche perché poi, scusa se intervengo, mi è capitato di vedere anche sul gruppo Facebook degli scatti di case che sembrano come essere state abbandonate quasi improvvisamente, da un momento all’altro. Come una fuga improvvisa.

Sì, è vero. Le chiamiamo le capsule del tempo. Sono posti abbastanza rari da trovare perché presuppongono proprio di non essere ancora stati scoperti prima del nostro arrivo. Venti, trenta, o dieci anni, dipende dal luogo. Lontani dalle mani di sciacalli, antiquari, vandali e via dicendo. In media ne trovi uno ogni quindici, venti che scovi. E sono luoghi anche abbastanza difficili perché sono situati all’interno di centri storici, e il fatto di stare in centri urbani, in qualche modo più controllati, ha permesso a questi posti di restare intatti. Ville in campagna, ancora in quel modo, se ne trovano, ma sono davvero molto, molto rare. Effettivamente questi luoghi danno la possibilità di riflettere e provare delle sensazioni molto forti. Poi è chiaro: io personalmente sono scettico, non sono superstizioso, sono ateo e non credo a dimensioni altre, al sovrannaturale, però non nego che la suggestione gioca degli scherzi, ma anche l’emotività. Alcuni di questi luoghi sono davvero molto particolari proprio per quello che ci trovi: puoi trovare una lettera scritta da un bambino alla madre, puoi trovare un vestito da sposa in un armadio, puoi trovare dei libri, delle medicine che ti fanno capire cosa poteva avere la persona che aveva abitato lì e come potrebbe essersene andata. Tutti fattori che mettono in moto delle emozioni, suggestioni che poi ti fanno pensare “Ma non è che qua dentro c’è ancora ‘qualcosa’?”. Fortunatamente, almeno nel mio caso, poi la razionalità vince, però nessuno è indenne da questo tipo di pensiero a mio avviso.

Parlando pane al pane, vino al vino, io me la faccio sotto, ma non riesco a evitare di andare a curiosare. Ho cominciato a 10 anni, c’era una casa molto vecchia, lugubre e disabitata ad Ancona, non dirò dove anche perché poi è stata ristrutturata e ora è abitata. Sembrava la casa della famiglia Addams. Ciclicamente, muravano la porta e le finestre del piano terra perché li dentro, la notte, poteva capitare che c’entrassero delle persone. A fare cose poco chiare. Ogni tanto si trovava qualche bestiolina, qualche gattino ammazzato per fare qualche rito poco raccomandabile. Ecco, una volta mi sono fatto coraggio, di giorno, e ci sono entrato. Diciamo che ho visto cose poco rassicuranti specie in materia di simbologie esoteriche.

Hai fatto bene a fare questa parentesi perché hai toccato un punto molto importante: questo tipo di curiosità spesso si perde col passare degli anni. Questa intuitività e incoscienza se vogliamo. È tipica del ragazzino che va a ficcarsi in posti dove non dovrebbe andare. Però, mano a mano, solitamente va un po’ ad attenuarsi crescendo. In realtà, per me, si tratta di una delle parti più importanti dell’essere umano, una curiosità che andrebbe mantenuta anche in età adulta.

Ma infatti. Che poi è così che faccio quando vado a fare qualche esplorazione con la mia compagna, esplorazioni del tutto non pianificate perché magari stiamo facendo una gita nel nostro amato centro Italia fra Marche e Umbria dobbiamo andare dal punto A al punto B, magari mentre guido trovo una stradina che devia dal percorso ed eccoci in un qualche luogo isolato, solitario.

E certo. È questo il succo dell’esplorazione urbana. La ricerca, il fatto di andare a verificare tutto ciò che, del tuo territorio, non conosci. L’andare fuori dalle strade solitamente battute.

Partendo da un posto che possiamo citare direttamente senza contravvenire alle regole di riservatezza Urbex perché ben conosciuto da tutti noi che stiamo qua in provincia di Ancona, Villa Montedomini a Castelferretti, raccontami di qualche magione inquietante che ti è capitato di visitare.

Sì, sì, dopo te ne dico anche un’altra che si può citare esplicitamente.

Benissimo. Comunque, Villa Montedomini. Io non c’ho mai messo piede principalmente perché so che è pericolosa dal punto di vista strutturale. Però tutti noi che abitiamo qua intorno sappiamo delle tante storie di apparizioni e riti che la circondano.

Villa Montedomini è sicuramente una sorta di entry level per chi è interessato all’Urbex nella nostra zona, per chi vuole andare alla ricerca di posti abbandonati “barra” infestati, anche se non condivido molto l’impiego di questa terminologia. È in stato d’abbandono da tantissimo tempo, io sono dell’ottanta e me la ricordo in disuso fin da quando ero piccolo. Ha la caratteristica di questo viale in salita, con i cipressi sui lati che parte proprio dal cimitero di Castelferretti. Quindi, comunque sia, come location cominciamo già “bene”, no? Hanno costruito il cimitero lì sotto, parte il viale alberato e arrivi alla villa. Che poi è uno degli ingressi, ce ne sta anche uno meno pittoresco, ma meno interessante. Non nego che, nel corso degli anni, l’ho visitata varie volte, anche lì, la suggestione ha giocato un ruolo molto importante. Ho ancora il ricordo di torce che si spegnevano da sole, situazioni strane per così dire. Ma ero molto piccolo, parliamo di 25 anni fa, quindi ho dei ricordi un po’ oscuri su quel luogo. Dal punto di vista della struttura, come dici anche giustamente tu, non ha nulla da offrire, non ha quel fascino della decadenza perché è stata completamente smembrata e deturpata. Trovi scritte con le bombolette, addirittura hanno rubato i lastroni di marmo delle scale, sono diventate delle rampe. È un posto pericoloso, privo di manutenzione e a rischio crollo. Non è sicuramente un posto da vedere se sei un amante della bellezza decadente, ma sicuramente se sei un amante di storie particolari proprio perché di leggende ce ne stanno diverse. Quella che ho sentito più volte ha a che fare col pozzo dove, secondo queste storie, durante l’occupazione nazista venne impiegata durante la ritirata delle loro truppe come una sorta di quartier generale momentaneo per via della sua posizione importante posta sopra un rilievo offriva una buona vista… Comunque tornando al pozzo, si dice che lì ci gettarono diversi bambini. E c’è chi dice di aver sentito questi gemiti, questi lamenti provenire da lì. Poi si racconta anche la storia di questo conte che ci viveva e fece un patto col diavolo e, il giorno dopo, spuntarono come per magia due palme nel giardino della villa che avevano un significato che ora mi sfugge, anche se questa è molto meno popolare rispetto a quella del pozzo e dei nazisti. Di certo è un posto molto spettrale, anche senza addentrarsi all’interno. Ha quel look della casa stregata.

Qua sotto potete vedere qualche foto di Villa Montedomini scattata dall’Urbex Francesco Coppari. Trovate le altre in questo blog post su Ascosi Lasciti.

 

 

L’altra che può essere citata?

È una villa che si trova a Senigallia. È appena nella periferia ed è una villa molto interessante, si trova all’interno di un parco in condizioni strutturali decisamente migliori di villa Montedomini. Apparteneva alla famiglia papale dei Mastai – Ferretti, fra l’altro proprietari anche della villa a Castelferretti. All’interno di questo parco c’è anche un mini ospedale che non ho mai capito se fosse per psichiatrici o tubercolotici. Propendo più per la seconda ipotesi visto che in un’ala di questo ospedale ci sono dei forni che, normalmente, venivano impiegati per ardere i cadaveri degli ammalati per evitare contagi. È molto bella e anche qua ci sono vari leggende: si narra di ragazzini che giocano all’interno di questa villa, bambini vestiti in abiti non molto contemporaneo, e che chiacchierano addirittura con chi si addentra al suo interno. Pure qua ci sono delle simpatiche leggende, anche se la pericolosità maggiore si deve al fatto che ci sono dei pozzi ad altezza terra, quindi invisibili. Bisogna prestare attenzione, parecchia. Queste, per noi marchigiani, sono di certo le più vicine, quelle con cui è più agevole confrontarsi.

E da altre parti?

Una delle più famose è di sicuro Villa de Vecchi, un grande classico. Un posto completamente devastato, abbandonato. Sai, con le ville buona parte del fascino più che dalla conservazione in sé arriva proprio dal senso di spettralità. Posti spogli, devastati, che sono così da tanto tempo e danno adito a una caterva di leggende. Posti così in Italia ne abbiamo davvero una valanga e, non potendo dire il nome o l’ubicazione, diventa anche complicato parlarne. Spesso su Ascosi Lasciti abbiamo fatto classifiche sulle Ville o castelli più infestati e spesso, in queste classifiche, ci sono posti collegati a svariate leggende. Mentre parlo con te sfoglio anche l’archivio del telefono per rinfrescarmi la memoria e mi è venuto in mente un altro luogo, che è anche questo nelle Marche, in cui, in un paio di mie foto che ho anche pubblicato sul sito… ecco in questi scatti, senza che me ne accorgessi, compaiono delle cose un po’ strane che mi sono state fatte notare poi dagli utenti. Sembrano delle macchie di fumo su alcune foto (ecco il link all’articolo dove sono visibili le foto). Io all’epoca non fumavo. Naturalmente credo si sia trattato di un fenomeno collegato all’elevata umidità del posto. Però devo ammettere che è una cosa che ha sorpreso anche me, a prescindere dalla spiegazione logica che mi sono dato.

Con quanta frequenza ti è capitato di trovare tracce e simbologie… strane per così dire. Non scritte riconducibili al classico ragazzino entrato per fare un po’ di casino con una bomboletta.

Se devo essere sincero, se dobbiamo parlare di satanismo o ritualismo, è meno frequente di quello che uno si possa aspettare. Nelle ville credo che non mi sia neanche mai capitato, mi è successo in qualche ex-convento, ex-chiesa perché si prestano meglio alla cosa, suppongo, per chi è dedito a questo genere di attività. O magari nei cimiteri. Ecco a proposito – deviando dalle ville – mi hai fatto venire in mente parlando di cimiteri che qua nelle Marche abbiamo un altro posto fighissimo di libero accesso che quindi posso anche citare apertamente consigliandoti una visita se non lo conosci, è molto bello da vedere. Si chiama Pitino.

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La chiesetta abbandonata di Pitino ©Andrea Bedeschi

Ci sono stato l’anno scorso. C’è quella chiesetta… io stavo li dentro a esplorare ogni angolo, poi erano le 11 di mattina eh, io stavo lì che me la godevo mentre la mia compagna “Ma quando andiamo via da qui?”.

E il cimitero l’hai visto?

Cacchio, no!

C’è questo cimitero a terra completamente abbandonato. Hai presente dove sta la torre?

Sì, ma non l’ho visto. Io ho fatto la strada che partiva da una villa abbandonata e sprangata in cui sarei anche entrato scavalcando l’inferriata se la mia compagna non mi avesse fermato, quel percorso che sbucava davanti al ristorantino che sta lì fuori chiuso da non so quanto. Ad accoglierci c’era una capra che mi ha fatto pensare a Black Phillip.

Ecco immagina la cinta muraria di cui ancora restano le tracce, dal lato opposto della Torre c’è il cimitero a terra, penso abbandonato da almeno cento anni. Ci sono le due cappelle sconsacrate e, se cerchi online, trovi riferimenti a strane attività sataniche. Carabinieri che ritrovano cose. Insomma, è un posto dove avvengono effettivamente certi incontri. Poi c’è la leggenda dell’Uovo d’Oro del demonio, è pieno di aneddotica esoterica. Però appunto, sono robe meno collegate alle ville. Sì, puoi trovare la scritta del buontempone “Satana è stato qui”, ma robe del genere, nulla di complesso che possa far pensare a una ritualità.

Qual è la zona d’Italia più ricca di case abbandonate fra quelle che hai visitato?

Ogni regione fa un po’ storia a sé per quanto riguarda l’abbandono. Ad esempio, in Friuli c’è una sovrabbondanza di caserme abbandonate e una scarsità di ville. In Emilia Romagna c’è un casino di roba lungo la costa: vecchi ospedale, fabbriche abbandonate, colonie. Sicuramente nelle Marche, in Toscana e nel Lazio hai un’enorme quantità di ville. Già in Abruzzo e Umbria è diverso, è più un discorso collegato ai castelli. Più scendi al Sud più è difficile trovare roba intatta.

La sinossi ufficiale di A Classic Horror Story:

Cinque carpooler viaggiano a bordo di un camper per raggiungere una destinazione comune. Cala la notte e per evitare la carcassa di un animale si schiantano contro un albero. Quando riprendono i sensi si ritrovano in mezzo al nulla. La strada che stavano percorrendo è scomparsa; ora c’è solo un bosco fitto e impenetrabile e una casa di legno in mezzo ad una radura. Scopriranno presto che è la dimora di un culto innominabile. Come sono arrivati lì? Cosa è successo veramente dopo l’incidente? Chi sono le creature mascherate raffigurate sui dipinti nella casa? Potranno fidarsi l’uno dell’altro per cercare di uscire dall’incubo in cui sono rimasti intrappolati?

Girato in Puglia e a Roma e prodotto da Colorado film, A Classic Horror Story è “una classica storia dell’orrore”, come suggerisce il titolo: un omaggio alla tradizione di genere italiana che, partendo da riferimenti classici, arriva a creare qualcosa di completamente nuovo.

A Classic Horror Story è diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli e uscirà il 14 luglio su Netflix.

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