I migliori film usciti in Italia nel 2021

Il 2021 è stato il primo anno in cui uscite in sala e uscite in piattaforma si sono sovrapposte per davvero, il primo di un nuovo equilibrio in cui ciò che esce su Netflix, Prime Video, Apple TV+, Sky, MUBI e Disney+, tutto insieme, è quantitativamente paragonabile a quel che esce al cinema. Ancora non qualitativamente, almeno per noi di Badtaste. Nella classifica di fine anno i migliori film tendono ad essere più che altro quelli usciti in sala, anche se per poco alle volte. Anche per questo quest’anno abbiamo deciso che dedicheremo due altre classifiche separate ai migliori e peggiori film usciti su piattaforme.

E non sorprende nemmeno che sia stato un anno moscio per i grandi blockbuster, più che altro medi e spesso sconfortanti, quelli che le major avevano rimandato a lungo, e forse i migliori sono quelli che stanno ancora rimandando.

Ecco quindi una dopo l’altra le classifiche dei migliori film del 2021 dei due principali critici che scrivono di cinema su Badtaste.

I MIGLIORI FILM DEL 2021 SECONDO BIANCA FERRARI

il capo perfetto

10. Il capo perfetto

Molto più che un mero J’accuse contro la fame di potere della classe dominante: Il capo perfetto di Fernando León de Aranoa è una commedia raffinatissima (per linguaggio, tono, studio del personaggio) che affronta con ironia a tratti grottesca il paradossale e il conflittuale che sempre si annidano nei rapporti di lavoro, guidata dall’idea che equilibrio significhi compromesso forte molto più che soddisfazione di entrambe le parti.

being the Ricardos

9. Being the Ricardos

La verità dietro la finzione, e la finzione ancora dietro l’illusione di realtà. Con Being the Ricardos Aaron Sorkin usa Lucille Ball e la sua vicenda personale per riflettere ancora una volta su immagini (divistiche, della cultura poplare) e media (cinema, stampa e ovviamente televisione), usando qui un’elegante forma melodrammatica e un’inedita spinta sentimentale come conditio sine qua non per dichiarare il proprio amore per Hollywood e la scrittura. Un Aaron Sorkin in stato di grazia.

the disciple 2

8. The Disciple

Opposto a forse qualsiasi film hollywoodiano sul successo, sul “diventare qualcuno”, The Disciple di Chaitanya Tamhane è un film che con coraggio da vendere usa strumenti come la noia, la contemplazione e la staticità per raccontare una lunga storia di realizzazione personale mancata, di aspirazioni andate in fumo. Immerso nel contesto specifico e particolarissimo dello showbusiness musicale indiano, The Disciple riesce comunque a essere un film fortemente universale, che ci fa fare i conti con la paura (troppo spesso indicibile) di essere dei perdenti.

la persona peggiore del mondo

7. La persona peggiore del mondo

Julie è forse la persona peggiore del mondo perché è costantemente indecisa, irascibile e molto più egoista di quando voglia ammettere? Si e no, perché come lei tutti gli altri, per quanto se la raccontino, sono le persone peggiori del mondo: semplicemente perché fallibili, imperfetti e altrettanto egoisti. Questa favola romantica di Joachim Trier è allora una grande storia d’amore della protagonista per sé stessa, ed è talmente piena di grandi idee visive e narrative che farà sembrare assolutamente inedita e speciale ogni sua piccola rivelazione.

drive my car

6. Drive my car

La relazione umana, casuale e profondissima che si instaura tra un regista teatrale e la sua austista durante lunghi viaggi in macchina è la summa del film ma non esaurisce la bellezza complessa ed elegante di Drive my car di Ryusuke Hamaguchi. Tratto da un racconto breve di Murakami, Drive my car prende il letterario e lo rende fluidamente cinematografico, affrontando senza scossoni apparenti o declamati, ma rimanendo ancora più dolorosamente sotto la superficie, l’elaborazione del lutto. Un’elaborazione che può avvenire solo attraverso il dialogo, l’arte e la condivisione empatica.

Leonardo DiCaprio Don't look up

5. Don’t Look Up

In un cinema di maschere come quello di Adam McKay, Don’t Look Up è l’eccezione e insieme la conferma della poetica del suo autore. In un mondo di macchiette, stereotipi e caricature che davanti alla cruda verità si aggrappa con ostinazione all’opinionismo e ad una comunicazione il più rassicurante possibile (quella del divertimento, delle battute e dei meme), McKay crea due personaggi semplicemente “normali” la cui vera tragedia è l’impossibilità di cambiare le cose ed essere eroi: quel potere è banalmente da un’altra parte e non ha niente a che fare con l’eroismo. Sì, la satira può essere angosciante, demenziale e serissima allo stesso tempo. Ed è proprio quello che fa McKay. Chi lo ama lo segua.

Un altro giro

4. Un altro giro

Come equilibrare sociale, familiare e personale? Non ci sono risposte per Thomas Vinterberg ma quanto bene sa esplorare quei conflitti. Vinterberg parte da uomini medi, comuni e anonimi per creare con Un altro giro una celebrazione dello stare insieme e del godersi la vita totalmente solido e originale e che, pur mostrando eccessi di alcolismo e concentrando tutta la narrazione sull’espediente del bere per stare meglio, non moralizza mai e anzi esalta il lasciarsi andare con una facilità irripetibile. What a beautiful, beautiful ride.

il-capo-perfetto

3. Annette

Un musical cupo e dissonante per raccontare in forma alta, altissima (e formalmente dicibile) sentimenti ed esperienze che riguardano gli abissi dell’animo. L’animo è quello di Leos Carax, che musicato dagli Sparks non cela di stare rivivendo in qualche modo tramite Annette la sua stessa vita e i suoi fantasmi. Annette non è però biografia ma vita in forma d’arte, una messa in scena gloriosa ed orrorifica del narcisismo, una vera e propria opera che per la bambina-marionetta prova un rimorso e un bisogno di perdono magnificamente strazianti.

last night in soho Ultima notte a soho

2. Last Night in Soho

Un regista cinefilo come Edgar Wright non poteva che pescare a piene mani dal cinema di genere del passato per realizzare il suo primo horror. Tra un intreccio mistery a scatole cinesi che fa l’occhiolino alle trame hitchcockiane e un’intenzione visiva sgargiante, eco lontana dell’horror anni Sessanta/Settanta (Bava, Argento, Polanski), con Last Night in Soho Edgar Wright porta a un livello superiore la sua filmografia e lo fa con l’urgenza di chi parla di qualcosa che gli sta a cuore (Londra, la cultura popolare) glorificando allo stesso tempo l’esperienza spettatoriale. Un vero e proprio tripudio.

il-capo-perfetto

1. È stata la mano di Dio

C’è una tensione sottile che cresce sempre di più fino ad esplodere senza freni inibitori dentro a È stata la mano di Dio. E quanto è struggente e meraviglioso il cammino. Quell’urgenza di raccontare (il mondo nei suoi angoli più imprevedibilmente belli e sgraziati) e raccontarsi che Paolo Sorrentino solitamente tratteneva sotto la grandiosità delle immagini si libera ora in uno slancio vitalistico che lavora all’opposto sul controllo, sulla sintesi e su un’emotività contenuta che trasforma in modo forse definitivo Sorrentino da grande autore a maestro (la cui eredità felliniana, non a caso, non è più un fardello ma un’eredità fatta propria). Con È stata la mano di Dio Sorrentino rimette in scena traumi personali non per parlare di sé ma per condividere con chiunque lo desideri quel desiderio agrodolce di quieta normalità, di voglia di sentirsi al sicuro, di essere padroni della propria vita: un desiderio molto più vicino e reale di quello per una generica libertà. Sorrentino ci ha insegnato questa grande differenza.

I MIGLIORI FILM DEL 2021 SECONDO GABRIELE NIOLA

freaks out franz10. Freaks Out

Mainetti e Guaglianone riescono in quello che sembrava impensabile. Non solo ripetere il mix perfetto di Lo chiamavano Jeeg Robot ma moltiplicarlo per 10, aumentare la grandezza della storia e la complessità degli attori in ballo. Quello che era il racconto di un supereroe scemo di quartiere diventa la storia epica della salvezza di un popolo durante la seconda guerra mondiale, con i cattivi per antonomasia del cinema del ‘900 (i nazisti) e una capacità di empatizzare con tutti (villain incluso, partigiani storpi inclusi) che non solo è travolgente ma anche unica. Nessuno ha bisogno di essere adorabile per essere umano.

e stata la mano di dio9. È stata la mano di Dio

Forse il film italiano con più tuffi in mare di sempre, che parte proprio da una panoramica sul mare e stringe sui personaggi. Il barocchismo sognante di Sorrentino apre un film dal movimento opposto a quello che solitamente vediamo, invece che scivolare nel sogno e nell’astratto se ne tira fuori lungo la sua durata, emancipandosi dalle composizioni grottesche e dai personaggi simbolici per atterrare nel cinema classico ed invisibile, fatto di soluzioni anche vecchio stampo (un walkman sempre presente di cui non sentiamo mai la musica così da caricare l’ultima scena) e al tempo stesso anche di una capacità disarmante di conquistare i cuori senza seguire nessuna delle buone regole del cinema.

il gioco del destino e della fortuna8. Il gioco del destino e della fantasia

Più del vacuo Drive My Car è questa storia ad episodi tutta dialogatissima (che la distribuzione italiana fa arrivare nello stesso anno del film passato a Cannes) il film di Hamaguchi che ha impressionato nel 2021. Un pugno di storie diverse che come in Pulp Fiction partono in una maniera per essere ribaltate lungo lo svolgersi e finire in tutti altri posti; spunti di una creatività inarrestabile attraverso i quali emerge la capacità delle parole di lavorare nei personaggi. Tutto il meglio di Hamaguchi (i gesti, le situazioni, gli incastri) senza l’intellettualismo.

festival di venezia L'événement7. La scelta di Anne – L’événement

Quella raccontata da Audrey Diwan (nello stesso anno in cui ha scritto il buon Bac Nord) è una delle storie più narrate nei nostri anni (e non è difficile capire il perché), quella di un singolo che si batte contro uno stato che non ascolta e soprattutto contro la società intorno a lui e l’indifferenza del prossimo ai suoi problemi. In questo caso però c’è una protagonista scritta benissimo, con una determinazione fulminante e una grande capacità di assorbire gli urti invece che schivarli. Questa non è la storia di una persona tutta d’un pezzo che avanza come un bulldozer, ma quella di una persona che subisce i colpi, soffre l’indifferenza e accusa le difficoltà ma che ha una determinazione ancora superiori.

Il collezionista di carte6. Il collezionista di carte

L’idea è sempre quella: guardare un uomo che ha qualcosa che non si perdona vivere in un limbo di espiazione. Quel che è eccezionale di Il collezionista di carte non è tanto che la dimensione scelta sia il poker professionistico, ma che il personaggio (un militare con qualcosa di nero nel passato) lo viva come fosse meditazione. Poteva davvero essere qualsiasi altra disciplina, tutto in Schrader è un pretesto per una ricerca infinita, continua e fantastica di come riuscire a raccontare la maniera in cui la pratica riesce ad astrarre gli uomini e portarli in un altro piano. E soprattutto chi sono questi uomini, come vivono, cosa pensano, come possono trascendere il piano materiale e giungere ad uno, forse, più elevato senza passare davvero per la religione ma solo attraverso il materialismo. Questo film poi contiene una delle immagini migliori di questa ricerca di un Nirvana in terra, nei luoghi squallidi e nelle città meno clamorose: un volo su un parco buio pieno di sculture di neon. Incredibile.

Un altro giro5. Un altro giro

Quello che senza dubbio è il finale migliore dell’anno, arriva al termine di un film in cui il desiderio di contatto umano che spesso viene raccontato nel cinema nordico, tocca vertici struggenti. Molto del merito è indubbiamente di Mads Mikkelsen, mai così perfetto nei suoi silenzi e nei suoi occhi tristi (che diventano gioia esplosiva, movimento, ritmo e desiderio di vita stilizzato a fine film), ma è anche evidente che dentro Un altro giro c’è una forma di dolore e di solitudine non priva di una certa ironia (lo spunto è chiaramente risibile, ma il mondo in cui nasce l’idea non lo è), uno spirito funereo che fa a pugni con il desideri sommessi dei protagonisti. Un film che sonda in profondità i bisogni più elementari dell’uomo.

Titane4. Titane

Nonostante il primo film di Julia Ducournau, Raw, avesse una potenza molto più rigorosa e primitiva nella sua semplicità e nel guardare alle ossessioni, è Titane il film che consacra la visione di mondo di questa regista che unisce l’interesse morboso per la carne e il metallo di Cronenberg all’opposto della paura di Tsukamoto per l’incontro tra materia dura e materia morbida. Per la prima volta in Julia Ducournau la storia del cinema di carne e metallo diventa una questione di amori e avvicinamenti, una forma di unione con la materia fredda che non è cinema dell’orrore e del terrore della mutazione ma semmai del superamento delle differenze. E che un film del genere riesca a raccontare il lento processo di superamento delle distinzioni binarie tra sessualità in corso nei nostri anni attraverso la rappresentazione del rapporto con la materia è eccezionale.

la persona peggiore del mondo3. La persona peggiore del mondo

Cinema che fa venire voglia di uscire e conoscere persone, di cambiare, trovare altri domani ed entrare in contatto con altra umanità. Un film che segue percorsi tutti suoi lavorando intorno ad una protagonista e agli esseri umani che incontra, da cui si fa conoscere e con cui si relaziona. Uno dei primi film che appaiono davvero ambientati in un mondo diverso, cambiato dai movimenti culturali dei nostri anni. Cinema da mostrare nelle scuole per spiegare come l’arte del racconto audiovisivo passi per strade alle volte inspiegabili e viva di una capacità spesso misteriosa di colpirci. Non sappiamo quando è avvenuto ma alla fine ci troviamo al tappeto.

collective2. Collective

Un paese filmato nell’atto di crollare sotto la spinta della corruzione. Il linguaggio del documentario tirato al massimo della sua capacità di mettere in scena il presente, con un accesso fuori dal normale alle stanze del potere, alle personalità cruciali e alle discussioni che decidono i destini di un’intera nazione. La storia di uno scandalo sanitario che si allarga a macchia d’olio e diventa la cronaca di un momento storico incredibile per la Romania. Il raro caso i cui un cineasta riesce a riprendere l’ordinaria corruzione dell’animo umano in azione.

hytti n.61. Scompartimento n.6

Nessun film uscito quest’anno è un film quanto questo. Nessuno è riuscito a lavorare con le armi proprie del cinema, con gli strumenti della messa in scena dalla fotografia, alla scenografia, fino al montaggio e ovviamente alla recitazione, per adattare un romanzo trovandoci dentro l’occasione per parlare di altro tramite le immagini, di sentimenti così piccoli e moderati che il cinema solitamente nemmeno li considera. Nello scompartimento del treno russo in cui si svolge la storia di due esseri umani il cui rapporto lentamente si riscalda, viene rievocato un sentire lontano, proprio di un mondo che non ci appartiene e che è non è vicino nemmeno nel tempo (tutto si svolge a fine anni ’90). Non siamo di fronte forme di racconto o di linguaggio delle immagini nuovi, è il cinema che abbiamo imparato a conoscere, il più classico, fatto di messa in scena invisibile, di una gestione accorta di tempi e attori e di un rapporto cruciale tra personaggi e paesaggi. Un film in cui quello che viene detto non conta mai come la maniera in cui viene detto, il posto in cui viene detto o anche solo l’angolatura con cui lo vediamo detto, sono quelle le maniere in cui Scompartimento n.6 trova e vede qualcosa di così piccolo che nessun altro, guardando e raccontando la medesima situazione avrebbe notato, e in cui riesce a farlo vedere anche a noi.

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