Su Netflix è arrivato Fantozzi, il film del 1975. E quando arriva su una piattaforma, qualsiasi essa sa, è un obbligo rivederlo. Per lo meno lo è per chiunque sia affaticato dai ritmi della nostra società, o da qualche collega fastidioso, o dalla diffusissima sindrome dell’impostore. Ecco, Fantozzi andrebbe prescritto come una medicina. Perché la maschera tragica creata da Paolo Villaggio è in realtà quella di un rivoluzionario mancato. Un oppresso, certamente, ma che riesce ad ottenere tante piccole vittorie nelle sconfitte e sconfitte nelle vittorie.

Si potrebbe dire che vince sempre. E che perde sempre. Il Ragioniere finisce nei guai quando cerca di adeguarsi a tutti gli altri: fa le partite di calcio dei dipendenti in un mare di fango, corteggia come tutti gli altri la signorina Silvani, si finge campione di sci e si distrugge fisicamente. 

Fantozzi, come ci dice Luciano Salce a inizio film, è anche un sopravvissuto. Uno che è stato murato vivo nei bagni dell’ufficio per 18 giorni e se l’è cavata. Non ridete di lui: stimatelo. Perché Ugo nei piccoli scatti di orgoglio vince sempre anche se non trionfa mai. Alla festa di Natale della Megaditta cambia qualcosa in lui. Per la prima volta difende Mariangela dai suoi capi che la deridono. Non sarà bella la “ba, ba… bambina” ma è pur sempre sua figlia! 

Ugo perde anche quando vince. Organizza una partita a biliardo contro l’Onorevole Cavaliere Conte Diego Catellani per fare la figura dell’inetto e scucire una doppia promozione. Lo sguardo afflitto della Pina lo convince a ribellarsi e a stracciare l’avversario. Gli finirà male anche la protesta con annessa rottura della vetrata. Il Megadirettore Galattico vince e lo perdona assegnandogli il posto nell’acquario degli impiegati. Però almeno lui, a differenza di tutti gli altri, ci ha provato.

Ma allora perché pur vincendo, si ritrova eternamente sconfitto? La risposta viene dalla seconda scena.

Fantozzi: un impiegato al limite delle possibilità umane

La sveglia di Fantozzi è il segmento comico perfetto. Quello che meglio descrive il personaggio senza invecchiare mai. Perfetto nel concetto, nel montaggio e nell’esecuzione della risata. Racconta di un impiegato che si è perfezionato sempre di più per non andare a lavorare prima, eppure per arrivare sempre in tempo.

Hackerare il sistema, per piegarlo senza sottostare alle sue regole. Fantozzi non è un workaholic e il film ci mette in condizione di applaudire proprio il suo non esserlo. Però è anche ubbidiente, e ci tiene a entrare al lavoro in tempo. Si ingegna con uno sforzo intellettuale e fisico da maciste per ottimizzare la routine mattutina. Bisogna essere procrastinatori patologici, affezionati al letto e conviventi con la pigrizia per capire quanto la scena sia esaltante. Chi vi scrive, ovviamente, lo è.

Così il lavoratore si costringe a una serie di azioni da olimpiadi che coinvolgono l’intera famiglia. Nessuno può fare meglio di lui, perché ha affinato i tempi di preparazione per prendere l’autobus che porta in ufficio così tanto da rendere impossibile ulteriori miglioramenti. Check sulla casella del primo trionfo siderale.

Non l’ho mai fatto…ma l’ho sempre sognato!

Gran parte dei secondi che perde nei primi istanti sono cruciali. Sono dedicati a un graduale incontro con la realtà. Spaventarsi con la moglie, con la figlia, realizzare la terribile vita che sta vivendo. E poi via con una sequenza di multitasking girata prima ancora che il termine venisse inventato. Fantozzi in questo frangente non è una persona, è una macchina umana. 

Capita però un imprevisto: la stringa delle scarpe si stacca per la foga (o per l’usura). Il rapido cambio al “pit stop” non è sufficiente a recuperare il tempo perduto. Fantozzi, sì proprio lui che ci siamo raccontati per anni come il perdente per eccellenza, non si rassegna e si lancia in un salto della fede. Deve prendere l’autobus al volo. Un gesto atletico mai tentato prima, ma da sempre desiderato. 

Ce l’avrebbe fatta, se avesse trovato solidarietà negli altri lavoratori aggrappati al veicolo che invece gli assestano calci in faccia. In un crescendo magistrale Luciano Salce gira la scena d’azione comica più bella del cinema italiano. Steso in strada e recuperato dall’ambulanza Fantozzi si ribella al parere medico al culmine dell’epicità firmando con il proprio sangue le dimissioni. 

Nel corridoio dell’ufficio nessuno può negare ciò che sta per succedere. Ovvero la storia. Il record sta per essere battuto ancora, la forza della volontà sta trionfando contro la sfortuna e gli imprevisti. “Coraggio ragioniere”. Qui l’invidia sta a zero, c’è invece l’emozione di un momento storico. Fantozzi ce la fa sul filo del rasoio. Ha timbrato in tempo! Sfinito crolla sul corridoio. Ora può riposarsi, finalmente.

Fantozzi Ugo

Il super Fantozzi nascosto dietro una maschera di inettitudine

Se uno sopravvive a un’impresa del genere non è una persona comune. E allora perché non riesce a farle lo stesso in tutte le altre situazioni in cui si ritrova? 

La risposta di questo nostro gioco interpretativo viene dal genio di Paolo Villaggio e dalla grandezza di questo personaggio. Ugo è rassegnato. Ha accettato delle regole sociali e delle usanze italiane che non comprende. Perciò è goffo nel leccare i piedi, nel farsi bello, nell’ottenere promozioni, nell’avere la stima dei colleghi. La società gli dice che dovrebbe ottenere tutte queste cose ma lui, in realtà, non sa perché.

Permettetemi una nota personale di gossip: non credo che Fantozzi sia attratto dalla Silvani per autentica passione, ma perché così fan tutti. Lui invece è felice della sua famiglia. Nonostante la fatica a guardare in faccia la figlia, quando deve farlo non esita a difenderla. Quando incrocia lo sguardo della moglie (e non della Silvani) si riempie di orgoglio e vince anche a costo di perdere.

Lui è quindi, il perdente per scelta e per condizione sociale. Simbolo satirico che martella senza pietà il vetro ipocrita dell’Italia di ieri e di oggi. Il finale è amarissimo. Il grande Ugo Fantozzi è così travolto dalla modernità industriale della sua epoca che ha perso anche la voglia di farsi valere. Quando ritorna nella maniera più autentica, ce la fa sempre. Ma gli è stato fatto capire che la sua vita è quella dell’oppresso, che non gli conviene cambiare. E decide così di restarci autosabotandosi. Potrebbe smettere quando vuole, se solo avesse la motivazione per farlo.

I film e le serie imperdibili

Classifiche consigliate