Robin Williams ha sempre portato nei suoi ruoli tutto il suo incredibile genio, il carisma che lo caratterizzava e la sua destabilizzante fragilità. Era il re delle sfumature, delle espressioni malinconiche che rivelavano la possibilità di una felicità sotto alla consapevolezza delle infinite variazioni della vita. 

I personaggi di Robin Williams non erano distanti da come era lui. Più volte amici attori hanno affermato che i personaggi visti nei film erano tasselli della sua personalità. O meglio: personaggi plasmati dalla sua energia visione della realtà. Caratteri che lo rappresentavano e a loro volta venivano arricchiti, resi complessi, dalla sua arte.

La sua morte per suicidio, nell’agosto del 2014, arrivò come un fulmine a ciel sereno. Di fronte allo sconcerto per il drammatico gesto, partì una ricerca morbosa per capirne le motivazioni. Non trovando risposta, la stampa impostò una narrazione non veritiera, ma molto “colorata”, raccontando l’attore come l’ennesima maschera triste del mondo dello spettacolo. Una persona carismatica ed estroversa che conteneva invece dentro di sé un’ombra scura di dolore e depressione.

Alcuni arrivarono addirittura ad ipotizzare che Robin Williams fosse tornato a combattere contro la dipendenza da sostanze o contro la depressione.

Nulla di questo era vero.

In occasione dell’uscita nel Regno Unito del documentario Robin’s Wish (guarda qui il trailer), la moglie dell’attore, Susan Schneider Williams, è tornata a parlare della malattia che aveva fatalmente colpito il marito: la demenza con corpi di Lewy. 

Si tratta di un male devastante, che condivide con la malattia di Parkinson (di cui l’attore credeva di essere affetto) il sintomo del tremore. I corpi di Lewy sono grumi anomali di proteine che si riuniscono nelle cellule del cervello e sono responsabili per il 10-15% dei casi di demenza. Il medico che ha condotto l’autopsia sul corpo dell’attore ha trovato un numero sorprendentemente alto di corpi di Lewy. Il suo cervello era in uno stadio avanzatissimo della malattia, che non era però stata diagnosticata.

L’attore ha quindi vissuto per anni in balia di una degenerazione fortissima e sconosciuta. Vedeva il suo corpo declinare, perdere lucidità senza capire quali potevano essere le cause.

Robin Williams portava con sé ogni giorno le conseguenze di questa condizione. Oltre al tremore infatti, gli altri sintomi generati dalla malattia riguardano la perdita di memoria a breve termine, la presenza di stati allucinatori collegati a insonnia e un radicale aumento dell’ansia. 

Robin Williams

Susan Schneider, insieme al marito, ha dovuto affrontare il declino dovuto alla malattia non diagnosticata lungo un calvario che, immaginiamo, dev’essere stato durissimo. Nella sua testimonianza la donna spiega che, quando il medico ha rivelato la presenza di corpi di Lewy, è stato il momento in cui hanno potuto dare un nome ai drastici cambiamenti nella mente del marito. Una rivelazione inaspettata ma, per certi versi, attesa, che ha messo ordine nella confusione.

Eppure quello che fece Robin Williams nonostante la malattia è incredibile. Shawn Levy, il regista di Una notte al museo 3 – Il segreto del faraone (l’ultimo film in cui compare l’attore) ha ammesso che tutti sul set avevano capito che qualcosa non andava. “La sua mente non colpiva alla stessa velocità di sempre, mancava di entusiasmo”, ha spiegato Levy.

Tutta la crew del film ha però tenuto segreta la sua condizione. Williams era visibilmente scosso durante le riprese, ma anche preoccupato per la qualità della sua performance (che fu comunque elevatissima). Faticava infatti a ricordare le battute ed era più ai margini, meno travolgente rispetto a come tutti erano abituati.

In generale il mondo dello spettacolo si è stretto intorno a lui. Pur non sapendo chiaramente che cosa gli stesse succedendo.

In privato Williams era colpito da attacchi d’ansia fortissimi che lo portavano a telefonare ossessivamente nel pieno della notte agli amici per accertarsi delle loro condizioni. La spirale di paranoia, oltre agli altri sintomi, ha messo a dura prova la tenuta fisica ed emotiva delle persone a lui vicine. Per questo motivo la moglie Susan Schneider Williams ha deciso di intraprendere una missione di sensibilizzazione rispetto alla malattia. Il documentario Robin’s Wish è stato prodotto con l’intento di raccontare la verità sulla sua morte e sensibilizzare l’opinione pubblica. Così ha detto Susan Schneider:

Se mio marito non fosse stato famoso non mi sarei impegnata in questo. Ma ci sono stati così tanti fraintendimenti su che cosa gli sia veramente successo e sui corpi di Lewy. Perciò mi è sembrata la cosa giusta da fare.

Ha aggiunto poi:

Non era da Robin essere così paranoico. E quello fu solo l’inizio di 10 mesi martellanti di sintomi in peggioramento; il problema con i corpi di Lewy è che i sintomi non si presentano immediatamente ma cambiano. Sono incredibilmente disorientanti per il paziente e chi lo assiste. (…)

Mi ha fatto arrabbiare quando i media hanno affermato che aveva iniziato a bere, perché so che ci sono persone che stanno affrontando dipendenze e persone che affrontano la depressione che lo ammiravano, e loro meritano di sapere la verità.

No, Robin Williams non era il clown triste dipinto dalla stampa. Era un genio, questo sì, che stava affrontando una malattia devastante e sconosciuta. Era una persona che ha convissuto con la paura di perdere se stesso e che, mentre questo accadeva, è riuscito a regalarci ancora quel sorriso pieno di speranza che ha dato luce a molti spettatori.

In Italia tutte le persone che stanno vivendo una fase di crisi e di disagio profondo e che hanno pensieri suicidari possono rivolgersi al Telefono AMICO Italia. Disponibile tutti i giorni dalle 10 alle 24 al numero 02 2327 2327 o tramite la webcallTAI gratuita all’indirizzo www.telefonoamico.net.

Fonte: The Guardian

Classifiche consigliate