Annata ottima per il festival di Cannes, piena di buoni film che sono stati anche riconosciuti come tali, peccato per la Palma d’Oro.

E quindi ha vinto un film francese. Di nuovo.

Anatomy Of A Fall è stato subito un beniamino della critica e se n’è da subito parlato come uno dei film che potevano aspirare ad un premio. Non è stata una sorpresa eccessiva (da un presidente di giuria con il carattere protagonista di Ruben Ostlund era lecito aspettarsi anche qualcosa di più clamoroso) ma è forte la sensazione che il premio al film di Justine Triet dica più che altro che non c’è stata unanimità su The Zone Of Interest, il vincitore designato quasi da prima dell’inizio e di certo da dopo le prime proiezioni. 

Evidentemente la giuria non era compatta su quel film che rivede il cinema di Olocausto attraverso i suoi elementi più iconici. Anatomy Of A Fall invece ha unito con la sua storia di un rapporto di coppia analizzato in un tribunale, sezionato come si fa con gli omicidi (perché è per via di un omicidio di cui è accusata la moglie che avvocati e testimoni si trovano ad analizzare il rapporto), morto come il cadavere al centro di tutto. Una volta tanto si può dire (se non altro!) che il vincitore della Palma d’Oro di Cannes non è un film che scaccia il pubblico dalle sale ma anzi uno che può essere visto da tutti, dotato di più livelli di lettura, di un buon ritmo e un gran tirante (il più classico: chi è l’assassino?).

rapito

Tuttavia questi due premi, per quanto preventivati sono anche i meno condivisibili di una premiazione altrimenti impeccabile, come non capitava da tanti anni. E questo include l’assenza di premi ai film italiani. Non c’era nessun attore che davvero spiccasse (impensabili quelli di Rapito, sottotono quelli di Il sol dell’avvenire, tarati su standard tutti loro quelli di La chimera), non c’erano sceneggiatura di peso (forse solo Rapito ha una scrittura propriamente detta) e di certo nessuno dei tre è considerabile come un grande film. Può suonare come una delusione per chi ha letto di una grande accoglienza per Il sol dell’avvenire, accoglienza che non è stata grande per niente. La stampa italiana ha ingigantito, modificato, letto con gli occhi dell’amore e riportato quel che ha voluto, la realtà che è il film di Nanni Moretti non è piaciuto agli spettatori internazionali. E, cosa ancora più strana, la stampa sembra non aver riportato che invece La chimera è piaciuto (contro ogni aspettativa).

I film scelti dalla giuria per i premi invece sono anche quelli che più hanno messo d’accordo la stampa e alcune scelte sono sembrate addirittura sacrosante. È il caso per esempio del premio all’interpretazione maschile dato a Koji Yakusho, visto come regge sulle sue spalle tutto Perfect Days, viste le nuances che esprime e quel viaggio finale da sturbo tutto in primo piano, passando attraverso diversi stati d’animo intrecciati e contaminati tra loro. È anche il caso del premio alla miglior regia a Tran Anh Hung per The Pot-Au-Feu, film di pura messa in scena, fatto di luce del sole e montaggio, di colonna audio e dettagli, in cui gli attori sono in secondo piano mentre in primo c’è il gesto del cucinare e soprattutto quello di Tran Anh Hung di riprendere il tutto con un amore sconfinato! Un film radicale, estremo e (cosa rarissima) terribilmente commerciale. Che sensibilità!

Nessuno invece dava sul palco Hirokazu Kore-eda, il cui film (bellissimo!), Monster, è uno dei più difficili della sua carriera e che proprio nella sceneggiatura ha l’arma più affilata e audace. Parte tutto da un fatto di cronaca ma non somiglia ai film che partono dai fatti di cronaca, perché è scritto per nascondere i suoi esiti, la sua realtà e il suo tema. Punta tutto su una sensazione rischiosa come la frustrazione dello spettatore e non fa che chiedergli di aspettare per capire. Con un salto al di là dei soliti film che raccontano il medesimo fatto da punti di vista diversi, Monster racconta le medesime persone nei medesimi giorni come diametralmente opposte. Siamo la maniera in cui gli altri ci guardano e questo alla fine è anche il commento del fatto di cronaca. 

Non era prevista nemmeno Merve Dizdar, il premio alla miglior attrice sembrava già nelle mani di Natalie Portman o al massimo, dicevano in molti, di Natalie Portman e Julianne Moore a pari merito per May December. E invece questa donna che nel film di Nuri Bilge Ceylan About Dry Grasses non ha un grande minutaggio (il protagonista è indubbiamente l’uomo), con la sua presenza magnetica e complicata, ma soprattutto con una scena centrale da storia del cinema, un lungo dialogo in un appuntamento casalingo che culmina con una sequenza di bacio da perdere la testa, decisamente si è meritata il premio. Questo è quello che fa un’attrice!

fallen leaves

E infine Aki Kaurismaki. La nota agrodolce. Era il suo anno. Questo cineasta con uno stile inimitabile, incredibilmente tecnico, calibrato su luci e colori che potrebbero anche venire da un film di Almodovar ma nelle sue mani diventano tutt’altro, tarato su un lavoro con gli attori complicatissimo per ottenere minimalismo di grande effetto, non ha in casa una Palma d’Oro di Cannes. Fallen Leaves è uno di quei film da rivedere subito, già il giorno dopo, per godere del crescendo sentimentale, dei dolori e delle ascese (in un film di Kaurismaki! Ma chi ce lo doveva dire?!) di questa coppia che fatica così tanto a diventare tale in un mondo di cinici umoristi. Cinema sublime che sollazza la testa, fa battere il cuore, mette in subbuglio la pancia. 

The Zone Of Interest e Anatomy Of A Fall andranno bene, hanno le spalle e i temi giusti per farsi strada in sala. The Pot-Au-Feu è un film pienamente commerciale e Perfect Days potrebbe avere un passaparola fantastico perché è efficace come pochi. Monster e About Dry Grasses avranno il pubblico degli appassionati dei loro autori. Ma Fallen Leaves meritava di essere innalzato e visto da tutti.

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