Ciò che meno si nota del programma pieno di grandissimi nomi del Festival di Venezia 2022 è la presenza italiana poco clamorosa. Non sono tanto i 24 titoli in totale ma il fatto che, includendo le coproduzioni, gli Stati Uniti ne abbiano 25 e la Francia 21, solo pochi di meno, di cui 5 in concorso (che diventano 7 con le coproduzioni). A prima vista può sembrare un segno di debolezza e di sudditanza verso una cinematografia, quella anglosassone, che ha fatto la fortuna di Venezia in questi dieci anni (perché ai 25 americani andrebbero aggiunti i 12 britannici per un totale di 37 film in lingua inglese), in realtà è un segno di raggiunta maturità.

Non solo Venezia, in un’annata indubbiamente debole per il cinema italiano dopo l’indigestione di grandi film del 2021, rinuncia ad avere per forza un contingente gigante dal proprio paese (che è l’opposto di quel che fa un festival provinciale) ma riesce ad avere un numero grosso di film da un paese come la Francia, non solo importante per film e creatività cinematografica ma anche solitamente blindato da Cannes. Sono pochi i film francesi che negli ultimi 30 anni hanno vinto un Leone d’oro (è capitato l’anno scorso dopo 27 anni di assenza), perché pochi di solito ne arrivano, monopolizzati da Cannes. Averne 21 è un traguardo, come lo è avere 37 film anglosassoni strappati ai contemporanei Toronto e Telluride (su questo però si vedrà, perchè spesso avvengono proiezioni anticipate).

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In questo 2022 che è l’anno più ricco da che chiunque in vita possa ricordare la Mostra del cinema di Venezia programma e seleziona gli italiani (si spera vivamente per il meglio ma è noto che le logiche sono più complicate del solo merito) e schiera molti film francesi, molti iraniani e a ruota moltissimi film sorprendenti. Sorprendenti è un aggettivo molto amato da Barbera anche se le sue gestioni, che moltissimo hanno fatto, forse sono tutto tranne che sorprendenti. Invece quest’anno non solo ci saranno le due serie più interessanti per la prospettiva cinefila, cioè la terza stagione di Il regno di Von Trier e Copenhagen Cowboy di Refn (entrambi danesi con attori danesi), ma pure un film postumo di Kim Ki-duk, un film di finzione di Frederick Wiseman che dura solo un’ora (questa davvero qualcosa per la quale vale la pena compiere il viaggio), un Lav Diaz “minimale” da tre ore che non va in concorso e ancora un post apocalittico di Virzì a episodi, anch’esso non da concorso (chissà perché) e poi un film di montaggio sui viaggi di papa Francesco di Gianfranco Rosi. Tutti film (tranne Virzì) di cui o non si sapeva nulla o non si sospettava potessero stare a Venezia.

Stiamo citando appositamente titoli un po’ marginali dal programma della Mostra di Venezia del 2022, marginali almeno rispetto ai grandi nomi in competizione (e ce ne sono molti che hanno fatto la storia recente di Venezia a testimonianza del fatto che questo risultato è frutto di un lavoro), perché se quelli sono importanti ma in un certo senso dovuti, queste sorprese sono quelle che danno vita ad un festival. Solitamente sono film che si scoprono una volta lì, in loco (e sicuramente sarà così anche quest’anno) ma per una volta anche sulla carta si possono individuare i piaceri cinefili più particolari. Come avviene per i festival più densi ovviamente non sarà possibile vedere tutto quello che davvero incuriosisce e chiunque voglia recarsi al Lido dovrà costruirsi dei percorsi all’interno delle giornate. 

white noise

Di certo anche quest’anno avrà gioco facile chi vorrà parlare di “festival di Netflix”, perché ci sono 5 produzioni della piattaforma, tutte molto importanti, ma più andiamo avanti meno questo discorso ha senso. Non solo perché Netflix ha meno scelta di altri (essendogli preclusa Cannes), non solo punta all’Oscar in realtà e quindi ha bisogno di Venezia, non solo sarà probabilmente l’ultimo anno in cui potrà permettersi tutti questi film d’autore così grandi (e pare che già per il 2022 ne avessero previsti di più che poi hanno dovuto tirare indietro) ma a tutto ciò va aggiunto che non è certo il solo con una simile presenza. The Match Factory, potentissimo venditore internazionale e produttore tedesco, che ha per le mani film di tutte le nazionalità (come Netflix) che poi piazza nei singoli paesi (come Netflix) ha ugualmente 5 produzioni al festival. Nessuno parlerà di Venezia suddita di The Match Factory però solo perché non è noto. E del resto se facessimo questo discorso si potrebbe citare un altro venditore internazionale molto importante (e francese), Wild Bunch, che allo scorso Cannes aveva 12 film (!).

Insomma chi gestisce i diritti internazionali e produce grossi film ne porta sempre un buon numero ai festival grossi perché ha i migliori e perché ha la forza di imporre quelli che magari non verrebbero presi.

Trovate tutte le informazioni sul Festival di Venezia nel nostro speciale.

SPECIALE FESTIVAL DI VENEZIA

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