Ecco perché Resident Evil: Extinction è il migliore della saga

Il pezzo che state per leggere è in un certo senso telefonatissimo: si può pensare di fare una classifica di tutti i film di una saga dal peggiore al migliore e poi non dedicare un approfondimento a quello che si è guadagnato il primo posto? L’occasione è l’arrivo in streaming su Prime Video di Resident Evil: Welcome to Raccoon City, recente reboot del franchise diretto da Johannes Roberts. Raccoon City è il tentativo di chiudere definitivamente il capitolo “Resident Evil fatto da Paul WS Anderson” per ricominciare da capo, con nuovi volti, nuovi autori e vecchie storie riadattate per l’occasione. Non ci riesce appieno, ma questo è un altro discorso che affronteremo meglio in questi giorni. Ora preferiamo concentrarci su Resident Evil: Extinction, per provare a spiegarvi che cosa lo rende, secondo noi, il miglior film della saga.

Innanzitutto: di che cosa parla Resident Evil: Extinction? Per la prima volta nella storia del franchise, la risposta non è “giocatevi il capitolo X, Y e Z per capirlo”: Extinction è il primo tentativo di Paul W.S. Anderson di abbandonare non tanto la mitologia, quanto la cronologia della saga videoludica, e portare avanti una storia tutta sua, ovviamente popolata degli stessi personaggi resi noti dai videogiochi – e non solo, visto che, vale la pena ricordarlo, la protagonista stessa della saga, la Alice di Milla Jovovich, è un’invenzione di suo marito, un personaggio creato apposta per i film.

 

Resident Evil: Extinction zombi

 

Ovviamente la narrazione prosegue da dove si era interrotto Apocalypse, il secondo capitolo che a sua volta era un sequel diretto del primo. Ma, ed è il primo vero grande motivo per cui Extinction è il miglior film della saga, abbandona le atmosfere claustrofobiche figlie del videogioco per fare una scelta creativa che Duccio Patané apprezzerebbe: aprire tutto. Dove i primi due capitoli (il primo in particolare) godevano nel farci strisciare per spazi bui e angusti e nell’immergere i propri personaggi in un terrore costante nella consapevolezza che dietro ogni ombra può nascondersi uno zombi, Extinction prende invece la strada Mad Max. E cioè: ormai il T-virus è fuggito da Raccoon City e si è diffuso in tutto il mondo, e il risultato è qualcosa che nei Resident Evil di Capcom non si è mai vista davvero – una post-apocalisse con i fiocchi, che trasforma il film in un road movie.

La scelta di ambientare il viaggio di Alice nel deserto del Mojave, a un passo da Las Vegas, è la logica conseguenza della scelta di allargare il campo. Rispetto ai suoi predecessori, e in parte anche ai successori (per non parlare del recente reboot), Resident Evil: Extinction è un film luminoso, diurno, fatto di orizzonti sconfinati e di una palette cromatica che va dall’arancione al color sabbia: sparisce l’onnipresente filtro blu, e per la prima volta un Resident Evil ha anche modo di respirare. Potreste obiettare che in questo modo tradisce completamente lo spirito dei giochi a cui si ispira (o almeno dei primi due/tre capitoli), ma qui arriviamo al nostro punto successivo: è giusto che sia così.

 

Motomilla

 

Paul Anderson ha sempre detto di essere un grande fan di Resident Evil, una dichiarazione che gli altri fan di Resident Evil gli hanno sempre rinfacciato: se ti piacciono così tanto questi giochi, gli si chiedeva, perché li tradisci continuamente, mischiando pezzi di storia, facendo confusione, inventando personaggi, girando scene che non hanno nulla a che fare con la paranoia strisciante del modello originale e ricordano più che altro un qualunque Alien vs. Predator? Ovviamente Paul Anderson capisce di cinema più di tutti i fan arrabbiati, e sa bene che replicare in scala 1:1 un videogioco trasformandolo in un film è impossibile – che gli adattamenti richiedono, appunto, capacità di adattarsi, e richiedono anche sacrifici sull’altare del linguaggio cinematografico.

Scegliendo di abbandonare completamente la storia tratteggiata nei videogiochi per inseguire la sua visione della post-apocalisse zombi, Anderson giustifica anche qualsiasi cambiamento di atmosfera: è vero che il deserto sconfinato è molto poco Resident Evil, ma è anche vero che tutta la saga di Resident Evil è sempre stata molto poco Resident EvilExtinction serve solo a certificarlo. Oltretutto, aprire gli orizzonti e allargare gli spazi gli consente di mettere in scena sequenze d’azione che nei primi due film non avevano trovato letteralmente spazio, come questa:

 

 

Potreste a questo punto obiettare che, ehi, Resident Evil: Extinction non l’ha mica girato Paul W.S. Anderson! È vero: dietro la macchina da presa c’è Russell Mulcahy, il regista tra gli altri di Highlander e soprattutto del video di Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler. Ma non c’è dubbio che il franchise appartenga creativamente ad Anderson, e che certe scene, anche se sono state girate da un altro, vengono dalla sua fantasia, e dalla sua consapevolezza di avere a disposizione dei set molto diversi rispetto ai corridoi della villa controllata dalla Regina Rossa; le ha girate un altro, ma le ha scritte lui sapendo che sarebbero finite in un film diverso dai precedenti.

Rivisto oggi in streaming su Prime Video a 15 anni dall’uscita, Extinction assomiglia soprattutto a una grandissima promessa: è come se Paul Anderson dicesse “ora che ho fatto felice il fandom con qualche citazione è arrivato il momento di mettermi in proprio e creare il mio canone”. O se preferite, Extinction sarebbe dovuto essere non solo un punto di arrivo (come tutti i “terzi capitoli” della storia dell’intrattenimento), ma anche un nuovo inizio, un nuovo modo e anche un nuovo luogo dove raccontare storie a base di T-virus e telepatia. Purtroppo questo nuovo inizio produsse, nel giro di cinque anni, prima Afterlife e poi Retribution, cioè quelli che abbiamo eletto come i peggiori film della saga: la promessa non è stata mantenuta, ma questo non toglie nulla alla potenza di Resident Evil: Extinction, che rimarrà anche uno dei più grossi rimpianti di questi anni di film di mostri.

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