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Di fronte al successo devastante e forse imprevisto di Sharknado, il film e poi l’intera saga, si possono avere due reazioni. Si può gridare alla morte del cinema e della meritocrazia, lamentandosi di tutti quei film realmente meritevoli di attenzione che invece sono passati sotto silenzio, messi a tacere da un ingombrante B-movie che parla di una tromba marina carica di squali. Oppure si può provare a capire come mai il film di Anthony Ferrante sia diventato un caso, e magari domandarsi anche come mai proprio quello e non uno degli infiniti altri prodotti simili creati da The Asylum insieme a Syfy. E scoprire che la risposta non è necessariamente quella più scontata.

(facciamo tre reazioni: si può anche esultare senza vergogna e rimettere su Sharknado per la quindicesima volta consecutiva)

Sharknado uscì nel 2013, lo stesso anno in cui Anthony Ferrante diresse anche Hansel & Gretel, incidentalmente uno dei migliori mockbuster della storia della casa americana. A proposito: nel caso non conosceste la Asylum eccovi un rapido riassunto che vi aiuterà a orientarvi nel resto del pezzo. The Asylum è una casa di produzione e distribuzione fondata nel 1997 e che basa il suo core business sulla produzione di versioni alternative, a basso costo e per il mercato dell’home video di blockbuster famosi che sono al cinema in quel momento. La strategia non scritta è quella di invadere il mercato dei videonoleggi di film la cui locandina, se guardata di sfuggita, può ricordare quella di “quel film con i robot/dinosauri/alieni che c’è al cinema in questo momento”, e sperare che abbastanza gente ci caschi da coprire i costi di produzione (che raramente superano il milione di dollari).

 

Weee

 

Un’altra fetta importante delle produzioni Asylum sono legate invece alla collaborazione con il canale Syfy, per il quale la casa americana ha prodotto diversi film a tema “animale molto grosso e feroce vs. l’umanità”, con la variazione “animale molto grosso e feroce vs. animale molto grosso e feroce”. Questo tipo di produzioni si sono intensificate con gli anni e con il rapido declino dei videonoleggi e quindi del mercato dell’home video, al punto che nel 2014 Asylum ha dovuto addirittura impegnarsi a creare un prodotto accettabile lanciando la serie di Syfy Z Nation.

Uno dei tanti?

Quando uscì in anteprima su Syfy, Sharknado era ancora “uno dei tanti”, l’ennesima variazione sul tema di grandissimi successi come Mega Python vs. Gatoroid o Mega Shark vs. Giant Octopus. E non fece neanche faville al momento dell’uscita: la premiere fu vista da 1.3 milioni di spettatori, contro una media di 1.5 per gli altri originali Syfy. Per qualche motivo, però, il film si appiccicò alla coscienza collettiva, soprattutto grazie a Twitter e alle migliaia (o centinaia di migliaia, probabilmente) di persone che, nei giorni successivi alla messa in onda, lo trasformarono in un c.d. “caso mediatico” descrivendolo a volte come un capolavoro senza tempo del cinema volontariamente trash, altre come il peggior film di tutti i tempi.

 

Sharknado sangue

 

La domanda quindi è: perché Sharknado fece questo effetto e, per esempio, Mega Piranha no? La risposta più facile e spontanea è: perché in Sharknado ci sono gli squali, e l’America ama gli squali. L’America ama moltissimi animali feroci, dagli alligatori delle paludi della Louisiana ai grizzly di Yellowstone, ma ha con gli squali un rapporto particolare, almeno fin dai tempi di quel film di Spielberg il cui titolo potete forse immaginare. Nessun altro animale feroce ha una settimana dedicata, per esempio. E guardare ogni film di squali possibile e immaginabile è parte della religione laica del popolo americano (almeno crediamo). Viene da pensare che se invece di Sharknado il film si fosse chiamata Croconado o Anacondanado non avrebbe avuto altrettanto successo.

Gli squali

Eppure “ci sono gli squali” ci sembra una risposta un po’ facile, e che non spiega, per esempio, come mai Mega Shark vs. Mecha Shark o Planet of the Sharks non abbiano avuto lo stesso successo. Un’altra possibilità è che Sharknado abbia retto alla prova del tempo perché è più bello della media dei film Asylum, e di quelli con gli animali giganti in particolare. È possibile che leggendo questo pezzo abbiate cominciato a segnarvi una lista di titoli da recuperare il prima possibile nella certezza del loro valore. Abbiamo una brutta notizia: la scomoda verità non scritta sui film Asylum è che, per quanto possano far sorridere sulla carta, sono sempre o quasi sempre dei pessimi film. Sciatti, scritti male, con un ritmo altalenante e lunghe sequenze dove, per nascondere la mancanza di budget, vediamo solo il gruppo di protagonisti che passeggiano in un luogo anonimo (solitamente, ma non sempre, in un bosco).

 

Godbless

 

Sharknado non si allontana troppo da questi orrori, e per un’ora buona è pieno di pessima CGI, inserti di filmati di repertorio che non c’entrano nulla con il film, gente che recita male davanti a un green screen, costretta a immaginarsi gli squali volanti. Ha però il bonus di avere tre facce note di cui due (Ian Ziering e Tara Reid) molto vicine allo status di meme, e soprattutto un climax finale che spazza via, per inventiva e anche realizzazione, il 99% delle produzioni Asylum. Alla luce di queste considerazioni, la spiegazione “Sharknado ha fatto successo perché è meglio del solito” è plausibile – ma lo è davvero? Possibile che un film che si regge così tanto sul suo status di novità pazzerella sia stato rivalutato per i suoi meriti cinematografici? Questo prevede, per esempio, che una quantità considerevole di persone l’abbia visto fino in fondo senza mai ridere, ma anzi osservandolo con sguardo critico, e abbia poi riportato le proprie considerazioni tecniche sui social, convincendo altre migliaia di persone a dargli una chance.

Il segreto del successo

È possibile anche che la risposta più corretta sia, banalmente, all of the above: tutto quello che abbiamo scritto fin qui ha contribuito organicamente al successo del franchise. Ci piace però pensare che ci sia un altro motivo per cui Sharknado ha fatto il botto, e cioè che non è, in realtà, un film sugli squali. Una delle frasi che vengono pronunciate nel film è “la colpa è del riscaldamento globale”. E l’uscita di Sharknado venne notata anche dal Servizio Meteorologico Nazionale americano, che tramite un suo portavoce spiegò agli americani come comportarsi in caso di tornado di squali, e da organizzazioni di soccorso tipo la Croce Rossa dell’Oklahoma, che usò il successo del film per promuovere la sua App di prevenzione dai veri tornado.

 

Vaghina

 

Nel 2013 l’IPCC stava lavorando al suo quinto rapporto sullo stato del clima; sui media si cominciava finalmente a parlare diffusamente della questione (la timeline precisa del discorso pubblico sul cambiamento climatico è ovviamente più complessa di così, ma passateci la semplificazione estrema); l’America in particolare stava cominciando a fare i conti con eventi estremi tipo gli incendi in California (in versione peraltro ancora calmierata rispetto ad anni più recenti). Soprattutto erano gli anni in cui ci si cominciava a rendere conto di quanto poco tempo ci fosse rimasto, ed erano quindi i primi anni di vero pessimismo cosmico sul futuro del pianeta.

Sharknado, in questo senso, si può leggere come una sublimazione comica di queste nuove paure: se davvero il pianeta sta impazzendo e il clima diventerà sempre più estremo e imprevedibile, dobbiamo aspettarci di tutto – compresi i tornado fatti di squali. Sharknado è un disaster movie prima che uno shark movie, e l’idea di sostituire pioggia, tuoni e fulmini con degli squali feroci è parossistica, esagerata e quindi alla fine consolatoria – come spesso lo è il fatto di ridere di una tragedia. È più vicino a Independence Day o L’alba del giorno dopo, o ancora meglio a Don’t Look Up, che a Lavalantula o 5-Headed Shark Attack. E se chiedete a noi, è anche per questo che ha avuto successo là dove i vari Asteroid-a-geddon o Arctic Apocalypse hanno fallito.

Questo speciale è realizzato in partnership con Minerva Pictures

 

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