20 anni fa usciva Spider-Man di Sam Raimi.

Si apriva con lui l’epoca moderna dei cinecomic. Il Batman di Tim Burton era restato per anni una luce nel buio, adulta e mai replicata. Gli X-Men di Bryan Singer avevano trovato la chiave corretta per attualizzare i mutanti Marvel in un film divertente per il pubblico eppure con tanta sostanza. Fu però l’Uomo Ragno ad aprire nuove porte. Era già un personaggio amatissimo, in pochi credevano però che potesse sopportare bene il peso del grande schermo. Ci aveva provato anche James Cameron, scrivendo però una sceneggiatura inquietante che non arrivò mai alle riprese. Troppe difficoltà tecniche e troppa incertezza nel trovare un pubblico preciso che potesse godersi l’avventura.

Lo stesso dilemma che anni dopo, lo immaginiamo, si sono posti lo sceneggiatore David Koepp e i produttori Laura Ziskin e Avi Arad. Figurarsi poi se a dirigere la storia di un ragazzo che si arrampica sui muri e spara ragnatele con un costume rosso e blu c’è un regista di nicchia conosciuto soprattutto per le sue commedie horror.

Invece la scommessa fu vincente perché collocò il personaggio proprio in mezzo a tre pubblici diversi: i ragazzini che andavano a vedere Spider-Man per l’azione, gli adulti che lo cercavano per nostalgia, e gli appassionati di cinema che seguendo tutte le uscite annuali l’avrebbero visto comunque a prescindere dalla qualità. Non importa se riuscì a piacere a tutti e tre i segmenti, la sua rivoluzione più importante fu di essere per la Marvel quello che Toy Story fu per la Pixar. Ovvero un film imperfetto, rispetto a quello che è venuto dopo, ma con idee così avanti sia tecniche che di atmosfera, che ha fatto da tela (perdonateci il gioco di parole) su cui tratteggiare il futuro. Da lì, da quella visione a metà tra il dramma e il romanzo di formazione, Kevin Feige inizierà a disegnare i contorni Marvel Cinematic Universe.

Nonostante Sam Raimi sia stato di ispirazione per la forma che hanno assunto i film di supereroi moderni, il suo Spider-Man è stato toccato dal tempo. Non per forza in peggio. Come tutte le opere che traghettano da una fase all’altra ha in sé alcune contraddizioni. Idee innovative, mai fatte prima d’ora, insieme a vecchi cliché e scelte che viste adesso sembrano bizzarre. Non per forza il fatto che qualcosa passi, significa che è sbagliata. I linguaggi cambiano insieme all’immaginario. Perciò, se delle innovazioni della prima avventura sul grande schermo dell’Uomo Ragno si è parlato spesso, oggi vogliamo celebrarla proprio dove è stata superata (o abbandonata) dalla nuova sensibilità. Abbiamo individuato dieci tra idee, scelte di regia, o caratteristiche del film stesso, a cui non si attinge più.

 

Sam Raimi Spider-Man 2002

 

Il costume di Spider-Man senza poligoni, ma con tessuto vero

Il costume di questo Spider-Man è bellissimo, e soprattutto si può toccare. Per i supereroi l’uniforme è fondamentale. Soprattutto per il Peter Parker di Sam Raimi che, quando indossa la maschera, è di poche parole, contrariamente al fumetto e alla versione MCU. Le ragnatele in evidenza conferiscono una sensazione tattile che la CGI non può ancora dare.

Lo Spider-Man di Tom Holland è snellito dal costume. Deve sembrare agile e giovane, in grado di volteggiare e atterrare con pose ad effetto. Nel 2002 invece che alleggerire si cercava di rendere l’eroe più imponente e muscoloso. I costumi di James Acheson accrescono il contrasto tra le due identità, giocando sul fragile e impacciato contro muscoloso e sicuro di sé.

Soprattutto però Peter arriva alla forma finale dopo un solo tentativo, e se lo disegna da solo! Prima indossa gli abiti da wrestler, poi quelli da supereroe. Che resteranno così, con piccole differenze, per quasi tre film. Nella nuova trilogia invece ad ogni cambio d’abito corrisponde un nuovo stato emotivo, una condizione diversa, e praticamente il vestiario segue l’intero arco del protagonista. Stupendi i colori della scena finale di No Way Home, fedeli allo stile di John Romita Sr, non ci sono però garanzie che questi resistano più di uno-due atti del futuro film.

Quando era amichevole e di quartiere… senza amici né vicini di casa

Il personaggio è versatile sia su carta che al cinema. Può passare da combattimenti in solitaria a team-up con chiunque. Si adatta bene e quasi sempre riesce ad aggiungere valore senza venire messo in secondo piano. Sam Raimi gli dedica una storia di origini senza ornamenti. Certo, non c’era ancora la mentalità di attingere a più proprietà possibile per impostare un universo narrativo.

Stupisce però quanto Tobey Maguire debba portare tutto il peso solo sulle sue spalle. Non c’è un compagno supereroe che possa accelerare il processo di scoperta dei poteri o aiutarlo nelle imprese. Figurarsi a guidarlo! L’esito felice di questa decisione è un villain come Green Goblin (ma soprattutto Doctor Octopus nel sequel) ben scritto, a cui viene dedicato sufficiente tempo. I nuovi film invece si riempiono di gente. Nick Fury, Iron Man, gli altri due Parker, sembrano avere iniziato un trend difficile da arginare. Ormai sembra inevitabile andare verso “l’Uomo Ragno e i suoi fantastici amici”, per citare la serie animata del 1981. Mancano molto però i film in solitaria.

Non serve più una Spider-Cam per stare dietro a Spider-Man

La tecnologia progredisce, eppure nessuno ha più oscillato come lo Spider-Man di Sam Raimi. Merito della Spider-Cam: una cinepresa appesa a un filo tra i palazzi che si muove sia orizzontalmente che verticalmente per stare attaccata al soggetto. L’effetto cinetico è tridimensionale: sembra di essere alle spalle dell’eroe, attaccati alla ragnatela.

Lo “swing” per il regista era importantissimo. Prima di tutto comportava un rischio: a volte si manca il palazzo o non escono le ragnatele (dai polsi). Poi doveva caricare di adrenalina e di velocità in contrasto con la lenta e noiosa vita in borghese. Ci ha provato Marc Webb con The Amazing Spider-Man: il potere di Electro, ma l’eccesso di computer grafica rende tutto più artificiale. Per il nuovo arrampicamuri invece le ragnatele sono un semplice mezzo di trasporto. Infatti la cinepresa cattura dalla distanza, spesso stando ferma. Peccato.

Basta con la storia di origini di stampo classico per Spider-Man

È logico non affrontare più le solite origini al cinema. Abbiamo visto mordere il ragno già troppe volte in poco tempo. L’MCU ha così scelto di estendere la formazione da supereroe su tre film, e l’abbiamo scoperto solo arrivando alla fine. Il lutto, tappa obbligata, si è spostato dalla perdita di Zio Ben a Zia May.

Però rivedendolo oggi colpisce quanto Sam Raimi abbia fatto una origin story dura e pura, fedele al fumetto nelle tappe essenziali. Si prende tanto tempo per arrivare ai poteri, lascia il pieno sfogo al terzo atto. Oggi non sarebbe possibile una cosa del genere. Bisogna arrivare al dunque, mostrare i poteri e poi spiegarli in un secondo tempo. La Marvel ci ha messo molto a cambiare questo modo di fare. Captain America, Thor, Iron Man, sono fedeli ad una progressione lineare con la trasformazione che arriva a 1/3. Ma già Captain Marvel e Black Panther ignoravano l’impostazione ordinata per arrivare subito allo sfoggio di effetti speciali. Difficile che si torni indietro, anche se i film così hanno un sapore vintage che va riscoperto.

Le ragnatele organiche

Tra le cose che oggi non si fanno più, e che difficilmente rivedremo, è il ragno uomo. Ovvero il personaggio che assume in tutto e per tutto le caratteristiche del vettore dei suoi poteri. Il pomo della discordia sono state a lungo le ragnatele organiche emesse dal polso. Idea di James Cameron, poi mantenuta. Difficile credere che nella sua cameretta il giovane studente riuscisse a sintetizzare un composto così rivoluzionario come quello che usa per volteggiare. Quante applicazioni potrebbe avere a livello industriale! Invece, per dare un tocco di realismo (ehm) si è optato per il pacchetto completo.

I fumetti hanno provato ad adeguarsi al cambiamento. I lettori l’hanno respinto. Sebbene fossero una soluzione curiosa, queste ragnatele hanno già dato tutto quello che potevano nel secondo film: diventando cioè espressione della salute psicofisica e simbolo del rifiuto dei grandi poteri e delle grandi responsabilità. 

La scienza come spiegazione di tutto

Nei primi 2000 si pensava fosse importante spiegare tutto. C’era quindi una leggerissima base scientifica, che attingeva ovviamente dai fumetti, con lo scopo di rendere tutto se non plausibile almeno credibile. Abituati come siamo a questo genere, ormai non chiediamo più di essere convinti che tali doti possano esistere o essere ottenute in qualche modo. Ci bastano raggi cosmici, vaghe “magie” o pietre contenenti l’essenza del cosmo. Fa quasi tenerezza quanto tempo si investe per dare l’impressione che le cose che accadono nel film potrebbero accadere anche nel mondo reale. Basta solo che la ricerca stia al passo e magari in un futuro prossimo…

Per fortuna adesso i registi sono alleggeriti da questo compito. Partono con degli spettatori decisamente più favorevoli e non hanno bisogno di legittimare quello che mettono in scena. Guadagnano così tempo per costruire i personaggi e l’intreccio. 

Il nemico è l’esatto opposto dell’eroe

Quando Stan Lee si divertiva a creare i villain tendeva a renderli speculari. Per questo la maggior parte di quelli di Spider-Man deriva dal mondo naturale. Green Goblin è una versione malvagia del genio di Peter. È quello che rischia di diventare da adulto se non vota le sue capacità al bene. Così Doctor Octopus è una figura paterna da combattere per diventare adulti e scegliere finalmente cosa essere. Persino Venom, che Raimi non amava e non voleva, è letteralmente il lato oscuro. Nell’epoca dei grandi film collettivi i gruppi di supereroi non trovano più così spesso un villain che sia l’altra faccia della loro medaglia. Il buono non si definisce più in contrasto con l’altro, ma ha un percorso più autonomo su cui interviene  l’ostacolo da superare.

Questa scelta ha sfoltito alcune ingenuità e molta retorica, ma ha anche reso più difficile la scrittura di buoni nemici da parte degli sceneggiatori dell’MCU. Valorizzando però, di contro, molto di più l’autonomia dell’eroe e dandogli una ragione di esistere anche quando, abbandonate le faccende del quartiere, va a combattere creature dallo spazio profondo. 


Spider-Man film

Una colonna sonora impossibile da canticchiare

Il tema di Danny Elfman è iconico. Provate a fischiettarlo. Ci riuscite?

Le colonne sonore dei cinecomic sono parecchio discontinue e non seguono trend precisi. Persino i Marvel Studios che per molte opere non hanno saputo trovare un motivetto memorabile, stanno curando maggiormente il comparto musicale. Doctor Strange ha un suo tema, così anche il nuovo Spider-Man, Captain America, Thor, gli Avengers ovviamente. Magari non li si ricorda, a volte sono persi sotto molti minuti di note di copertura, però si possono canticchiare quasi tutti. 

Danny Elfman è riuscito a creare una colonna sonora che non accompagna solo le immagini: le sue sono le note che sente in testa Spider-Man, sono un’intricata matassa di linee che vanno a formare un totale compatto e ben riconoscibile. Sono delle ragnatele in musica. Impossibile da replicare. Inutile chiedere qualcosa del genere ai nuovi compositori. 

La bella da salvare si salva anche da sola

In No Way Home c’è un passaggio fondamentale. Andrew Garfield, che salva Zendaya. Peter che salva “l’ M.J” di un altro. Allo stesso tempo però è la ragazza a essere determinante per le scelte più importanti di tutto il film. Giustamente si arrabbia quando non viene consultata. Cambia la cultura, cambia l’idea del rapporto tra maschile e femminile, si distrugge l’idea stereotipica di forza, contro la sensibile fragilità.

Così l’interesse amoroso non è più passivo. Ad esempio scopre l’identità in autonomia e con la logica, decide della relazione, salva l’Uomo Ragno, lo aiuta, è una supereroina senza poteri. O meglio, è un personaggio scritto per esistere anche senza il protagonista. Ed è meglio così, perché per quanto Sam Raimi si sia sforzato di rendere Mary Jane più complessa di un semplice corpo da salvare, lei è sempre un passo indietro. È desiderata, è femme fatale, una donna angelicata perfettamente coerente con il cinema di un tempo, ma che difficilmente rivedremo.

Il nome alla fine

Io sono Spider-Man. La dichiarazione di identità che accompagnava il finale di quasi tutti i film di supereroi. Il culmine del processo di trasformazione fino ad accettare la doppia identità. Nel film di Raimi la frase non suona convenzionale. È più forte, ha un significato rispetto al dramma che affronta Peter Parker, il vedere le sue azioni buone nei panni dell’Uomo Ragno avere conseguenze sulla sua esistenza di giovane studente del Queens. Oggi nessuno lo dice quasi più. Perciò quelle ultime parole risuonano antiche, solenni e lontane. Sono però perfette per il finale: era nato lo Spider-Man cinematografico.

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