La pandemia e il distanziamento del lockdown hanno creato una nuova consapevolezza rispetto alla sicurezza delle proprie famiglie e sul godere della reciproca vicinanza. È stato così anche per Steven Spielberg, regista sempre in cerca del suo prossimo progetto, che nell’aprile 2020 accompagnò suo padre di 103 anni durante i suoi ultimi istanti. La perdita dell’ultimo genitore diede nuova forza a un film da tempo nel cassetto: The Fabelmans. La sua prima storia di formazione, come definita da Spielberg stesso. Il film che ancora non aveva girato e l’unico che, in quel momento, voleva mostrare. Il più personale.

Così The Fabelmans è un viaggio nei suoi ricordi d’infanzia, rimescolati con la finzione del cinema. Racconta della nascente passione del cinema, lo sguardo di un cantastorie per immagini che si forma dall’infanzia, cresce nell’adolescenza e si consolida nella giovinezza. Dentro c’è anche la rappresentazione di un amore infranto, quello dei suoi due genitori (Mitzi e Burt, nomi di finzione) e il conseguente divorzio. 

Steven Spielberg ha sempre messo se stesso nei suoi film e nei suoi personaggi. In senso inverso i suoi film gli hanno sempre parlato, dato un qualcosa nella vita reale (sostiene di avere deciso di diventare padre dopo avere lavorato a contatto con attori bambini sul set di E.T). Non c’è mai stata però, nella sua filmografia, un’opera come come The Fabelmans così esplicitamente autobiografica. 

Le origini di The Fabelmans (e di Spielberg)

In un lungo servizio di copertina dell’Hollywood Reporter lo sceneggiatore Tony Kushner ha raccontato che il film è nato quasi come un distensivo durante le fatiche di West Side Story nel 2019. Per dare aria e far sbollire alcune divergenze creative Spielberg propose a Kushner di lavorare su alcune note di The Fabelmans e provare a costruire il film. Raccolse molto scetticismo da parte dello sceneggiatore, non abituato a scrivere a quattro mani. Il lockdown cambiò tutto, insieme alla morte di Arnold Spielberg. The Fabelmans diventò una necessaria elaborazione del lutto in forma artistica per lui. Un dolore affidato al mezzo cinematografico.

Costruito in lunghe sessioni settimanali via zoom, il film è stato girato nell’estate del 2021 per 59 giorni. Spielberg è un artista che ama circondarsi da collaboratori fidati. Per creare un lungometraggio così personale ha chiamato a raccolta molte delle persone che l’hanno accompagnato nella sua carriera. Il direttore della fotografia Janusz Kaminski, lo scenografo Rick Carter, il montatore Michael Kahn e, ovviamente, John Williams per la colonna sonora. Macosko Krieger, l’assistente del regista, ha detto: “ci sentivamo tutti protettivi nei suoi confronti. Sapevamo che stava mettendo il suo cuore sotto gli occhi di tutti per vederlo per la prima volta”. 

Spielberg ha descritto le sue emozioni provate nel girare in set identici alla sua casa e ai suoi luoghi d’infanzia:

Andare sul set ogni mattina e camminare in un luogo che è l’esatta replica della casa in cui sono cresciuto ha creato un livello di nostalgia al limite del dolore. Era però un tipo di lutto salutare. Ci sono stati momenti difficili. Dopo avere chiamato il cut mi è capitato di dover lasciare il set. Inevitabilmente vedevo Paul (Dano) arrivare e avvicinarsi a me abbracciandomi. La stessa cosa accadeva con Michelle (Williams). Quando alzavo le mani e dicevo di avere bisogno di una pausa lei veniva a cercarmi. 

the fabelmans

La scelta del cast

Per creare un clima così accogliente sul set, Spielberg ha scelto gli interpreti seguendo l’istinto. Con Paul Dano, che interpreta suo padre, ha avuto un colloquio via zoom in cui il regista ha riconosciuto subito i tratti caratteriali a lui cari. È andato a colpo sicuro, scegliendolo direttamente per un ruolo diverso da quelli per cui è noto. 

La stessa cosa è avvenuta con Michelle Williams, che nel colloquio online indossava casualmente una collana simile a una posseduta dalla madre di Spielberg. Anche in questo caso, la scelta di casting è stata frutto dell’intuizione personale.

Per Gabriel LaBelle, che interpreta Sammy, ovvero Steven da piccolo, il processo di selezione ha seguito il processo più usuale. Un’audizione tramite videoconferenza con quaranta persone, tra cui la direttrice del casting Cindy Tolan. Una volta ottenuto il ruolo le parti si sono invertite: Spielberg si è messo a disposizione per rispondere a tutte le domande del giovane attore. 

Per prepararsi gli è stato dato accesso al vasto archivio di foto e di filmati delle famiglia, riproducendo gli oggetti più antichi e utilizzando per i costumi anche i gioielli autentici.

La famiglia Spielberg in The Fabelmans

Quando un autore entra troppo nella sua opera, il rischio è di lasciare il pubblico fuori dal treno. The Fabelmans è stato progettato però su due livelli: Spielberg e Kushner volevano che fosse godibile per tutti. Chi si accorge del registro autobiografico può notare tanti dettagli che arricchiscono la storia con un tocco personale. Parte del pubblico se lo godrà allo stesso modo come un film di finzione. 

Le sorelle Spielberg sono state vicine al fratello durante la lavorazione, anche sul set. Era nervoso rispetto al parere degli altri famigliari, insieme all’ansia di proporre al pubblico un contenuto così intimo. Ne è emerso così un film dal duplice valore: un omaggio al cinema come oggetto capace di influenzare le vite, e un rito per affrontare e convivere con il dolore della perdita. Quasi un’opera testamento, sicuramente un punto fermo nella filmografia che riassume e chiude tante suggestioni iniziate nel passato. Non però l’ultimo suo film. La produttrice Macosko Krieger rassicura: nessuno riuscirà mai a togliergli la cinepresa dalle mani. 

Fonte: Hollywood Reporter

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