L’arrivo di Taika Waititi alla guida di Thor doveva essere un elettroshock e così è stato. Ha ridestato il personaggio dalla irrilevanza. Non che la gestione Branagh fosse sbagliata, anzi il primo film aveva molte cose buone e un finale per nulla azzeccato. Solo che l’eroe shakespeariano incapace di comprendere i valori asgardiani e quindi diventare degno dei suoi poteri aveva già detto tutto. Il Dio del tuono dopo aver fatto arrabbiare il padre Odino ha capito l’errore. È diventato più maturo, responsabile e consapevole del suo ruolo. Ha salvato la terra e si è guadagnato il potere. Vissero tutti felici e contenti. Fine.

Invece nel Marvel Cinematic Universe le saghe non finiscono al primo capitolo e il personaggio si è trovato a rinnovarsi, senza avere nient’altro da fare. Aveva raggiunto quello che nei fumetti è il massimo del suo sviluppo in positivo. Quello che Iron Man raggiungerà solo in Endgame e Captain America con la sua prima morte, quella nei ghiacci per poi rinascere (metaforicamente) e riadattarsi da zero a una nuova epoca. Thor era statico, Asgard era noiosa nella sua gloria. 

Nei fumetti Stan Lee, che non trovava alcun interesse nella perfezione, ha costretto il semidio a confrontarsi con la fragilità umana. Gli ha creato un’identità segreta: quella di Donald Blake, uno studente di medicina fragile e zoppo. Nei film, a questo punto della notorietà di Chris Hemsworth, non era possibile una soluzione del genere. Si poteva però umanizzarlo facendogli provare tutto ciò che provano le persone – e non gli Dei – 10 volte più intensamente. Perde la madre, il padre, più volte il fratello, fallisce nel difendere il suo popolo, gli esplode di fronte agli occhi il suo regno. Sbaglia pure il rigore decisivo, il colpo alla testa che avrebbe sconfitto Thanos.

Decostruzione di un personaggio fatto a pezzi

Il passaggio più importante dei questo restauro operato da Waititi sta però in due elementi ben diversi da quelli che vengono più volte enunciati da Thor stesso. Lui racconta infatti la sua storia leggendola attraverso i drammi (mai le vittorie che pure ci sono) sia in Infinity War che in Love and Thunder

Il vero cambiamento è, ovviamente, nel tono. Più solare, divertente, Thor non si prende più sul serio. Il mito non è più credibile, gli Dei sono un concetto ormai in declino. Come tutto ciò che passa oltre il suo tempo diventano goffi, imbarazzanti e pieni di sé. La storyline di Gorr si inserisce proprio qui. Un fedele deluso dopo tante preghiere andate a vuoto, un pantheon incurante e svogliato di privilegiati che dentro i loro palazzi dorati osservano ridendo le sorti del mondo. Taika Waititi ribalta il riso, lo reindirizza verso di loro. L’1% del cosmo. Quelli che nell’economia Marvel, in cui i poteri implicano un diverso status sociale, sono l’equivalente dei super ricchi nel mondo reale.

In parallelo a questo, Thor: Ragnarok ha lanciato la più grande rottura rispetto al passato. Il nuovo trauma da risolvere. Ed è una cosa gigantesca. Thor si rende conto che il regno di suo padre è un’illusione. Il benessere di Asgard è costruito sulla morte degli altri. La lucente politica, la positività dell’espansione nella galassia, sono una recita (come quella che si vede in entrambi i film). Una finzione che la monarchia ama raccontarsi.

Solo che il Re è il padre di Thor. Il modello a cui lui vuole conformarsi. Perde un occhio in battaglia, inconsapevolmente diventa persino corpulento come lui! È pronto ad essere il nuovo Odino senza regno e senza un modello da seguire.

La crisi di mezza età è alle porte. La giovinezza è finita, e non è andata come sperava. La depressione divina con cui convive gli fa sentire solo le sconfitte. Le vittorie sono cantate dagli altri. Così per Thor c’è anche la sindrome dell’impostore. Erede per diritto di nascita viene “tradito” persino dal suo martello. 

thor love and thunder

Thor: Love and Thunder è una conclusione e un nuovo inizio

Gorr è un personaggio molto diverso da quello dei fumetti. Meno potente e più sottile rapisce i bambini (tra le varie ragioni) per tagliare le radici del popolo già decimato. L’alieno non è però il nemico più potente che il Dio del tuono abbia mai affrontato. È uno dei tanti villain di “una classica avventura alla Thor”. Il problema è che Gorr colpisce proprio nel cuore della città e nel punto più debole del figlio di Odino. Diventare condottieri comporta saper difendere i propri figli ancora meglio di come si sappia fare con se stessi.

A Thor questo non è mai riuscito. È sempre uscito incolume, mentre gli altri morivano. Qui si chiude il primo grande arco narrativo del supereroe. 

Disperato e disorganizzato nel tentativo di una controffensiva, sbaglia tutto. Cade in ogni trappola. La presenza di Jane Foster, la potente Thor, gli ispira una soluzione alternativa, mai tentata da nessun regnante e da nessun eroe asgardiano. Lei convive con la malattia che la sta uccidendo. Sceglie di vivere al massimo delle sue possibilità, anche se questo comporta accelerare la morte.

Nessuno nel regno degli Dei ha mai fatto questo a se stesso. Perché per anni il potere è stato ostentato, l’immortalità del singolo era prioritaria rispetto a quello del regno. Thor allora esce dalla crisi di mezza età diventando quello che era Odino senza che lui ne avesse mai svolto veramente la funzione: il padre di tutti gli Dei (non è un caso che in questo film ci sia anche Zeus). Smette di proteggere i bambini da solo. Li mette in condizione di difendersi autonomamente contro “l’uomo nero”. Condivide i poteri, li spezza come Jane Foster fa con il Mjolnir e li distribuisce come un genitore.

Alla fine il momento del confronto con Gorr si risolve in una maniera insolita per un cinecomic. Si depongono le armi e si parla. Odino non l’avrebbe mai fatto, il Thor sconfitto sì. Di fronte alla sfida più grande, quella di far camminare un popolo con le sue gambe, il Dio del tuono cambia il linguaggio delle leggende. Dove si prometteva vendetta, morte e distruzione, lui promette amore. Diventando padre si emancipa dal suo passato e vince per la prima volta. Ha interrotto la scia di morte che la guerra portava con sé, i suoi trionfi costati il sangue dei suoi cari. Smettendo di essere Dio e iniziando a essere umano ha trovato una figlia. La sua prima vittoria. 

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