“Ma cosa, Top Gun: Maverick non è un outsider!” starà pensando qualche lettore “e merita di essere candidato!”. Si calmino gli spiriti ardenti alla Bradley Bradshaw o alla Tom Kazansky, è chiaro che il film di Cruise, Kosinski e Bruckheimer si è guadagnato a forza e a testa alta il suo posto nella decina di candidati a miglior film. Ma chi avrebbe scommesso sulla sua candidatura prima della sua prima proiezione? Maverick era un blockbuster estivo che suonava nella migliore delle ipotesi datato, nostalgico, geriatrico. Ha ribaltato ad uno ad uno questi pregiudizi venendo realizzato al meglio delle sue possibilità.

Su Tom Cruise, su cui non vale la pena soffermarsi troppo. Anima, corpo, cuore pulsante. Basta vederlo per capire quanto Top Gun: Maverick sia la sua creatura. Ma senza altre due figure essenziali avrebbe fatto lo stesso?Joseph Kosinski è stato un ottimo conduttore d’orchestra con una regia non invadente, totalmente improntata al ritmo.

Infine va menzionato Jerry Bruckheimer. Lo storico produttore, artefice di grandi successi, non aveva mai raggiunto una nomination all’Oscar prima d’ora. A 79 anni di età, con più di 50 film prodotti (molti di questi hanno distrutto il botteghino) ha finalmente rotto la maledizione. Che intuito, che capacità di intuire i gusti e i bisogni del grande pubblico. È l’eroe le cui gesta non sono cantate, quando si commenta quello che è stato il film dell’annata del 2022. Questa candidatura suona tanto come meritato riconoscimento alla carriera. La sua e quella di Cruise.

Cosa ci fa candidato Top Gun: Maverick?

Con una storia ridotta all’osso, il film aveva tanti compiti, molti dei quali legati, terra a terra, ai desideri di chi produce un blockbuster. Accolto come un miraggio nel deserto dall’esercizio cinematografico, è stato il prodotto che ha ricordato a tutti (prima di Avatar) cosa può fare il grande schermo quando va al massimo. Americanissimo, tira dritto senza troppi dubbi morali. I buoni hanno un volto, i cattivi no quindi fa niente se muoiono. La missione è da compiere, delle conseguenze politiche se ne occuperanno altri. Però quando è arrivato Top Gun: Maverick a pochi hanno pesato queste sue ingenuità. Anzi, sono diventate il suo più grande pregio insieme alle incredibili riprese aeree.

Era il film giusto al momento giusto. Ha fatto star bene molte persone. Gli analisti l’hanno visto negli incassi; le maschere l’hanno visto dalle facce di chi usciva dalla sala. 

Top Gun Maverick Tom Cruise

Tecnicamente ineccepibile, la sua candidatura a miglior film agli Oscar 2023 è un segnale fortissimo, molto di più di quello mandato dai più composti e raffinati rivali arthouse. Spielberg si è detto contentissimo. Facile capirlo, anche se non è semplice ammetterlo per una Hollywood sempre più impettita: Top Gun: Maverick è il collegamento affettivo tra il pubblico vastissimo e la sala. La sua nomination è un riconoscimento a questo. Populismo? Forse. Vediamola però come una ritrovata umiltà di una Hollywood che, per un attimo, per un film solo, smette di pretendere di cambiare il mondo ad ogni piè sospinto e ammette di essere ancora una grande fucina di intrattenimento. Prima di tutto.

Ma alla fine, il film, com’è?

Bello, sicuramente. Per qualcuno anche bellissimo. Ha il problema felice di non essere riproducibile nemmeno con l’impianto casalingo migliore. È fatto per i formati premium, IMAX e oltre. Certo, deve un po’ piacere il genere e bisogna essere predisposti a non pensare a qualche dialogo atroce e all’eccesso di spiegazioni sui dettagli della missione. Per dare un’idea: a poche ore dall’operazione per cui i militari si sono allenati per mesi i comandanti sentono il bisogno di dare una ripassatina a quello che bisogna fare. La terza volta (o più) che viene esposto nei dialoghi.

C’è poi un momento molto emozionante in cui Val Kilmer ritorna nei panni di Iceman. Il ricatto emotivo, date le condizioni dell’attore, si limita galantemente a scaldare il cuore. Molto rispettosa del personaggio e di chi guarda, la scena del dialogo tra Pete Mitchell e Tom Kazansky trasporta il film dal remake alla dimensione di sequel.

Come si colloca rispetto agli altri candidati?

Non vincerà, come è giusto che sia. Però ancora più di Avatar: la via dell’acqua, Top Gun: Maverick distacca tutti gli altri di una spanna per quanto sia un ospite non gradito ma impossibile da respingere. È come un tipo da bar che entra in un ristorante stellato. Attira l’attenzione e anche il disprezzo. Alla fine tutti si ricorderanno di lui più della reginetta della serata. 

È fisicamente impossibile guardare la decina di candidati e volergli male o volerlo fuori (se qualcuno lo pensa verifichi di non avere un bidone dell’ immondizia al posto del cuore). Perché il cinema è anche progresso tecnico e per mantenere la propria posizione nello spettacolo bisogna spostare l’asticella sempre un po’ più in là. Se non ci fossero stati in passato film come Top Gun: Maverick capaci di ispirare i giovani cinefili e di unire le famiglie in un’esperienza per tutti, oggi non esisterebbe nessun The Fabelmans

Top Gun Maverick Glenn Powell

Cosa resterà di Top Gun: Maverick dopo gli Oscar 2023?

L’idea, difficile da smentire, è che l’outsider degli Oscar sarà quello che più rimarrà nel tempo. Avatar può essere fatto solo da James Cameron con i suoi titanici mezzi, l’infinito tempo e le enormi competenze. Ma se Kosinski ha realizzato un film come questo, possiamo pretendere la stessa qualità da tutti i blockbuster.

Ha inoltre trovato la giusta interpretazione della nostalgia da usare per creare qualcosa di nuovo. Ha dimostrato che non c’è nulla di intoccabile e che a volte i simil remake possono essere meglio dei film cult. Infine ha ribadito a un intrattenimento in crisi di star che un attore può ancora segnare le sorti di un film. Più difficile costruire in fabbrica qualcuno come Tom Cruise. Ci stanno provando, ma il materiale di cui è fatto non è ancora stato scoperto. 

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