Transformers 3 va in onda su Italia Uno questa sera alle 21:20

Dopo l’1 c’è il 2, e dopo il 2 c’è il 3: stiamo continuando l’opera di rewatch della saga di Transformers e quindi stiamo inevitabilmente perdendo punti di QI, ma non abbastanza da dimenticarci i rudimenti della matematica. Per cui, dopo aver parlato di Transformers e di Transformers 2, il nostro cervello ci suggerisce che è arrivato il momento di Transformers 3, il punto di non ritorno per il franchise, l’apice irraggiungibile (o per lo meno non ancora raggiunto) del Bayhem e anche dei film di robottoni, almeno per un paio d’anni, prima che uscisse Pacific Rim a prendersi di prepotenza il trono. E cosa si può dire di Transformers 3 che non si possa riassumere nella frase “è Michael Bay all’ennesima potenza”? Non lo sappiamo, anche per colpa di quella faccenda del QI, ma ci proveremo lo stesso.

I primi due capitoli di Transformers avevano già flirtato abbondantemente con il complottismo e con quel gusto un po’ da Forrest Gump di mischiare finzione e storia vera reinterpretando noti eventi del passato sotto la luce dell’esistenza dei robottoni alieni (OK, quest’ultima parte in Forrest Gump non c’era), ma è con Transformers 3 che il michaelbay-ismo anche della sceneggiatura raggiunge il suo apice. Già nei primi minuti del film impariamo, in una sequenza di apertura che è anche l’ennesima retcon della saga, che è almeno dagli anni Sessanta che sappiamo dell’esistenza di Autobot e Decepticon, e addirittura che Neil Armstrong e Buzz Aldrin (che fa anche una comparsata nel film nei panni di sé stesso) furono spediti sulla Luna per investigare una misteriosa astronave aliena cascata sul nostro satellite qualche tempo prima.

Transformers 3 soldati

Capirete che quando un film si apre spiegandoti che la corsa allo spazio (e probabilmente l’intera Guerra Fredda) fu in realtà una scusa per arrivare il prima possibile sul lato oscuro della Luna a investigare un misterioso artefatto alieno, qualsiasi cosa succeda da lì in avanti non può più sembrare un’assurdità: dopo una decina di minuti di film Transformers 3 ha già scoperto tutte le carte, e ci ha fatto capire che, se avevamo trovato un po’ scema la soluzione narrativa di Transformers 2 che trasformava Shia LaBeouf in una sorta di hard disk esterno cosmico, è arrivato il momento di allacciare le cinture del cervello perché a fine film ci sembrerà la cosa più logica del mondo.

Come sempre nei Transformers c’è un MacGuffin: in questo caso una serie di pilastri tecnomagici capaci di creare portali dimensionali che i Decepticon vogliono usare per invadere la Terra – teletrasportando non solo il loro esercito ma direttamente il loro intero pianeta. Il MacGuffin-pilastro fa il paio con il MacGuffin-Sentinel, un Grande Antico Autobot che viene recuperato dalla Luna insieme ai pilastri e che potrebbe o non potrebbe in realtà essere dalla parte dei Decepticon. Lo scopo della missione, quindi, questa volta è presto detto: niente viaggi alle Piramidi in cerca di improbabili chiavi cosmiche, si tratta piuttosto di distruggere una serie di cilindri di metallo prima che questi trasportino un intero pianeta nell’orbita terrestre.

Robotto

Tutto quello che abbiamo scritto finora, e tutto quello che fanno Autobot e Decepticon per cercare di raggiungere il rispettivo scopo, è messo in scena da un Bay più in stato di grazia del solito. È in Transformers 3 che il Bayhem raggiunge il suo apice; se non sapete cos’è il Bayhem, qui c’è un ottimo video dell’altrettanto ottimo canale (ahinoi ormai chiuso) Every Frame A Painting.

Una bella e sintetica definizione la trovate incredibilmente proprio tra i commenti al video: “Il Bayhem è l’equivalente cinematografico del CAPS LOCK: prende qualcosa che dovrebbe essere usato per dare un effetto drammatico e lo usa per qualsiasi cosa”. Difficile trovare un’analogia migliore, soprattutto dopo aver visto Transformers 3, un film di due ore e mezza che, quando arriva intorno all’ora e quaranta, decide che si è stufato di fare finta di avere una trama e dei personaggi e inscena tre quarti d’ora di battaglia senza respiro tra le strade di Chicago che è ancora oggi uno dei punti più alti dell’intera carriera di Bay.

Dov’è allora il problema di Transformers 3, se finora ne abbiamo solo tessuto le lodi? Si riassume in due parole, ma non fraintendeteci, ora ci spieghiamo: le due parole sono “Shia” e “LaBeouf”. Niente contro di lui, anzi: arrivato al terzo film, e alla faccia delle sue stesse opinioni sul franchise, LaBeouf si identifica ormai alla perfezione con Sam Witwicky, e continua a farlo crescere ed evolvere in risposta a quello che la trama gli scaraventa in faccia. No, il problema è la dipendenza dalla sua figura della quale soffrono tutti i film dei Transformers.

HGungiton

Sam Witwicky è stato introdotto nel primo film perché serviva un lato umano e spielberghiano a fare da contraltare a quello action/sci-fi. Sam Witwicky è anche una creatura che porta impresso sul braccio, brillante e visibile da chilometri di distanza, il marchio di Michael Bay, uno che è tanto bravo a girare l’azione quanto pessimo a girare un’interazione tra due esseri umani. Bay è particolarmente pessimo quando si tratta di far ridere (e non perché non sia capace, come dimostra Pain & Gain), e Transformers ha sempre sofferto particolarmente dello spirito di patata del suo autore. C’è sempre stato un lato comedy nei film, identificato quasi interamente con Sam (e in parte con l’umiliantissimo personaggio di John Turturro), che invece di venire gradualmente abbandonato con l’alzarsi della posta in palio è stato approfondito film dopo film.

Già Transformers 2 era a tratti stomachevole in questo senso, con una serie infinita di gag stiratissime e infantili che dimostravano come quello che fa ridere Michael Bay non necessariamente fa ridere il resto del mondo. È però in Transformers 3 che si passa definitivamente il limite e si comincia a sognare una versione del film lunga 80 minuti dalla quale sono state tagliate tutte le scene pseudoromantiche con Shia LaBeouf e Rosie Huntington-Whiteley (che peraltro dimostrano la stessa alchimia che avevano Bruce Willis e Marlon Wayans sul set di L’ultimo boyscout), e soprattutto tutte le scene che coinvolgono i genitori di Sam.

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Insomma: di fronte a un film come Transformers 3, tanto maestoso e quasi inarrivabile dal punto di vista visivo tanto inaffrontabile a livello di scrittura e completamente disomogeneo in termini di tono, non si può fare altro che alzare le mani.

Questo è Michael Bay, questo è il Bayhem e questo è il suo apice: non vi farà sentire più intelligenti, ma di sicuro vi divertirete.

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