Daredevil è disponibile in streaming su Disney+.

Daredevil di Mark Steven Johnson, del 2003, fu come risvegliarsi da un bel sogno. Nel 2000 Bryan Singer aveva dimostrato con il suo X-Men che potevano esistere delle trasposizioni delle storie dei fumetti Marvel che fossero anche valide come film. Nel 2002 lo Spider-Man di Sam Raimi apriva definitivamente nuovi scenari. In due anni si capì che il modello del Batman di Burton e del Superman di Donner, cioè produzioni che credevano in se stesse, che uscivano dalla nicchia per conquistare il grande pubblico con orgoglio e budget di serie A, poteva essere applicato a una miriade di personaggi.

Poi è arrivato Daredevil, e poi Elektra.

Una combinazione che si è sedimentata nella memoria collettiva solo per i momenti imbarazzanti. Soprattutto nel primo ci sono infatti anche buone idee che scivolano però addosso, mentre le sue brutture si aggrappano per sempre. Come i tanti flash da video clip che martoriano il film, se si ripensa alla pellicola vengono in mente squarci di orrori come: le faccette di Colin Farrell. Il combattimento\corteggiamento tra un Ben Affleck dal taglio sbarazzino e Jennifer Garner. Al parco giochi. Mentre i bambini incitano alla rissa. Sperando che il cieco picchi a sangue la donna che ha seguito come uno stalker.

Si ricorda il Kingpin di Michael Clarke Duncan. Nero. Non che ci sia nulla di male nel cambiare i connotati a un personaggio. E lui aveva il fisico perfetto. Solo che non serve una grande sensibilità sui temi della rappresentazione per capire che dargli la parte del peggior criminale bianco delle storie del Diavolo di Hells Kitchen porta a conclusioni a dir poco razziste. Si ricorda la doppia D segnata sul terreno con la benzina (ma perché?) a cui Phil Urich dà fuoco lanciando una sigaretta senza premurarsi di allontanare i poliziotti nei paraggi. E gli Evanescence. E una colonna sonora fatta di canzoni a cui sembra sia stato cucito attorno il film solo per lanciare la compilation.

Però Daredevil non è solo le sue assurdità, il suo procedere rapido e confuso. Sotto il bel costume e qualche trovata intelligente come la vasca di deprivazione sensoriale e la pioggia che permette di vedere usando i sensi, c’è anche un film molto ambizioso. Troppo forse. 

Daredevil

Dardevil è un profondo film sulla giustizia?

Senza saperne reggere la gestione, Mark Steven Johnson (qui anche sceneggiatore) ama le contraddizioni di Matt Murdock. I due lati della giustizia: quella della legge e quella morale, privata, della notte. Sono emersi in anni di storie e grazie ad acuti scrittori. Daredevil invece li butta lì sin dall’inizio, durante le prime confessioni del supereroe, senza dargli lo spazio per esprimersi veramente. Ci sono nel film, perché lo dicono e le fanno anche vedere (la scena dello stupratore Joe Quesada, ricordatevi questo nome). Solo che queste contraddizioni non sono mai contraddittorie.

Ci sono e basta, senza troppi problemi per Matt. Il suo alter ego è distante da lui come nessuna identità segreta è mai stata da alcun supereroe. Persino quando si rischia di svelare chi sia veramente, l’incontro tra la vita notturna e quella di giorno non ha grande peso su di lui.

Non si può dire che non si sia capito il personaggio. I passaggi fondamentali ci sono: il Foggy Nelson di Jon Favreau non è comunque da buttare via, un contrappunto ironico che andava messo. La ragazza morta è fondamentale nella sua formazione (persino lui ha perso il conto di quante ne ha dovute seppellire nei fumetti). Il rapporto con le sue strade e la corruzione che le permette di vivere con un sistema di regole non scritte, sono ben trasposte. Per quanto possa valere il termine “bene” in un film così pasticciato.

Alla fine nulla di questo resta. Sono solo spunte su una lista della spesa. Cose fatte senza sentire veramente l’interesse che si può generare. Domande a cui viene data subito una risposta. Dilemmi senza dubbi.

Daredevil è un eccentrico film di supereroi?

La strada drammatica si interrompe qui. Senza andare da nessuna parte. Allora proviamo quella colorata e dissonante. L’adrenalina e la voglia di esprimere i propri poteri che attrae verso i pacchetti a ridosso dei ristoranti e fa venire quell’esigenza di saltare sugli attrezzi con entrambi i piedi. 

Incastrata tra una scena e l’altra esiste questo film. Il divertente spettacolo action per ragazzi. Il fumettone che non crede nel cinema, ma ha fiducia nei fumetti e quello vuole fare. Dialoghi grossi, frasi solenni, esagerate, scritte in grassetto. Grandi scene da splash page e montaggio frenetico a piccole vignette con molta china e pochi colori. 

Ci sono tanti poteri, e vengono fatti vedere con generosità. La vista sensoriale, i super riflessi che permettono di prendere al volo una pallina (gesto simile a quello della mattonella di No Way Home, ma non osiamo nominare la citazione volontaria). La fisica dei salti dai tetti è piuttosto implausibile, ma non desta scandalo. Il bastone multi funzione e il costume rigido e scricchiolante sono oggetti affascinanti. Solo che preparandosi all’azione il nostro compie delle mosse in aria senza motivo come un personaggio anime. I suoi occhiali sono poi al confine con la realtà aumentata. Riflettono tutto come uno specchio: lo skyline della città, i ricordi, le intenzioni. Con una spruzzata di rallentatore anni ’90. Terribile.

Eppure il diavolo mascherato è inquadrato bene. Salta da un balcone e atterra sulla pozzanghera di cui vediamo il riflesso. Si muove nella notte alto e imponente. Si conserva però anche quella fragilità della carne che lo caratterizza. La direzione è quella giusta. E la doccia con sputo di dente saltato è azzeccata (anche se, andando avanti così, perdendo molari ad ogni scontro con piccoli criminali, presto gli toccherà valutare la dentiera).

 

Daredevil Kingpin

 

Queste singole parti divertentissime ed eccentriche al punto giusto non sono però tenute insieme da un personaggio. Il film si riduce a uno showreel di abilità e mosse, come quando un videogiocatore prova le funzioni schiacciando i tasti a caso. Serviva un collante: un avvocato cieco che desse una ragione a ogni pugno, che non si immergesse nell’acqua per trovare pace ai suoi super sensi salvo subito dopo sparare al massimo la musica in casa. 

Ci si diverte con ignoranza. Cioè non sapendo quello che esiste e che potrebbe essere al di fuori di quel film. Lì si che si trova la vera contraddizione amletica. Essere o non essere. Lasciarsi andare tornando agli eccentrici primi anni dei supereroi al cinema o contenersi e mettersi la giacca elegante? Nell’indecisione si è presentato in sala con cravatta e bermuda. 

Daredevil è un film aziendale, un fan-movie fatto dalla Marvel stessa.

Il temibile Joe Quesada che abbiamo citato poc’anzi condivide il nome con l’allora editor in chief della Marvel. Così come i pugili Miller, Mack, Bendis vengono da Frank Miller (che compare anche nel film come uno scagnozzo), l’illustratore David Mack e lo scrittore di Devil Brian Michael Bendis. 

Jack Murdoch deve combattere John Romita in un incontro di pugilato. Lo storico disegnatore del personaggio. Così come Padre Everett è un riferimento al primo che disegnò il personaggio: Bill Everett. Kevin Smith, che in quegli anni scriveva per la Marvel, interpreta una piccola parte. Come si chiama il suo personaggio? Ovviamente: Jack Kirby.

Il consueto cameo di Stan Lee sembra quasi di troppo in questa specie di festa aziendale in costume. In Daredevil c’è quella voglia di strizzare l’occhio ai lettori dei fumetti con inside joke che solo loro possono capire. Come se fossero a disagio nel fare un film per tutti, anche per i neofiti. Solo che questa attenzione alla easter egg e al cameo non porta mai a un film migliore. Sono tutte chiuse in sé. Non danno nient’altro. 

La rivoluzione di Kevin Feige è stata proprio quella di incorporare i piccoli dettagli come elemento subliminale che aumenta la portata della narrazione.

Nel film di Mark Steven Johnson invece tutto è fine a se stesso. Non ha senso che l’eroe si firmi dopo essersi fatto giustizia da solo in segreto. Gli accostamenti religiosi tipici del fumetto di Miller non funzionano se si monta il volto della Madonna con quello di Ben Affleck. Le pose che richiamano le illustrazioni più celebri scadono nel didascalico. Simpatiche nei fotogrammi, risibili nel contesto di quello che succede. Per una posa ad effetto si sceglie la mossa più scomoda e la strada più difficile.

Daredevil è un film da odiare?

Daredevil vuole essere tutto, e alla fine non è niente. Fallisce in ogni suo proposito: non intrattiene, non emoziona, non è profondo e nemmeno spettacolare. Un brutto film insomma. 

Però è anche un’opera non riuscita che vuole far di tutto per farsi voler bene. E a distanza di anni, dopo le pernacchie iniziali, oggi fa quasi tenerezza. Sembra nato in altri tempi, lontanissimi più di quanto siano effettivamente, generato da un modo di intendere il cinema supereroistico acerbo. È perciò difficile odiarlo: perché è sbagliato in ogni sua parte, ma lo è per via di un limite del linguaggio usato nella trasposizione. Generoso, con una gran voglia di dichiarare il suo amore per il materiale originale, è la produzione di un gruppo di fan, che incidentalmente è anche stipendiato dalla casa editrice, non di cineasti.

Daredevil è un errore che, nel male, ha fatto la storia del genere. Sono quindi ben più insopportabili i film che, pur avendo tutti gli strumenti a disposizione, e la conoscenza data da anni e anni di adattamenti, sono volutamente malfatti e girati con la mano sinistra per approfittare della moda del momento e incassare facile. 

Tipo Morbius. 

O Venom.

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