Ora che è stato assegnato il Leone d’Oro a L’événement di Audrey Diwan è evidente che il movimento di opinione e pressione intorno a una diversa considerazione delle cineaste nei festival ha compiuto un cambiamento. Non è arrivato al 5050×2020 (cioè la parità di genere in concorso entro il 2020) che si era ripromesso, quello no, ma che a Cannes 74 e a Venezia 78 abbia vinto un film diretto da una donna e che alla Berlinale abbia vinto un film centrato su una donna non suonano come casualità.

Sarebbe facile attribuire le vittorie a un condizionamento o a pressioni politiche. Ma anche sbagliato. È semmai frutto di diversi mutamenti: mutamenti nei concorsi, che da anni non solo hanno un numero maggiore di cineaste in competizione ma anche un’attenzione diversa a queste; mutamenti nella composizione delle giurie, nelle quali sempre di più ci sono donne e donne con opinioni forti (in quella di Venezia ad esempio erano la maggioranza); e infine mutazione nell’agenda politica del mondo della cultura, per il quale il racconto della posizione della donna è diventata una priorità non più solo a parole.

E tra questi mutamenti è passato inosservato come in questo festival abbiamo visto nomi italiani e stranieri più giovani del solito. Anche tra i premiati i grandi maestri non sono più di quelli in attività da meno di 10 anni. Cosa aiuta ad equilibrare le questioni di genere.

audrey diwan venezia

Audrey Diwan – credits: La Biennale, Giorgio Zucchiatti

L’événement è un film bellissimo, se ne sono accorti tutti immediatamente. Non ha vinto a sorpresa e non ha vinto perché oggi si bada di più ai film diretti da donne. Semmai, se davvero si vuole fare un discorso di politica del cinema, ha vinto perché oggi a differenza di ieri era in concorso. 5 o 6 anni fa è probabile che non avremmo visto un film simile nella competizione di Venezia e, a spingersi un po’ più in là, è anche probabile che non sarebbe proprio stato fatto. Il cambiamento reale può partire solo dalla fase di produzione, come disse Alberto Barbera diversi anni fa quando arrivarono le prime polemiche, facendo notare che nella sezione corti di allora già c’erano molte più produzioni dirette da donne.

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Audrey Diwan non è un’esordiente, è al secondo film, ma il primo è uscito nel 2019, già in anni in cui molte porte avevano iniziato ad aprirsi. Questi premi ne apriranno altre, scardinando sempre di più il pregiudizio che i film girati o scritti da donne non funzionano tanto quanto quelli scritti e girati da uomini.

Laure Calamy miglior attrice per A Plein Temps

Laure Calamy miglior attrice per A Plein Temps

Il dettaglio più importante di questo 2021 festivaliero però è cosa dicono i film diretti da donne o sulle donne che hanno vinto. Sia L’événement che Titane (che ha vinto Cannes) sono due film sulla maternità e sul fatto di non essere davvero madri, sul controllo del proprio corpo. Ed è un film sul controllo del proprio corpo (o meglio della rappresentazione del proprio corpo) Bad Luck Banging Or Loony Porn, il film vincitore della Berlinale, in cui un’insegnante è messa alla gogna perché qualcuno ha diffuso un suo video pornografico pensato per non essere reso pubblico. Sono tre film diversi tra loro per tono, stile e sottostrati (si pensi al discorso sulla carne e il metallo che fa Titane e quello invece sulla testa, il carattere e l’atteggiamento che fa L’événement), ma mettono chiaramente l’accento sul medesimo problema.

E anche solo guardando i premi di Venezia c’è A Plein Temps che ha sbaragliato Orizzonti (miglior regia e miglior attrice) raccontando di una madre che fa di tutto per lavorare e crescere i figli, c’è il premio alla miglior attrice di Madres Paralelas (ancora una volta una maternità che non è tale in un film in cui due madri rappresentano le due anime politiche dell’eredità della guerra civile) e c’è la maternità particolare, cattiva, egoista e fuori da ogni canone di The Lost Daughter (miglior sceneggiatura).

I festival sono politici perché i giurati hanno idee politiche. I film sono politici anche quando non parlano direttamente di politica. I verdetti dei grandi festival da sempre contengono un’idea politica. Quella di quest’anno rappresenta anche un mutamento.

paolo sorrentino leone

Certo è completamente fuori di testa aver escluso dai premi Competencia Oficial, specie se si considera che in quel film Penelope Cruz fa una prestazione decisamente più stupefacente di quella in Madres Paralelas. Ma se vogliamo anche questo è un segnale politico, è il ruolo da madre ad essere stato premiato e non quello da regista. E dispiace ovviamente per È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, che non esce di certo a bocca asciutta ma che sembrava avere le carte in regola per il primo premio. Sorrentino può aggiungere anche il Gran Premio Della Giuria di Venezia al premio della giuria di Cannes vinto per Il divo. Di nuovo un secondo posto.

Il suo è uno dei due film di Netflix premiati, assieme a Il potere del cane di Jane Campion, e ora che è chiuso Venezia inizia la corsa agli Oscar.

Paolo Sorrentino ha dichiarato di aver detto di sì a Netflix per la produzione di questo film solo dopo aver avuto assicurazione che sarebbe stato trattato per il lancio e la promozione “esattamente come Roma di Cuaron”. Non lo ha detto chiaramente ma è facile immaginare che si parli anche della stessa campagna Oscar. I due film in fondo raccontano entrambi storie locali riguardo la formazione del regista stesso. E lo stesso accadrà per Il potere del cane. Questi due film sono ad oggi i frontrunner di Netflix.

A partire dal 2013 con Gravity e grazie a un lavoro lento e inesorabile, in quasi dieci anni Alberto Barbera ha trasformato Venezia nella piattaforma ufficiale di lancio delle campagne Oscar (tra i film di quest’anno poi anche Spencer sicuramente ci proverà). Adesso per la prima volta questa piattaforma italiana potrebbe essere usata per far partire la campagna di un film italiano.

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