Videodrome dimostra che tra i Dardenne e Cronenberg la distanza è minima. I primi filmano il reale. Il secondo il surreale. Entrambi riprendono ciò che sentiamo essere vero. 

Ora, per parlare di Videodrome, il film che ha fatto la fortuna di interi settori accademici di film studies sulla percezione, l’incarnazione delle immagini, e il rapporto tra il corpo dello spettatore e quello cinematografico, bisogna rassegnarsi a non dire nulla di nuovo. Non a livello teorico per lo meno (significati, filosofia, simboli etc). Allora, dopo l’ennesima revisione per festeggiare i suoi 30 anni, posso parlarvi solo di una sensazione. Un brivido sotto pelle. Quello che, come dice il buon Cronenberg, è personale, ma forse anche teleguidato.

Entriamo nel Videodrome

La trama è complicatissima, se non la conoscete nel dettaglio guardate il film o leggete qualche volume sulla psicologia della visione. Ne parleranno di sicuro. Quello che serve sapere per ora è che Videodrome parla di una persona, Max Renn, alla ricerca di immagini estreme per la sua piccola emittente e il suo – poco – pubblico. Scopre gli snuff movies, li trova violentissimi eppure attraenti. Come un film pornografico. Eccitato, se ne ossessiona a tal punto da venire assorbito dalle immagini. Inizia a valutare tutto secondo gli occhi distorti della tv. È vittima di un esperimento di un mostro tumorale generato proprio dalle onde di trasmissione delle immagini, di un complotto capitalistico o è semplicemente pazzo?

Cronenberg è un visionario vero. Avete presente quelli che catturano delle immagini così potenti che sembrano generate da un programma di intelligenza artificiale tre decenni prima che questi fossero performanti al livello attuale? Quelli che manipolano le immagini creando simboli del subconscio così potenti che nessun adolescente oserebbe mettere su Instagram per farsi bello (o bella) verso l’amata\o. Che dite? Già, avete ragione, questi visionari sono estinti. Quasi completamente.

Videodrome

Torniamo a noi. Videodrome è così avanti che sembra retrodatato. Cioè girato oggi facendo immaginare ad una I.A un passato distopico o qualcosa di simile. Perché Cronenberg ha buttato dentro tutte delle idee così proiettate nel futuro che ancora le stiamo capendo. Il film si spiega man mano che la tecnologia si evolve andando ad assomigliare a quella ideata dal regista. Oggi lo capiamo meglio di ieri. Anzi: oggi lo percepiamo meglio di ieri.

La realtà sta prendendo spunto dal film?

Per quanto elaborate, le teorie di complotto in voga oggi sembrano delle fanfiction di quelle presenti nel film: mega corporation tech che controllano il mondo, dipendenze sociali e menti influenzate subliminalmente per compiere atti criminali (o da “gregge”). La TV che ipnotizza è internet di oggi. Addirittura la vicenda inizia per via di Max che “pirata” una trasmissione!

Chi l’aveva capito, 30 anni fa, a cosa alludeva il televisore messo sulla testa (ovvero il casco per l’analisi delle allucinazioni)? Si doveva aspettare fino ad oggi, con i visori di realtà virtuale che sembrano disegnati dal regista. In fondo è proprio questo che facciamo quando indossiamo un Pico o un Quest: penetriamo la TV. 

Videodrome

C’è voluto tempo, anche se un po’ meno, per capire che la trasmissione captata da Max è quella che qualche decennio dopo si sarebbe chiamata real TV. Incarna l’ossessione di catturare la realtà nella sua componente più scioccante. Così estrema che ci sembra finta. E ancora: solo oggi si può comprendere appieno la realtà del rapporto tra la carne e l’immagine, le ripercussioni etiche e psicologiche delle nuove tecnologie. Gli schermi sono nuovi occhiali, nuovi occhi, o meglio un’estensione della nostra retina. “È vero, l’ho letto sul computer” dice oggi chi crede a tutto senza verificare le fonti. Praticamente: Videodrome.

Un paragone azzardato per colpa della nuova carne

E allora che c’entrano i Dardenne? C’entrano per la sensazione che lascia il film oggi. I due fratelli cercano un cinema realistico, con una lente che non deforma ma rappresenta la realtà così com’è. Trattano temi di denuncia sociale dando voce a chi una voce non ha. Raccontano le storia che per noi sono solo cronaca (un migrante trovato morto, loro fanno il film su tutto ciò che ha portato a quella tragedia).

David Cronenberg invece deforma la realtà, ma tutto il resto sembra condividere le stesse intenzioni del cinema sociale. Non era così ieri, non cinque anni fa. È così oggi. 

Videodrome è il manifesto di un uomo che oggi potremmo benissimo immaginarci incatenato sotto le sedi delle telco con un cartello in mano. Denuncia come manipolino i processi decisionali. Come influenzino le elezioni. Come molte paranoie o atti folli siano amplificati dalla cassa di risonanza mediatica. Mette in guardia che ci sono delle dipendenze di fruizione sottili ma impattanti quanto droghe ed alcol. Videodrome oggi sembra parlare di Hikikomori, della realtà conosciuta attraverso i social. Dell’ansia sociale e dell’accesso continuo. Non a caso chi non ha la televisione viene mostrato alla stregua di un senzatetto. I disperati sono accolti nella Chiesa Catodica ripresa come un rifugio per bisognosi. 

Il tema dell’accesso alle trasmissioni è nel 2023 quello di internet che, dove non è disponibile, lascia indietro le persone dallo sviluppo sociale. La politica si contende le menti, le corporation investono nel terzo mondo con una mano e con le altre costruiscono le armi per la NATO (sì tutto questo è nel film). La coscienza si conserva nelle cassette in maniera pericolosa. Possiamo rivedere all’infinito i deliranti discorsi dei dittatori di ieri come se parlassero all’oggi dato che  le immagini registrate li fanno vivere oltre la morte come accade a O’Blivion.

Così se Ken Loach, i Dardenne, Jafar Panahi raccontano i soprusi dell’oggi, David Cronenberg racconta con le sue visioni i pericoli del domani. E più ci avviciniamo a quel futuro, più capiamo quanto siano semplici le sue complicatissime riflessioni. Perché le viviamo sulla pelle.

Videodrome non esiste ancora, ma ci stiamo lavorando

Videodrome è la summa di tutte le ossessioni del regista, quello che meglio aiuta a conoscerlo. Ha una profondità di pensiero impressionante, eppure anche se lo si sottopone a uno spettatore che mastica poco di cinema (ma anche di biologia, medicina, filosofia e sociologia) quello che capirà sarà proprio il punto che vuole comunicare. Questo accade perché, proprio come nel cinema del reale, il film osserva le conseguenze delle strutture che governano il mondo. Si evita cioè di fare un’analisi della società nella sua complessità guardandola da un campo lungo. Si prende invece un dettaglio, un singolo soggetto, e si mostra l’effetto di quel meccanismo che è sopra di lui ed è così grande da non poter vedere in tutta la sua ampiezza. 

Le ragioni per cui in Sorry We Missed You (Ken Loach, 2019) il corriere Ricky Turner si trova schiavo, con il corpo martoriato, e totalmente deprivato della sua personalità per un dispositivo di controllo del tempo delle consegne, sono comprensibili quanto quelle che rendono Max un allucinato assassino. C’è una forza esterna che governa i corpi. C’è una mente artificiale, un segnale, un dispositivo, che non usiamo più, è lui che usa noi.

Videodrome non è un docu-dramma. Ovviamente. Eppure parla lo stesso linguaggio, lo fa da poco, quando le sue visioni hanno preso forma nella tecnologia. Così Videodrome è oggi un dramma sociale in uno stato allucinatorio. Un fine lavoro intellettuale di riflessione sui media e sul potere della suggestione che arriva a tutti. Per questo pochi possono comprendere appieno Cronenberg (non chi vi scrive), ma tutti possono sentirlo attraverso le emozioni estreme del Videodrome. 

Questo perché il suo cinema parte da dei concetti astratti complicatissimi. Poi li materializza. Ci penetra con l’orrore e ce li infila sotto pelle di nascosto nello stomaco ancora prima che possiamo capirli. Così guardandolo ci sentiamo interpretati fisicamente dal film quasi come fossimo di fronte a un documentario. Più che con la mente Videodrome si vive con la carne.

Questa, però, è solo una sensazione.

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