Il penultimo episodio della seconda stagione di Daredevil, intitolato Il buio in fondo al tunnel, è quello delle rivelazioni, in attesa della risoluzione finale. Anche questa puntata, come la quinta e la nona, si apre con un flashback, mostrandoci l’addestramento di una giovane Elektra, nuova recluta dei Casti, sotto la supervisione del suo maestro, Stick. Scopriamo così che fin dall’infanzia la greca è stata molto attirata dalla morte e dalla violenza, dimostrando di avere un forte “lato oscuro”.

Nel presente, il rapporto tra allieva e maestro è venuto meno, con Elektra determinata a uccidere Stick, colpevole a sua volta di averne ordinato l’omicidio. Nel corso del confronto tra i due, nel quale il maestro impugna una katana ed Elektra i suoi iconici sai (così come nei fumetti Marvel), è solo il provvidenziale arrivo di Daredevil a evitare il peggio, appena pochi secondi prima che i ninja de La Mano si palesino. I tre protagonisti, dunque, devono ristabilire perlomeno una tregua momentanea per non soccombere, con il conflitto che si conclude con la cattura di Stick da parte dei suoi nemici e lo split tra Matt ed Elektra.

Mentre le forze dell’ordine giungono ai docks dove solo la notte precedente Frank Castle è apparentemente deceduto, Matt e Foggy sanciscono ufficialmente la fine del loro sodalizio lavorativo, con Karen Page che è sempre più abile nel suo ruolo di reporter, come sottolineato anche dal direttore del Bullettin.

Daredevil, grazie a un consiglio di Foggy, riesce a scoprire dove si trova il vero nascondiglio segreto de La Mano, situato nel sottosuolo newyorkese, e accessibile attraverso i tunnel dei treni, ora abbandonati.

Nel frattempo, è proprio Karen a scoprire, casualmente, l’identità del pericoloso Blacksmith. La donna, infatti, si reca presso l’abitazione del Colonnello Ray Schoover, l’ex capo di Frank Castle nei Marine. L’intenzione è quella di raccogliere dichiarazioni per realizzare un profilo post-mortem ma mentre intervista il Colonnello, l’occhio di Karen cade su una foto appesa al muro dello studio dell’ex militare: assieme a Schoover è presente un uomo di nome Gosnell, il cui cadavere era stato rinvenuto poco prima al molo, e osservato da Karen. Gosnell era un Marine agli ordini di Schoover, ed è morto come sgherro di Blacksmith. Viene così rivelato che Schoover è Blacksmith.

Daredevil continua la sua crociata personale nell’oscurità del sottosuolo e riesce a individuare e liberare Stick, il quale ha subito tremende torture. È proprio il leader dei Casti a suggerire al cieco vigilante di seguire il respiro dei suoi nemici ninja, dato che il loro battito cardiaco non è individuabile. Ben presto, all’appello si presentano anche Elektra e Nobu. E qui che facciamo una sconvolgente scoperta: in lingua originale, proprio Nobu si rivolge alla donna con un generico “it“, come fosse un oggetto. Questo perché Elektra è in realtà l’arma Black Sky e La Mano è nata per servirla. In ulteriori flashback vediamo il primo omicidio della donna, del quale aveva già parlato, compiuto a dodici anni, e di come “Ellie” fu adottata da un ambasciatore greco poco dopo, su iniziativa di Stick, che aveva intuito sin dal principio chi fosse davvero Elektra, e ha cercato in tutti i modi di salvarla. L’uomo non la voleva morta per vendetta, ma per necessità, affinché La Mano non arrivasse a lei. Il passato del personaggio è abbastanza diverso da quello della sua controparte a fumetti: nella continuity Marvel, Elektra è figlia biologica dell’ambasciatore greco Hugo Kostas Natchios e quindi ellenica di nazionalità. In Daredevil, invece, il personaggio viene adottato, e così si spiega il suo fenotipo asiatico.

Fortunatamente, la donna si ribella a quello che sembra essere il suo destino, e combatte al fianco di Daredevil e Stick contro Nobu e i suoi ninja, dai quali riescono a fuggire.

Tornando al filone narrativo con protagonista Karen, fatta prigioniera da Blacksmith, scopriamo come la donna venga soccorsa da un redivivo Frank Castle. Apprendiamo finalmente la verità dietro quel folle giorno a Central Park in cui la sua famiglia perì: in realtà, l’omicidio di Castle (fallito) e quello dei suoi cari (riuscito) furono tutt’altro che casuali, ma voluti da Schoover, perché il suo ex sottoposto non si era piegato, diventando parte della sua operazione sul mercato della droga. Nonostante Karen si appelli alla pietà di Frank, l’uomo rivela di “essere già morto” e porta Blacksmith in una casetta nel mezzo del bosco, dove lo uccide. Lì scopre un vano segreto stracolmo di armi da fuoco nel quale vi è anche un giubbotto anti-proiettile in kevlar, la cui fattura va a creare una sorta di teschio nella sua parte anteriore: il simbolo del Punitore.

Una curiosità: l’evoluzione in negativo di Schoover era abbastanza prevedibile e fedele alla natura del personaggio nei fumetti della Casa delle Idee, nei quali, pur non divenendo mai Blacksmith, l’uomo mostra un’evidente corruzione tra passato e presente.

 

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