Dopo due disegnatori – Daniele Caluri e Gigi Cavenago – tocca ora alla prima penna che abbiamo incontrato a Rapalloonia 2016 in occasione dei 30 Anni di Dylan Dog. È una delle sceneggiatrici più amate e rappresentative dell’Indagatore dell’Incubo e del fumetto italiano: diamo il nostro caloroso saluto su BadComics.it a Paola Barbato!

 

Ciao, Paola, bentornata. È sempre un piacere poter parlare con te e soprattutto in quest’occasione, 30 anni del nostro Old Boy. Come lo hai conosciuto, da lettrice o da autrice?

Da lettrice. Avevo 16 anni e lavoravo in una gelateria. Era il mio primo lavoro estivo. I ragazzi del locale avevano lasciato dei fumetti da leggere durante le pause e nei momenti della giornata in cui non c’era gente. Tra questi c’erano anche dei numeri di Dylan Dog. Lessi il Goblin di Claudio Chiaverotti e giurai che non avrei mai più letto Dylan Dog in vita mia. Ero rimasta traumatizzata.

Il giorno dopo invece mi ritrovai a leggere Il castello della paura di Tiziano Sclavi, dopodiché dovetti procurarmi La dama in nero, perché era una storia doppia. Da lì, recupererai tutti gli albi, non ero molto indietro, per fortuna, e poi c’erano già le ristampe, perché i primi erano andati presto esauriti.

Quando hai iniziato a scrivere Dylan Dog è stato difficile entrare in confidenza con il personaggio?

Paola BarbatoNon avevo bisogno di entrare in confidenza con il personaggio, lo conoscevo già come lettrice. Il problema era calarmi nei panni della scrittrice di Dylan Dog. Io faccio sempre questo esempio, per cercare di farmi capire: vai per anni a comprare il pane e poi diventi fornaio. Non è la stessa cosa. Non è la stessa cosa. Passare dall’altra parte è sempre difficile. Devi cambiare approccio. Non puoi pensare di essere sorpreso da quello che scrivi, devi imparare a sorprendere gli altri e non è per nulla facile, soprattutto agli inizi.

Poi ho dovuto imparare a gestire i disegni. Scrivevo nei balloon tutto quello che il disegno mostrava. I miei primi balloon erano giganteschi e ancor di più inutili. Questa, devo dire, è stata la difficoltà più grossa, scindere la descrizione della scena dai dialoghi. Anche con il ritmo non è stato facile. Parlo dei cosiddetti “cerchi concentrici”: ogni vignetta ha un suo ritmo che deve stare all’interno del ritmo della tavola che a sua volta deve stare all’interno di quello dell’albo; sono tutti e tre correlati e allo stesso tempo autonomi. Ce n’è voluto di tempo per impararlo. A volte ho dei dubbi ancora adesso.

Tre aggettivi per definire Dylan Dog?

Se parliamo del fumetto, “speculare”, ci si può ritrovare tantissimo ed è molto importante. Poi direi “articolato”, perché non è solo un fumetto dell’orrore; e infine “onesto”, perché non cerca di vendere qualcosa che non è. Se invece ci riferiamo al personaggio, è irrisolto, quindi istintivo – troppo – ed è curioso.

Cos’è che Dylan non farebbe mai?

Non prenderebbe mai a calci un cane. Neanche se il cane stesse per sbranarlo, si lascerebbe sbranare.

Se Dylan Dog non fosse un fumetto, cosa sarebbe?

Una musica.

Quale storia non tua ricordi in modo speciale e perché?

Sette anime dannate di Tiziano, che è uno Speciale, perché è la prima volta che mi ha coinvolto nella storia come non mi era mai successo prima e mi sono sentita male, toccata personalmente. E quello è un risultato davvero difficile da ottenere.

Quale storia tua ricordi in modo speciale e perché?

È difficile. Forse La scelta, perché ho scritto per la prima volta una storia che mi somigliava molto. Infatti la sento molto come storia.

C’è un comprimario della serie a cui vorresti dare più spazio?

Jenkins, che è difficilissimo, ma anche divertentissimo. I quattro pards, per usare un termine “texiano”, Dylan, Bloch, Groucho e Jenkins sono un massacro per lo sceneggiatore, ma sono molto divertenti.

Se potessi ringraziare Dylan di persona per ciò che rappresenta per te, cosa gli diresti?

Lo ringrazierei perché non mi ha lasciata sola.

E, visto che è il suo compleanno, che auguri vorresti fare a Dylan?

I miei auguri sinceri sarebbero trovare un po’ di pace. Però se accadesse ciò, finirebbe la serie [ride]. Non glieli faccio!

Prima di lasciarti andare vorremmo sapere come è stato accolto UT, il fumetto tuo e di Corrado Roi?

È stato accolto in una maniera bellissima. Nel senso che o lo hanno amato o lo hanno detestato. Per me è il modo migliore in cui possa venire accolto un fumetto, perché sono lecite entrambe le reazioni. È stata un’esperienza unica. Io ho fatto un lavoro immenso di setaccio del materiale che ha generato la mente, la creatività di Corrado Roi. Non mi era mai capitato prima di lavorare così a stretto contatto con un collega. Non è mai esistita una frase solo mia, o solo sua: è stata una collaborazione continua.

UT sembra quasi un archetipo. Sfruttando uno dei temi principali del fumetto – la copia e l’originale – UT sembra quasi una matrice, uno stampo per storie nuove, anche completamente diverse da UT. Sei d’accordo con questa analisi?

UT è un personaggio che si presta praticamente a qualsiasi interpretazione. Noi adesso potremmo fare un prequel e andrebbe benissimo. Potremmo fare un sequel e andrebbe benissimo. Potremmo fare delle storie a raggiera, che avvenivano durante la prima serie di UT, e andrebbe benissimo. E UT potrebbe benissimo essere il protagonista di un altro tipo di storia, perché è un archetipo. È un concetto su cui ha insistito molto Corrado, che diceva: “Lui dev’essere come Pinocchio”, cioè personaggio percepibile da tutti, ma, allo stesso tempo, che possa evolvere in tutte le maniere possibili senza tradire se stesso.

Ci sono progetti al riguardo?

Certo, tantissimi. I progetti non mancano, ma hanno bisogno di un supporto concreto. Vedremo…