Continua la lunga retrospettiva di Ta-Nehisi Coates sulla propria gestione del personaggio di Pantera Nera. Sei lunghi anni sono passati dacché il saggista e giornalista è diventato sceneggiatore di Black Panther nel periodo di massima esposizione del personaggio e di massima percezione del suo significato simbolico, dentro e fuori Wakanda e l’Universo Marvel.

 

 

Dopo aver parlato dei propri esordi e del suo rapporto con il personaggio di Tempesta, Coates si concentra sul focus tematico delle proprie storie.

 

Black Panther #1, variant cover di Inhyuk Lee

Coates – Da sempre sapevo di essere interessato a parlare della natura della monarchia, alla luce del lavoro che aveva fatto Jonathan Hickman sullo stato di Wakanda su Fantastic Four e poi Avengers e New Avengers. Sapevo di essere curioso riguardo quel che era successo a Bast e agli dei nazionali durante quel periodo di cataclismi. E quindi mi attirava il tema della teocrazia. C’erano indizi, nelle storie di Hickman, di una sorta di programma spaziale, che mi stuzzicavano. E poi volevo capire di più qualcosa sulla dinastia, esplorare questa nozione. Alcune di queste idee erano lì da sempre, venivano dalle mie letture, ma molte sono nate durante la narrazione.

Mi interessava la natura del Wakanda, di questa monarchia estremamente avanzata. Quando pensiamo al progresso della nazione, pensiamo alle armi, all’ingegneria, agli strumenti, ma non alla sua politica. Mi è venuto in mente che, se la gente di questo popolo è così intelligente, qualcuno doveva pur aver pensato anche ad altro oltre che al progresso tecnologico. Era fondamentale, per me.

Che ci crediate o no, ho attivamente cercato di non creare nuovi personaggi, perché mi interessavano molto di più gli elementi già presenti. Ogni volta che mi veniva in mente qualcosa, cercavo tra le figure del passato una adatta all’idea. Quando non c’era o non la vedevo, creavo un personaggio.

Sono sempre stato un fan della Squadra di Demolizione, che negli anni Ottanta era sulla cresta dell’onda. Probabilmente per l’importanza che ebbe su di me Guerre Segrete, quand’ero bambino. Leggere quella storia a nove ani e rendermi conto che in quel gruppo c’era un tizio nero! All’epoca era rarissimo nella cultura pop, davvero. Probabilmente per quello mi rimase impresso.

E poi ho iniziato a leggere qualcosa su di lui e a scoprire che ha un passato interessantissimo. Questo tipo è un genio. Che storia ha alle spalle? A un certo punto era noto come il Bruce Banner nero. E, visto l’intelletto di T’Challa, far interagire lui e Thunderball era naturale.

 

La comprensione tra Pantera Nera e il dottor Eliot Franklin doveva connettersi al senso dell’esistenza di Wakanda per tutti i neri del mondo, riprendendo un’idea non originale di Ta-Nehisi Coates, ma ripresa dalle storie di Reginald Hudlin su Black Panther.

 

Coates – Chiaramente, Wakanda deve avere un significato preciso per i neri che non ci abitano e quel che a un certo punto T’Challa realizza è che si potrebbe estendere la definizione della sua stessa nazione. Quando ho preso in mano questa storia, la sua gente non faceva altro che dire che la Città d’Oro non sarebbe mai caduta. Si tratta di un tema che, in un modo o nell’altro, è sempre stato presente nella serie.

Ma la nazione era crollata già in varie occasioni. Quindi, fratelli, è andata. Ed ecco quindi T’Challa a caccia di nuove risorse, di nuovi punti di forza, di nuove riserve. E per trovarle deve rivolgersi a chi, per un verso o per l’altro, ha fede nell’idea che Wakanda incarna.

Mi sono divertito un mondo a scrivere il personaggio di T’Challa, specialmente dall’inizio delle storie sull’Impero Intergalattico. Ovviamente, la parte più riflessiva delle storie era molto importante, per me, ma tutta l’idea di vedere l’eroe privato della propria memoria e bloccato in un posto da cui deve tornare era divertimento puro in stile pulp. Il che è sia la cosa più semplice che quella più difficile da mettere in piedi. Difficile perché complessa in termini di preparazione della situazione e progettazione degli eventi. Facile perché, spesso, ti permette di non preoccuparti molto dei dialoghi e di questo genere di cose.

 

 

Fonte: Polygon