Dan DiDio non è più alla guida delle operazioni editoriali della DC Comics. Come molti di voi sapranno, da tempo la compagnia gli ha sostanzialmente dato il benservito, dopo una carriera lunga diciotto anni nel dietro le quinte della casa editrice e un lungo periodo di co-gestione assieme a Jim Lee, segnato da grandi progetti, grandi successi e anche una certa confusione nella linea editoriale. Un rapporto di lunga durata, quello tra DiDio e la DC, non sempre tranquillo, che l’editor ha voluto ripercorrere sulle pagine di Games Radar.

 

DiDio – Il mio periodo alla DC Comics è l’eternità più rapida che mi sia mai capitata. Ho sempre avuto l’impressione che le cose si muovessero a velocità incredibile. A un certo punto mi sembrava di non avere ricordi precedenti il mio lavoro per la DC, ad essere onesto. Mi consumava ogni energia e rappresentava una parte così importante della mia vita da essere più di un’occupazione. Era anche il mio hobby, dacché avevo dieci anni.

Ho sempre letto fumetti, mi sono sempre piaciuti e ho sempre voluto far parte del loro mondo. Ho sempre trovato modi alternativi per farlo, tramite fanzine, piccoli testi di accompagnamento, aiutando qualcuno a progettare una storia o assumendo autori dal mondo dei comics quando lavoravo in quello dell’animazione. Ho sempre percepito il Fumetto nella mia vita, motivo per cui il mio periodo alla DC è parte di quel percorso. Si è presa un terzo della mia esistenza, ma mi sembra la mia vita intera.

Il fatto di essere ricordato dai lettori mi stupirebbe. Insomma, siamo onesti: quando fai un lavoro come quello che ho fatto io sai di essere lì temporaneamente. Non sei proprietario di nulla. Io non ho mai voluto che il mio lavoro mi definisse e nemmeno l’inverso. Volevo solo fare al meglio quel che dovevo per più tempo possibile. Pertanto, il mondo ti dimentica nel momento stesso in cui molli o nel momento in cui quel che hai fatto viene cambiato. Tutto quel che puoi ricordare è il divertimento che hai provato. Il mio è stato un gran bel viaggio.

 

DiDio afferma che la sfida principale è stata imparare ad essere un editore. Il passaggio dalla conoscenza del mondo del Fumetto alla partecipazione effettiva alle operazioni per cui passa la produzione è stato un impegno molto gravoso. Nel suo primo anno alla DC, con il suo background nell’animazione e con la casa editrice che aveva appena creato una nuova divisione in quel campo, pensava di trovarvi collocazione.

 

DiDio – Paul Levitz continuava a ripetermi che io ero lì per imparare a essere un editore, non per fare quel che facevo prima. All’inizio era frustrante, ma la realtà è che fu una delle cose migliori che mi potessero capitare, perché mi spinse a immergermi in quell’ambito, a rimboccarmi le maniche e a imparare struttura e dinamiche della compagnia. Paul mi diede un sacco di tempo e di stimoli per apprendere.

Blackest Night

La mia prima posizione in DC è stata quella di vice-presidente del comparto editoriale. Una posizione piuttosto ambigua. Nessuno sapeva come mai fossi lì. Alcuni pensavano che mi ci avesse piazzato la Warner Bros, altri che fossi incaricato di scrivere Superboy. Non chiedetemi perché. La verità è che nessuno sapeva bene quale dovesse essere il mio ruolo effettivo e quindi divenni una specie di tuttofare, che cercava di aiutare un po’ tutti e di dare una mano a progettare il futuro, oppure di far lavorare meglio le persone in squadra.

Per tutto il primo anno, ho passato un sacco di tempo a capire come funzionavano le cose. Al suo termine, ero stanco e frustrato. Volevo tornare a lavorare in TV, a qualcosa che conoscevo, in cui sarei stato a mio agio. Mi presentai da Paul con quello che chiamavo manifesto, in cui gli proponevo quali cose, secondo me andavano migliorate e quali aggiustate. E in bocca al lupo a lui. Nel senso che io pensavo di chiudere i conti con quelle raccomandazioni.

Lui mi disse che avrebbe accolto tutti i miei suggerimenti, con due cambiamenti. Il primo era una cosa minima, un dettaglio. Il secondo era che avrebbe voluto che accettassi il ruolo di direttore esecutivo delle operazioni. Cosa che non sapevo. Quando avevo presentato il manifesto, io non facevo parte del paesaggio, ero già fuori.

 

Un lavoro da sogno, che DiDio non pensava mai di poter davvero afferrare. Un momento esaltante quanto spaventoso, per lui, e un incarico per cui ritiene ancora di non essere stato qualificato, all’epoca. Tuttavia, si fece coraggio e decise di cercare di dar prova di sé.

 

DiDio – Uno dei momenti più bassi della mia vita personale e professionale è stato tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, quando portammo a compimento Countdown e i 52 e faticavamo molto con tutte le nostre altre idee. Sentivo di star lavorando tantissimo e di star realizzando molto poco. Avevo la paura terribile di essere ripetitivo. Mi si presentò un’occasione di peso nel campo dell’animazione e iniziai a girarle attorno. Alla fine, non andò in porto e io non tagliai i porti. La cosa buona fu che riuscii a dare nuovo vigore al mio lavoro in DC Comics. Paul mi diede una scarica di fiducia, di cui io avevo davvero bisogno e di cui gli sarò grato sempre. E poi demmo vita a Blackest Night.

L’altro momento bassissimo fu il 2009,quando Diane Nelson e Jeff Robinov ristrutturarono la DC Comics nella DC Entertainment. Pensavo che tutti coloro che avevano fatto parte del precedente regime avrebbero dovuto far fagotto. Quando mi sedetti davanti a Diane e Jeff, non avevo intenzione di cercare di convincerli a tenermi, ma di pronunciare un discorso di addio e di dar loro qualche indicazione su quel che c’era, secondo me, da fare. Ed ecco che Diane mi offre la posizione di co-editore.

 

Un lavoro che gli piovve addosso proprio quando pensava di essere ormai fuori dai giochi, ma che non ha mai sottovalutato o preso alla leggera. Al contrario, DiDio rivendica di aver sempre cercato di spingere le cose oltre il limite, di aver sempre voluto tentare nuove cose. A volte con successo e altre meno, ma sempre nella convinzione che ci sia bisogno costante di scossoni, per evitare di risultare ripetitivi presso il pubblico, soprattutto quello di vecchia data. A volte, ovviamente, gli si presenta qualcosa di troppo diverso per i suoi gusti. I lettori dicono di volere il cambiamento, ma in realtà, spesso, voglio semplicemente che le cose tornino a quando avevano nove anni.

 

Hush

DiDio – Spesso palavamo del concetto di illusione del cambiamento. Questo è ciò che tutti vogliono, l’impressione. Ecco perché credo che progetti come gli Elseworld e le realtà alternative di questo genere abbiano avuto grande successo: possono prendersi dei rischi senza impattare con la continuity principale. Tutti si sentono al sicuro dentro di essa, perché non succede mai niente e ci si prendono rischi solo perifericamente. Il problema è che, così facendo, ti ritrovi con mondi alternativi come quello del Cavaliere Oscuro o di Red Son, più interessanti della continuity.

Uno dei principali obiettivi della mia gestione era invece raccontare le storie migliori dentro l’universo narrativo principale, da cui la mia iniziale avversione per quelli paralleli, dove capitavano tutte le cose più interessanti. Il mio scopo era elevare quelle del mondo cardine. E, quando parlo di questo argomento, torno sempre a Jim Lee. Quando arrivai alla DC, Hush era appena iniziato e doveva essere un progetto simile a ci che Jim e Jeph Loeb avevano fatto con Il Lungo Halloween. Formato prestigioso, miniserie indipendente e collaterale.

Ma Jim ebbe il coraggio di dire che voleva essere il disegnatore di Batman e che voleva che quella storia fosse pubblicata sulla serie principale, non che fosse una miniserie. Per lui, questo avrebbe avuto un valore e un impatto molto maggiori per tutta la DC Comics. E alla fine è riuscito a dimostrare la forza della sua idea e a migliorare le storie di Batman, a portare prestigio a tutta la linea editoriale. All’improvviso, tutto vollero nuovamente raccontare storie nell’Universo DC principale.

 

 

Fonte: Games Radar