Gene Luen Yang parla della propria carriera di fumettista asiatico-americano sul sito ufficiale della DC Comics in occasione del mese che, negli Stati Uniti, celebra proprio il retaggio di questo specifico gruppo etnico, da tempo fondamentale per la società multiculturale americana. Lo sceneggiatore lo fa in un periodo non semplice per la sua comunità proprio Oltreoceano e toccando moltissimi temi.

 

 

Ecco le dichiarazioni più interessanti di Gene Luen Yang, recentemente autore di DC Festival of Heroes: The Asian Superhero Celebration, per cui ha creato il personaggio di Monkey Prince.

 

Yang – Questa antologia, DC Festival of Heroes, è qualcosa che non avrei nemmeno potuto immaginare anche solo cinque anni fa. Il fatto che l’editor Jessica Chan sia riuscita a mettere insieme questa cosa è significativo. Istintivamente, provo un senso di affermazione. Sono un fumettista da un sacco di tempo e credo che all’inizio, negli anni Ottanta, mi sentissi completamente invisibile. Da bambino, probabilmente, mi piaceva quella sensazione, perché ho passato dei periodi in cui mi vergognavo e non volevo essere asiatico. Non avrei mai letto un fumetto con un personaggio asiatico, perché non volevo che nulla mettesse in risalto il mio essere diverso.

Superman smashes the Klan #1, copertina di Gurihiru

Al college, dopo aver lavorato un po’ sulla questione, ricordo di aver comprato un albo di Batgirl, quando era Cassandra Cain, specificamente perché era asiatica-americana. A quel punto capii che c’era un po’ di noi dietro le quinte, ma era una cosa molto rara vedere dei personaggi sulla pagina. E ora sento che siamo a una svolta, che gli asiatici sono presenti sia dietro che dentro le pagine. E poi, negli anni Novanta, un sacco di artisti erano asiatici-americani, ma c’erano pochi scrittori. Per un sacco di tempo credo che Larry Hama sia stato l’unico.

L’anno passato è stato davvero terribile, ma se penso agli ultimi cinque anni credo che la situazione sia scoraggiante e che siamo tornati indietro come società sotto tanti punti di vista. So che non è per forza così, ma ci sono diversi elementi che mi danno questa sensazione. C’è un’attrice comica di nome Jenny Yang che mi piace moltissimo e che fa questa gag in cui parla di come gli Asiatici-Americani siano dei privilegiati, a un certo livello. Ed è vero. Ma quando le cose si mettono male, diventa tutto un casino.

Ho scritto una graphic novel per la DC che si chiama Superman Smashes the Klan, ambientata negli anni Quaranta. Credo che quel decennio sia centrale per la presenza dei Cinesi in America. Negli anni Trenta, gli stereotipi su di loro li dipingevano come criminali e drogati. Non si andava a Chinatown per divertirsi, ma per venire rapinati. I Cinesi erano visti come geneticamente violenti. Poi ecco la Seconda Guerra Mondiale, durante la quale venivano percepiti come leali e lavoratori. La narrazione era cambiata. Credo che quel cambiamento si sia allargato a tutti gli Asiatici-Americani che ci abbia illusi con un certo compiacimento.

Alcuni di noi sono stati portati a credere di non aver bisogno di occuparsi dei problemi che riguardano altre minoranze. Per usare il linguaggio dei super eroi, gli anni Quaranta ci hanno invitati nella Sala della Giustizia. Ma come personaggi di supporto. Siamo passati dall’essere i cattivi, come il Cinese sulla copertina del primo numero di Detective Comics, ad essere le spalle che facevano parte del club.

Quel che gente come Jenny Yang sostiene è che, come spalle, siamo passibili di revoca dell’invito in qualunque momento. Ed è quel che abbiamo visto nell’ultimo anno. Siamo stati cacciati via dalla Sala della Giustizia e, improvvisamente, la società ci ha visti di nuovo come cattivi, senza che avessimo fatto nulla. Negli anni Quaranta, la ragione per cui la prospettiva è cambiata sono i fatti di Pearl Harbour. Subito dopo, la Cina è diventata il più grande alleato dell’America contro il Giappone, perciò i Cinesi-Americani divennero fidati cittadini americani.

Monkey Prince

Ora è successa un’altra cosa su cui non abbiamo alcun controllo: una pandemia inizia in Cina e improvvisamente i Cinesi diventano una minaccia e, per estensione, tutti gli Asiatici-Americani, perché un sacco di gente non sa distinguerci. Da narratore di questo gruppo etnico, porto la cosa nella mia mente dall’inizio della mia carriera. Ho sempre voluto presentare la mia gente in maniera tridimensionale perché era raro che accadesse quando ero ragazzino, era raro vedere un personaggio asiatico che avesse dei sentimenti veri, delle motivazioni realistiche. Istintivamente, volevo star lontano dai personaggi di allora, volevo distanziarmi da una figura come Long Duk Dong, perché la sua monodimensionalità mi appariva pericolosa.

L’incidente di Atlanta è l’esempio più evidente di quel che può succedere quando si percepisce il prossimo in modo monodimensionale. Il colpevole di quella strage non sarebbe stato in grado di uccidere quelle tre ragazze se le avesse viste in modo tridimensionale, come esseri umani con una storia, con emozioni comprensibili, con difetti e desideri. Non avrebbe compiuto quegli omicidi. Ho sempre l’impressione che non ci siano abbastanza storie che parlano di noi in giro, perché non è mai abbastanza.

 

La situazione è complessa ma non senza speranza. Gene Luen Yang dice di non aver mai visto la comunità asiatica-americana così unita e che c’è sempre speranza che la fine della pandemia da Coronavirus possa portare a una nuova consapevolezza.

 

Yang – Nel mondo del Fumetto americano ho l’impressione che le cose, in generale, vadano nella giusta direzione. Anche solo l’esistenza di una cosa come DC Festival of Heroes è positiva ed è bello vedere fumettisti asiatici-americani lavorare insieme e avere sempre più occasioni per raccontare le loro storie, sia in forma di graphic novel che nelle serie mensili. Ma ovviamente non basta. Credo che ci sia bisogno di affermare che occupiamo ancora i posti in fondo.

 

Il tutto in una situazione in cui l’Asia è in nettissima crescita economica anche rispetto all’Occidente e in cui, afferma Yang, i rapporti con quei popoli saranno centrali. Motivo per cui una narrativa in grado di far conoscere e incontrare le culture è fondamentale per il dialogo tra le genti.

 

Yang – Lavorare su Batman/Superman è stata una gioia. Adoro il team creativo che gli editor hanno messo insieme e considero Ivan Reis uno dei migliori disegnatori in giro, con uno stile perfetto per la DC. Quando chiudo gli occhi e penso all’Universo DC lo immagino disegnato da lui. Danny Miki è altrettanto fenomenale ed entrambi mettono il cuore nel loro lavoro. Amo anche l’era Infinite Frontier che credo apra un’incredibile spettro di possibilità. Gli editor mi hanno lasciato una libertà colossale. Frank Miller sostiene che Batman e Superman siano i due personaggi che davvero hanno il potere di durare per sempre e credo che abbia ragione.

Da asiatico-americano, quel che io porto nelle loro storie è la volontà di raccontare l’esperienza di passare da un mondo a un altro completamente diverso. Non voglio parlare esplicitamente di razza nelle avventure ma credo che, da figlio di immigrati, sia mio compito raccontare questa esperienza quotidianamente. Ogni volta che sono andato da casa mia a scuola, io sono passato da Taiwan all’America, di base. E questo è un valore estetico che ho portato nelle storie.

 

 

Fonte: DC Comics