Le origini di Saga, le sue relazioni con altre storie di genere e con la golden age della Fantascienza, la natura della vita di un creativo e di un autore, la lotta per restare sulla cresta dell’onda e tanti altri argomenti ancora sono l’oggetto di una interessante intervista che Brian K. Vaughan ha rilasciato a Salon.

Ecco le dichiarazioni più interessanti dello sceneggiatore che sono scaturite dalla chiacchierata:

 

9. Saga vol. 3 TP, di Brian K. Vaughan e Fiona Staples - Image Comics

Un tempo pensavo che il cento percento del mio successo fosse figlio delle mie incredibili capacità, ma più divento vecchio e più riconosco che la fortuna ha un ruolo importante. E non posso dimenticare il privilegio di essere un maschio, bianco, della classe media che si è trovato davanti dei binari ben oliati, nella vita. Un sacco di incarichi mi sono stati dati perché io e chi me li assegnava condividevamo interessi e retroterra culturale.

Entrare nel mondo del Fumetto è così difficile che è problematico dare consigli agli esordienti, perché non è come diventare un dentista, non si accede prendendo una laurea o un diploma in quel campo. Uno dei miei mentori aveva l’abitudine di descrivere il nostro ambiente come una fortezza impenetrabile. Entrarvi implica creatività, necessaria a trovare un buco nel muro. Ma il problema è che, una volta trovato, immediatamente viene richiuso, in maniera che nessun altro possa usarlo come accesso. Chiunque entri nel mondo del Fumetto lo fa a modo proprio e irripetibile.

Poi ci sono gli autori inaciditi che levano volontariamente la scala sotto di te, quelli che pensano che tu non meritassi di entrare nel settore e magari non hanno avuto una carriera di successo quanto la tua. O non hanno proprio avuto una carriera. Ma credo che gli artisti, per lo più, vogliano prendersi cura gli uni degli altri e aiutarsi. Mi piace credere che siamo intimamente buoni.

 

Vaughan ha parlato dell’impegno che scrivere richiede, in particolare sceneggiare comics, il che gli impone di scegliere molto bene i propri progetti: se deve passare tanto tempo a fare una sola cosa, vuole crederci fino in fondo, poter essere onesto, vuole che lo coinvolga in maniera importante. Per questo è fondamentale essere vulnerabili, avere il coraggio di esserlo, poter esplorare anche le proprie paure perché spesso sono la cosa con cui siamo maggiormente in connessione.

 

Saga vol. 7, copertina di Fiona Staples

Ho sempre detto che la scrittura è per me un’incredibile forma di terapia gratuita. Mi sento come se il medium fumettistico mi avesse scelto. Mi hanno fatto leggere ottimi fumetti quando ero ragazzo, e mi hanno catturato. Amo il Fumetto perché è interattivo. Con i film e la TV non fai altro che sederti e guardare, ma i fumetti pretendono un livello molto maggiore di contributo da parte del pubblico. E la cosa mi attrae moltissimo. Quando leggo un fumetto che amo, è un’esperienza più immersiva della maggior parte dei film di Hollywood, perché io sono molto più partecipe.

Da bambino, forse all’asilo, mi capitò di restare a casa malato e i miei genitori portarono a casa un pacco di fumetti per me. Sulle prime pensavo che fossero delle riviste con cui giocare, che le vignette fossero da tagliare via e poi rimettere insieme in modo che la storia avesse un senso. Non appena entrato in contatto con i comics, provai il desiderio di smontarli, aprirli e rimontarli. Ci sono foto di me da piccolo che taglio copie di Amazing Spider-Man, che sicuramente oggi avrebbero un valore pazzesco, per poi incollare le vignette su altri fumetti della domenica.

 

Vaughan considera G.I. Joe un titolo fondamentale della sua formazione, scritto dal talentuoso Larry Hama (Wolverine). Non è contrario a un certo grado di buona nostalgia, ma una cosa dei nostri giorni lo lascia perplesso. Quando era ragazzo, era appassionato di Spider-Man e di Star Wars. Oggi, i suoi figli sono appassionati di Spider-Man e Star Wars. Inquietante che generazioni diverse non abbiano figure di riferimento diverse, per quanto riguarda l’intrattenimento. Anche perché sono le novità ciò che dovrebbe entusiasmarci di più.

 

Saga Deluxe vol. 1, copertina di Fiona Staples

Nel 1980 avevo dodici anni e ricordo quel periodo con grande affetto. Ma sento anche che di questi tempi ci sono un sacco di storie che parlano di quel periodo che edulcorano moltissimi aspetti dell’epoca. Ad esempio, c’era un sacco di omofobia, c’era molta aggressività casuale. Credo che, come narratori, noi abbiamo l’obbligo, in particolare nei libri e nelle storie per ragazzi, di scrivere per un pubblico che all’epoca non era ancora nato, mostrare ai giovani quanto la società abbia fatto progressi e quanti ancora ne debba fare.

Fino a prima di vedere le prime tavole di Fiona Staples, ho pensato che Saga sarebbe stato semplicemente una soddisfazione personale, un progetto che avrei molto amato ma che sarebbe stato cancellato dopo sei numeri. Non era una storia di super eroi e c’erano due persone di colore come protagonisti. Ma poi ho visto i disegni di Fiona e ho capito che non sarebbe stato solo un cult che scrivevo solo per il mio divertimento. Ho semplicemente trovato il modo di tradurre questa storia molto specifica in qualcosa di universale, assieme a Fiona. I suoi disegni mi convinsero che la serie sarebbe durata a lungo, ma non avevo mai pensato che Saga sarebbe stato tradotto in ventidue lingue in tutto il mondo, in molteplici ristampe. Mai potevo sognare un successo così ampio. Ed è stata un’esperienza grandiosa.

Ho sempre scritto storie con cast molto inclusivi e diversificati. Ma quando è stato il turno di questa saga fantascientifica, ho pensato che, dato che uno dei protagonisti aveva le corna e l’altro le ali, dato che venivano da due patrie diverse e avversarie, la metafora razziale sarebbe stata importante già così. Nella mia mente, dovevano essere bianchi di pelle, perché è la razza base delle storie fantasy e di Fantascienza. Fu Fiona a suggerire che avessero la pelle scura. Le ho detto che non mi interessava granché, solo non volevo che avessero i capelli rossi. Un luogo troppo comune. Fiona mi chiese se dovessero essere bianchi per forza e propose un’alternativa, per raccontare la storia di una famiglia interrazziale. Era la scelta giusta. E tutto grazie al fatto che ho dei collaboratori incredibili come lei.

 

Vaughan ha parlato di come l’universo di Saga fosse nella sua mente sin da quanto era un ragazzino e andava a scuola. Non esistevano ancora i personaggi, ma l’idea di una grande epopea in un mondo come quello era già con lui, bambino cattolico educato all’esistenza di angeli e demoni, appassionato di fantasy e Fantascienza, di cartoni animati. Ma solo quando divenne padre capì che in quel mondo si potevano in effetti ambientare delle storie.

 

Non necessariamente storie in cui il male affrontava il bene, ma cose tipo uno sguardo da Ronsencrantz e Guildenstern sulla guerra, dal punto di vista di due persone che avevano deciso coscientemente di non farne più parte. Marko e Alanna sono solo due persone che cercano di sopravvivere a un conflitto senza fine. Nei primi incontri con Fiona parlammo a lungo di questo concetto. Spesso le persone mettono il carro davanti ai buoi e iniziano a pensare alla costruzione del mondo troppo presto, con troppa attenzione ai dettagli. Il che, alla fine dei conti, ha poco valore. Bisogna partire dai personaggi, amarli profondamente. Se lo si fa, poi nascerà curiosità per tutto il resto dell’universo in cui essi si muovono.

 

In chiusura, l’intervistatore ha interrogato Vaughan sull’attuale stato della politica americana.

 

Sono convinto che non siamo vicini all’epoca più buia e conflittuale per il nostro Paese, nemmeno lontanamente. A suo modo è incredibile quel che succede oggigiorno, ma da un certo punto di vista era perfettamente prevedibile che il pendolo scivolasse fino a dove ci troviamo. Non so quale sia la risposta ai quesiti del presente, ma è certamente molto interessante vivere in quest’epoca. Le notizie che arrivano sono così dannatamente interessanti che è difficile staccarsene. Per quanto sia convinto che non sia mai il caso di essere troppo moralisti nelle storie, mi rendo però anche conto che bisogna evitare il rischio di essere soltanto intrattenitivi.

 

 

Fonte: Salon