Abbiamo il piacere di intervistare Alberto Madrigal, autore esordiente della scuderia Bao Publishing, sceneggiatore e disegnatore del graphic novel Un lavoro vero che racconta, in chiave autobiografica, il cammino di un giovane fumettista, le difficoltà nel rimanere aggrappato ai propri sogni e farsi una vita economicamente sostenibile, lo scontro con le necessità quotidiane, il richiamo profondo della passione artistica che vuole farsi professione.

Grazie mille, Alberto per la tua disponibilità. La prima domanda è quasi doverosa: nel romanzo racconti del tuo viaggio in Germania, di un anno passato dietro a un progetto di fumetto poi non realizzato, di un processo di ambientazione piuttosto rapido dal punto di vista sociale. È tutto vero? Quanto hai romanzato?

Tante delle cose successe sono vere (come l’anno dietro al progetto), ma i dettagli sono romanzati. La personalità del mio personaggio (Javi) e quello dei miei amici Fabio e Antonio, sono piuttosto simili alla realtà. Ma sia Maike, Peter che Sandrine non esistono veramente.

Un aspetto che, siamo certi, è autobiografico, è il titolo. Quando sei un aspirante fumettista, i tuoi sforzi non sono percepiti come una vera occupazione. Che cos’è per te il titolo della tua prima pubblicazione? Un messaggio a tutti gli aspiranti? Un motto di liberazione per essere arrivato a fare del fumetto il tuo lavoro?

“Un lavoro vero”, sono le parole che più sono rimbalzate in testa negli ultimi sette anni. Per me, è una lotta tra due parti della mia personalità: quella responsabile e quella che non accetta nessuna regola.

In Un lavoro vero sei riuscito a toccare, rimanendo su temi e toni molto personali, una questione profondamente sentita di questi tempi: quella del rischio di disoccupazione di tanti giovani. Non sei stato tentato di farne una vicenda dai contenuti politici, piuttosto che, appunto, personale e sostanzialmente psicologica?

No. Non ci capisco molto di politica, ma sopratutto, mi piacciono le storie che hanno spunti psicologici o filosofici.

Nella storia leggiamo di un tuo piccolo omaggio a Sergio Toppi, maestro del fumetto internazionale che ci ha lasciati non da molto. Ci sono anche altri artisti italiani, del passato e del presente, che hai amato particolarmente, nel tuo cammino di appassionato?

Si, Gipi. Perché mi ha fatto scoprire un altro livello nel fumetto, vedendo le sue interviste ho scoperto delle perle psicologiche del mestiere. Come l’importanza di non cercare uno stile, per esempio.

A proposito di stile, il tuo tratto è leggero e preciso allo stesso tempo, tutto il contrario di quello iperdettagliato e giocato sull’accumulo di Sergio Toppi. È una tua caratteristica da sempre o è il risultato di quella ricerca dello “stile personale” di cui parli nel romanzo?

Ho sempre disegnato con il pennello facendo i tratti di diversi spessori, lavorando in modo molto preciso. Tutto il contrario di adesso. Qualche anno fa decisi di essere onesto e cominciai a disegnare nel modo più semplice ma espressivo che potevo. Quel tratto leggero ne è il risultato.

Nel fumetto ci dici che da ragazzino leggevi davvero i fumetti, poi hai iniziato a guardare solo i disegni. In Un lavoro vero, però, ti vediamo come artista completo. Ti senti un disegnatore puro prestato al racconto di una storia personale, o in futuro ti vedremo di nuovo come sceneggiatore?

Prima mi sentivo un disegnatore, adesso invece capisco che il disegno è soltanto una parte, una scrittura, per raccontare una storia. Se dovessi disegnare una storia scritta da altri, avrei bisogno di sentirmi molto coinvolto per riuscire a farlo.

Da cartoonist, invece, c’è qualche autore in particolare con cui, potendo, ti piacerebbe lavorare? Vale tutto, dall’ultimo degli esordienti a Ed Brubaker…

Per ora non sarei capace di lavorare per qualcun altro… quando mi viene una scena in mente, sento che per poter esprimermi devo disegnarla.

Nel fumetto ci racconti del tuo lavoro presso una web agency in Germania, che ti ha allontanato dalla tua vera passione. Ora, come gestirai il tuo tempo? Lavori ancora per loro? Riesci a trovare gli spazi per fare il fumettista? È possibile mettere assieme necessità e sogni?

Questa è una delle mie più grosse preoccupazioni attuali. Non lavoro più per la ditta di cui parlo nel fumetto. Nell’ultimo periodo, addirittura, sono riusciuto ad avere un contratto di soltanto 3 giorni a settimana, guadagnando comunque molto bene. Purtroppo, quel lavoro mi svuotava completamente a livello artistico e non riuscivo a fare i fumetti il resto dei giorni. Forse la soluzione è fare un lavoro più meccanico che ti lasci del tempo libero… come lavorare in un caffé. Oppure, come fanno molti fumettisti, realizzare delle illustrazioni per commissione. C’è una grossa differenza tra quando ti chiedono un lavoro d’illustrazione come autore, e quando come “persona che sa disegnare”. Nel primo caso vogliono quello che sai fare. Nel secondo, invece, devi lottare con i clienti ridisegnando le cose fino all’infinito.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro (fumettistici e non)?

Ho appena cominciato una nuova storia e dovrei anche farne un’altra con una mia amica scrittrice.