Tom King, agente della CIA per l’antiterrorismo, diventa uno degli scrittori di fumetti più apprezzati degli ultimi anni. La storia? L’ha raccontata lo sceneggiatore di Visione e di Batman sulle pagine di Newsarama nella seconda metà dell’intervista che ha rilasciato alla testata.

Qui trovate la prima parte, che vi abbiamo già proposto. Ed ora, ecco le sue dichiarazioni.

 

Sono tornato a scrivere perché ero uscito dal mondo del Fumetto. Credo che un sacco di gente della mia generazione abbia questo buco attorno ai tardi anni Novanta, più o meno alla fine del boom della Image. Siamo tornati nei primi anni del Duemila. Nelle mie collezioni ho dei vuoti. Sono tornato a essere un lettore fortissimo quando ero in Iraq e mia madre mi mandò un enorme pacco pieno di fumetti. Quindi la mia passione si è rinfocolata nel 2005. Forse 2005.

Improvvisamente, mi trovo con Brian Michael Bendis, Mark Millar, Brian K. Vaughan e Warren Ellis. E… wow! Quel che firmavano era scritto da dio, prendevano queste idee già presenti quando erano giovani e le trattavano con una serietà colossale. Il fatto di prendere con serietà certi temi del fumetti di un tempo, li rese pericolosi. Ero impressionatissimo e ispirato da tutto questo e iniziai a leggere tutto quel che mi capitava per le mani.

Inoltre, una ragione importante del mio ritorno è stato il fiorire dei podcast. Io son cresciuto da solo, non ho mai parlato con nessuno di fumetti, con nessuno che conoscesse l’argomento quanto me. Quindi, quando ho acceso il PC e ho scoperto il mondo dei podcast, cose come iFanboy o Around Comics e WordBaloon, per la prima volta sentivo parlare di Fumetto al livello a cui io ragionavo di Fumetto. Una rivelazione. E non ne avevo mai abbastanza. Era come trovare acqua dopo anni di deserto, scoprire di non essere da solo e che c’era una grande comunità di gente come me.

 

Tra i podcaster più influenti, King cita Jason Aaron e Robert Kirkman quando non erano autori ed erano sostanzialmente degli sconosciuti. Assieme a loro, un ambiente intero che gli fece tornare la voglia di scrivere, anche se ancora si vedeva in carriera nella CIA.

 

Ho ricominciato davvero nel 2007, quando ho avuto un incarico a Washington, un buon lavoro che mi permetteva di fare esattamente quel che desideravo: prevenire attacchi terroristici. E mia moglie era incinta del nostro primo bambino. Era ormai evidente che non potevo essere il padre che volevo essere e, contemporaneamente, l’agente CIA che volevo essere. Altri ce la fanno, credo, ma io dovevo scegliere. Volevo esserci per i miei figli perché sono cresciuto senza mio padre. Proposi a mia moglie un anno di aspettativa in cui mi sarei preso cura dei bambini di giorno e di notte avrei scritto. Perché ancora volevo essere uno scrittore. Pensammo fosse un’idea folle, ma più si avvicinava il momento e più capivo di volerlo fare davvero. Eppure non avevo ancora scritto nulla, nemmeno un racconto breve. Per qualche ragione, dentro di me, ero convinto di potercela fare.

 

Il problema era entrare nel mondo dell’editoria del Fumetto. Se non sei un professionista non sei considerato dalle major, mentre le etichette minori hanno restrizioni sul genere. Ma poi King seppe che Brad Meltzer era entrato nel giro del fumetto scrivendo un romanzo, facendoselo pubblicare per poi proporne l’adattamento. Quella sarebbe stata la sua strada.

 

Ho copiato Brad Meltzer. Anche Charles Soule ha seguito quella via. Ce ne sono in giro un po’ come noi. Sono passato dall’essere un agente CIA a fare il babysitter a mio figlio di giorno, cambiare pannolini e fare pappine nel giro di un fine settimana. E nel tempo libero scrivevo. Tutti mi guardavano stranissimo perché ero io a fare le faccende di casa e non mia moglie. Meraviglie di una società sessista. E poi dovevo insegnare a me stesso a scrivere. Ci è voluto un po’. Ho comprato un’intero scaffale di libri sulla tecnica di scrittura e li ho letti metodicamente. Ho passato tre settimane a ripassare la grammatica, su cui mi sentivo insicuro, poi sono passato ai dialoghi e ai soggetti. Libro dopo libro, imparavo qualcosa di nuovo. E intanto leggevo un sacco di fumetti.

 

A Once Crowded Sky è l’unico romanzo di Tom King mai pubblicato. Poche vendite, ma era una prova d’autore e parlava di supereroi. Con quello, poteva presentarsi al mondo. Iniziò a prendere banchi alle fiere del Fumetto, dove vendere il suo libro. Tredici o quattordici in un anno. Guadagni pochissimi, ma tutto era in funzione di un incontro con la persona giusta. Due anni di quella vita, fino al San Diego Comic Con del 2014.

 

Conoscevo Cliff Chiang. Avrebbe dovuto essere l’illustratore del mio secondo romanzo. Ci vedemmo a San Diego. Gli chiesi se c’era un modo per scrivere fumetti. All’epoca, lavorava alla DC. Mi diede una lista di sette editor a cui propormi facendo il suo nome. Scrissi a tutti, dicendo che amavo il personaggio di cui si occupavano. Se era Lanterna Verde, mi dichiaravo fan. Se era Batman, uguale. Joey Cavalieri mi rispose “grazie, ma no grazie”. Per me, volle dire tantissimo essere considerato. L’unica a chiedermi di mandarle il mio libro fu Karen Berger, probabilmente perché avevo fatto lo stage alla Vertigo. Mi chiamò e fissammo un incontro. Ed ecco come iniziò tutto quanto.

Venne da me, al mio banchetto al Comic Con e mi chiese di pensare a una serie. Non avevo niente di pronto. Quindi inventai al momento una cosa terribile. Vedevo che era terribile da come mi guardava. Mi disse che forse avrebbe fissato un appuntamento con un suo assistente, probabilmente per liberarsi di me. Mi consegnò a Mark Doyle, un editor davvero geniale e lavorammo assieme a una storia per un’antologia chiamata Time Warp. Disegnata da Tom Fowler. Ne sono orgoglioso ancora oggi.

 

Da lì, tentativi e rifiuti fino a The Sheriff of Babylon. King non voleva scrivere di guerra ed era disperato, ma c’erano dei bambini a cui dare da mangiare. Anche quella fu rifiutata da Dan DiDio, ma Doyle venne promosso di lì a poco ed ebbe l’autorità per approvarlo. Dopodiché, Dick Grayson divenne una spia e alla DC si trovarono con un loro sceneggiatore con una carriera nella CIA. Da lì, ha preso il volo la carriera che conosciamo.

 

Ancora oggi mi sento strano a pensare di essere un autore di fumetti. Ed è pazzesco. Mia suocera, che non ha nemmeno un’oncia di sangue nerd, è entusiasta del fatto che io scriva Batman, perché ha letto di me in un articolo sul Washington Post e il Wall Street Journal. Oggigiorno accadono queste cose. Viviamo in un’epoca in cui essere nerd è diversissimo che in passato. Quando ero ragazzino, guardare Star Wars era da pazzi, oggi non c’è una singola persona al mondo che non lo abbia visto.

Visione è stato il passaggio che mi ha cambiato la vita, onestamente. I primi due numeri mi hanno svoltato la carriera. Grayson ha venduto benone e mi ha permesso di sperimentare, ma quando è uscito Visione ho toccato qualcosa nei lettori. Avevo il team giusto, con Hernandez Walta, Bellaire, Cowles e Moss. Mi hanno fatto fare una gran figura. Lì la gente ha capito che avevo una marcia in più.

 

 

Fonte: Newsarama