Grazie a BAO Publishing, alla scorsa edizione di Lucca Comics & Games abbiamo potuto incontrare Luca Vanzella e Giopota, gli autori della graphic novel Un anno senza te (potete leggere qui la nostra recensione). Li abbiamo sottoposti a un’intervista “annuale”, ricalcando la struttura della loro storia, per farci spiegare il processo creativo e le motivazioni dietro ad alcune delle originali scelte adottate per il fumetto.

Ringraziamo Chiara Calderone e Daniela Mazza per la collaborazione.

 

Settembre. Fin dall’inizio, Bologna è una presenza importante nel fumetto. Perché questa città come scenario di “Un anno senza te”?

Luca Vanzella – Ormai ho vissuto più anni a Bologna che a Conegliano, il mio paese natio, quindi mi sento bolognese, e la città mi piace.

Giopota – Io invece sono un bolognese acquisito più di recente.

Vanzella – All’inizio era un fatto di comodità, perché entrambi viviamo a Bologna, ma man mano ha acquisito sempre più un significato l’aver ambientato lì la nostra storia. Non è un semplice sfondo. 

Giopota – È una città piuttosto magica. Ci piaceva l’idea di mescolare la realtà e la fantasia, aggiungendoci torri e altri elementi che non esistono, elevare alla potenza le sue caratteristiche.

Ottobre. Ci viene presentato il passato di Antonio. Potete raccontarci il passato di “Un anno senza te”? Il mese di gennaio era apparso online come storia breve, poi cos’è successo? Com’è entrata in ballo BAO Publishing, e come tutto ciò ha modificato il progetto?

Un anno senza te, copertina di GiopotaVanzella – Tutto è cominciato dalla proposta di fare qualcosa insieme, noi due, visto che viviamo entrambi a Bologna. Eravamo abituati alle storie brevi, quindi abbiamo cominciato con quell’episodio. Poi ci siamo detti: “Se ci troviamo bene, facciamo le quattro stagioni. Se ci troviamo molto bene facciamo i dodici mesi.”

Abbiamo quindi preparato il progetto per bene. Ovviamente, quando entra in gioco un editore c’è bisogno di una struttura perché tutto torni. 

Giopota – In realtà, è da un po’ di tempo che volevo fare un progetto “da solista” con BAO. Poi, però, è sopraggiunto Luca, e così ho colto la palla al balzo. È stata la porta aperta che mi ha condotto verso il mondo dell’editoria. Spero di continuare. Secondo me è stato davvero un ottimo inizio.

Novembre. San Luca come faro è un’immagine meravigliosa. Ci raccontate com’è nata? Potete spiegare ai lettori non bolognesi cosa rappresenta? 

Un anno senza teVanzella – Dopo un po’, tutti quelli che si legano a Bologna scoprono che quando rientrando dall’autostrada rivedi il Santuario di San Luca illuminato sulla cima del colle, sai di essere tornato a casa.

Giovanni ha voluto aggiungere più torri di quelle che ci sono realmente, e abbiamo pensato di sfruttarle come se fossero delle fermate per i dirigibili, come quelle dell’autobus. Abbiamo pensato di espandere questo concetto, e alla fine mi è servito come metafora “al contrario”: il faro non serve per comunicare “vieni qua” ma “attento a non schiantarti”.

Giopota – È stato molto divertente disegnare San Luca, ma la presenza di elementi fantastici non ha evitato che le persone si domandassero se questa fosse una cosa finta. Abbiamo incontrato lettori convinti che il faro potesse esistere davvero sulla cima di un colle bolognese.

Dicembre. L’estrazione degli anni passati e l’app Recollection mi sembrano due idee da fantascienza distopica, quasi da “Black Mirror”. Come sono nati questi due elementi?

Vanzella – Ci siamo detti: cosa facciamo a dicembre? Non facciamo Natale, è inflazionato, facciamo Capodanno. Qui abbiamo trovato una similitudine inter-generazionale: ho pensato che il futuro fosse finito e che in realtà stiamo riciclando sempre le stesse cose, anche come mode, generi musicali… Quindi ho deciso di farlo letteralmente, era un bel rituale capodannesco.

Invece l’app Recollection è partita come sfida formale: volevo raccontare una mini-storia solo con degli elenchi di cose. Poi lui non stava già disegnando abbastanza, perché non impegnarlo ancora di più? 

Giopota – Una serie infinita di oggetti e persone…

Gennaio. Perché la statua di Lady Oscar?

Vanzella – Dovrebbe sostituire la statua di Padre Pio che c’è in Porta Saragozza, visto che l’appartamento di Antonio si troverebbe in via Frassinago. Per problemi di regia, però, non siamo riusciti a mostrare dei particolari che permettessero di riconoscere quella zona, ma non è importante, lo sappiamo noi dov’è. Però era lì, ci stava bene una statua e abbiamo optato per Lady Oscar, una vera eroina dei nostri tempi.

Febbraio. Antonio e Anita devono spiegare a un loro collega perché hanno deciso di diventare archeologi. Cosa vi ha spinti a diventare fumettisti?

Un anno senza teVanzella – La passione per i fumetti, secondo me, è una specie di malattia che uno contrae a un certo punto della sua vita. Me ne accorgo sempre in questi giorni a Lucca: c’è gente che per qualche anno non vedi più perché ha deciso che voleva mangiare e comprare cose grazie a stipendi veri, però poi a un certo punto inevitabilmente torna.

L’imprinting per me è stata l’animazione, quando ancora non leggi ma ti piacciono i colori e i movimenti. Poi non ti basta più e inizi a guardare i primi fumetti, come “Topolino”; ricordo però che ero seccato perché non c’era la continuity, ancor prima di sapere cosa fosse: ad esempio, mi sembrava impossibile che il deposito tornasse integro dopo che era stato distrutto nella storia precedente. Poi sono andato a cercare opere un po’ più realistiche, fino alla bulimia 

Giopota – Io fino ai tredici anni ho sempre saputo di voler fare fumetti, era una convinzione forte. Sapevo che sarei riuscito a farlo. Poi verso i venti anni mi sono detto che sarebbe stato troppo faticoso, un lavoro micidiale, quindi ci ho rinunciato. Ma come diceva lui, a un certo punto non puoi farne a meno, e sono ritornato grazie a una serie di influenze, date più dall’animazione che dal fumetto stesso. Per quanto impegnativa, è l’attività più gratificante per me. Eccoci di nuovo qua.

Marzo. Come mai nel flashback avete lasciato vuoti i balloon? 

Vanzella – Un po’ per estetica: dava la sensazione del ricordo, creando un distacco dal presente. Mi sembrava giusto. Ci ho riflettuto: non c’era bisogno di parole, si capisce che le altre persone stanno parlando e lui no, non è una scena completamente silenziosa.

Aprile. Il libro letto assieme da Antonio e il padre mi è sembrato l’elemento più autobiografico del fumetto, per il modo in cui viene raccontato e i particolari con cui è tratteggiato. 

Vanzella – È un ricordo molto distillato, alambiccato, però sì, in superficie forse è ciò che mi appartiene un po’ di più. L’elemento crepacuore io lo sentivo di meno, ho assecondato Giovanni che biograficamente è più vicino, ma questo legame familiare sicuramente mi appartiene e lo sento mio. Però molto cotto e rifrullato.

Maggio. Il Locomotiv, un popolare locale bolognese situato vicino a una vera locomotiva, qui è diventato lo Zeppelin. Come mai i dirigibili in questo mondo hanno sostituito i mezzi di trasporto?

Vanzella – Perché sì! [ride]

Giopota – Per una ragione puramente estetica. A me piaceva molto l’immagine di qualcosa che sorvola la città, ma si è rivelata una mossa suicida, perché poi le vedute aeree le ho dovute disegnare io. Però è stata una scelta spontanea, perché non inserire dei dirigibili? 

Giugno. Il mese dei neologismi. In qualche modo, ricollegandoci anche alla domanda precedente, “Un anno senza te” è ricco di “neologismi grafici” come appunto i dirigibili, la nevicata di conigli, Antonio che si rimpicciolisce o si ingigantisce… Tutte queste immagini sono molto forti sia visivamente che a livello di significato. Come vi siete rapportati l’un l’altro? Quante cose sono nate dalla sceneggiatura e quante invece vengono dalla proposta di disegnare qualcosa che poteva piacere a Giopota?

Vanzella – Il lavoro in tandem ha funzionato bene perché viviamo anche relativamente vicini, quindi potevamo andare a lavorare gomito a gomito proprio sullo stesso tavolo. Un graphic novel ha bisogno di un autore unico, quindi ragionavamo assieme su tutto. Ha aiutato lavorare la storia a pezzi, e abbiamo deciso di non seguire l’ordine cronologico. Un po’ per il segno e un po’ per complicarci la vita come sfida personale.

Giopota – Per me è stato utile lavorare ai diversi capitoli in modo non lineare, perché è il mio primo fumetto: dal primo capitolo che ho disegnato (gennaio) fino all’ultimo (agosto), il percorso è stato molto arzigogolato e ho dovuto ridisegnare tante cose, quindi è stata un’ottima mossa sotto questo punto di vista. Mi sembra che alla fine il risultato sia abbastanza omogeneo a livello di segno. 

Luglio. Ho avuto una visione: Antonio che si sdoppia e parla con se stesso mi è sembrata un’immagine surreale ma molto cinematografica. Se dovessero girare il film di “Un anno senza te”, penso che Michael Gondry sarebbe il regista perfetto. Avete pensato alla possibilità di un adattamento in un altro medium?

Vanzella – Mi hanno già fatto il nome di Gondry. Probabilmente i suoi videoclip devono avermi influenzato in qualche modo. Credo che solo un cartone animato potrebbe rendere, perché c’è comunque l’elemento disegnato…

Giopota – Dodici episodi su Netflix!

Vanzella – In realtà molte scelte sono state fatte perché erano soluzioni fattibili solo in un fumetto, quindi un adattamento sarebbe una sfida per chiunque volesse cimentarsi. 

Agosto. Nell’epilogo vediamo il futuro dei protagonisti di “Un anno senza te”. Qual è invece il futuro dei suoi autori? Tornerete a collaborare?

Giopota – Io sono già al lavoro sul prossimo titolo BAO, ed è una sfida il triplo più grande di quella affrontata con “Un anno senza te”. Si tratta infatti di un progetto da autore completo, sarà impegnativo ma si spera altrettanto gratificante. Nel frattempo lavoro anche con le autoproduzioni, con Attaccapanni Press ogni anno facciamo sempre più progetti. 

Vanzella – Lui è già impegnato con questo progetto, quindi io dovrò trovare un altro che riesce a starmi dietro quanto lui. Questi bravi fumettisti non crescono mica sugli alberi…! Per cui si vedrà. Ho tante cose in mente, ma è tutto talmente vago che è presto per parlarne. Sicuramente vorrò fare qualcos’altro per BAO, questo è sicuro.

 

Luca Vanzella e Giopota