A Lucca Comics & Games 2017 abbiamo intervistato Jason Latour. Lo sceneggiatore di Spider-Gwen e disegnatore di Southern Bastards ci ha intrattenuti parlando di queste due serie così importanti per la sua carriera e di altro ancora.

Ringraziamo lo staff Panini Comics, sempre disponibile, per averci concesso spazi e tempi per questa interessantissima chiacchierata.

 

Partiamo da “Spider-Gwen”, il titolo a cui sei maggiormente associato, ora come ora. La domanda è: è stata una soddisfazione uccidere Peter Parker?

Non saprei dire se sia stata una soddisfazione, ma certamente era necessario. Non volevo che la storia di Gwen fosse sempre paragonata alla sua. Averlo nella storia avrebbe diminuito l’abilità della mia protagonista di vivere la sua storia personale. Ovviamente, ha una funzione fondamentale nella vita di lei, quindi fa ancora parte del cast anche se non è più in vita.

Ha un po’ il ruolo dello Zio Ben per la vostra Gwen Stacy.

Sì, seppur in una maniera stranissima.

Da dove è giunta la componente musicale nella storia di “Spider-Gwen”, che ricopre una parte molto importante nella vita della protagonista?

Spider-Gwen vol. 1: La più ricercata...?, copertina di Robbi RodriguezBe’, ci sono due ragioni. La prima è che stavo cercando un’idea per la storia che, inizialmente, doveva essere un one-shot. Sapevo che avrei lavorato con Robbi Rodriguez e Rico Renzi, cosa che mi entusiasmava parecchio, e cercavo qualcosa che avessimo in comune e che ci avrebbe fatto tutti felici. Improvvisamente ho realizzato che tutti siamo appassionati di musica. Rico era un batterista, in particolare, e ha una figlia che suona e che è praticamente uguale a Gwen Stacy.

Ma c’è anche un’altra cosa: essere un musicista è anche una buona metafora per una componente fondamentale della storia, ovvero il rapporto fra egocentrismo e generosità, voglia di essere al centro dell’attenzione in maniera un po’ egoista e capacità di lavorare per il gruppo, di svolgere fino in fondo il proprio ruolo, pensando al bene di tutti. Ho pensato che sarebbe stata una componente divertente in un personaggio ragnesco. Inoltre, un sacco di volte vediamo donne scienziate ed è una cosa che è diventata un luogo comune.

Tra l’altro, in questo periodo è sempre più frequente.

Sì, ed è diventata un’idea un po’ vuota e piatta, nei fumetti così come nei film. Non volevo che la componente scientifica, che pure è presente nella storia, suonasse in qualche modo falsa. Rendere Gwen soprattutto una musicista, con tutti gli altri talenti che possiede, è stato quindi un modo di sparigliare le carte.

E poi anche questo sarebbe stato un paragone più diretto con Peter.

Esattamente.

Essere un’artista, invece che una scienziata, è un altro modo per differenziarla.

Sì. E poi volevo che fosse una persona diversa e non scontata. Il batterista è quello di cui non vedi mai il volto, che sta dietro rispetto alle star, ma è anche quello su cui tutto il gruppo fa affidamento: se non c’è, mette in crisi tutta la band. Gwen è un po’ quel tipo di personaggio: nessuno la nota particolarmente finché è se stessa, ma ha una sua forza e, quando mette la maschera, diventa il centro di tutto.

Quanto sei tentato dall’idea di utilizzare “Spider-Gwen” come uno specchio della Gwen di Terra-616? A volte capita di essere tentati di fare l’occhiolino al lettore di vecchia data, in modo da fargli capire che questa è un’altra Gwen, ma è sempre Gwen?

Spider-Gwen vol. 1: La più ricercata...?, copertina variant di Jason LatourPoco. L’unica cosa che hanno in comune sono le componenti di base. Come se gli ingredienti fossero gli stessi, ma il piatto che ci prepari fosse completamente diverso. Non ho mai avuto modo di mettere le mani sulla Gwen originale e non so poi moltissimo del personaggio, ma so che aveva genitori piuttosto conservatori, ad esempio. Quindi ho trovato interessante l’idea di raccontare la storia di una ragazzina che avesse dei contrasti con loro e che li mettesse alla prova. Ma tutta la sua personalità è nata in maniera del tutto spontanea e cresciuta naturalmente, senza troppi legami con l’originale.

Ho grande rispetto per la Gwen dell’Universo Marvel e credo che la storia della sua morte sia una delle migliori di ogni epoca del Fumetto. Ed è interessantissimo giocare con l’idea che la nostra Gwen sappia della morte della sua omologa. Lo ha scoperto solo recentemente, perché se era chiaro che esistono migliaia di Spider-Man in giro per il Multiverso, lei poteva pensare a se stessa come all’unica signorina Stacy.

Dopo aver parlato di musica, parliamo di moda: che peso ha avuto nel determinare il successo del personaggio?

Be’, credo che sia stata fondamentale. Senza non avrebbe avuto alcun successo. Io e Robbi siamo molto orgogliosi del costume. Lui ha fatto il lavoro più pesante, ma lo abbiamo progettato insieme, proprio per colpire molto il pubblico, e ha funzionato. Ho lasciato che Robbi sperimentasse con tutta la dose di follia che voleva e il mio ruolo è stato assicurarmi che Gwen apparisse soprattutto misteriosa, che la sua sessualità non fosse una componente prominente della sua personalità.

Argomento di scottante attualità. 

Storicamente, la maggior parte delle supereroine ha avuto i capelli al vento e la scollatura ampia. La loro sessualità è sempre stata esibita, anche quando non esagerata o sfruttata in maniera scorretta. Come se fosse una tassa da dover sempre pagare. Noi invece volevamo che fosse nascosta, che l’aspetto di Spider-Gwen fosse misterioso, a suo modo. Dopotutto, la prima volta in cui è apparso Spider-Man era uno strano fenomeno, faceva paura alla gente.

Il lettore sa che Gwen è una ragazza bellissima e bionda, sotto la maschera, ma nessun altro al mondo ne è consapevole. E questo è fondamentale.

E credo che il suo costume sia perfetto, da questo punto di vista. Perché, a ben guardare, con cappuccio ed enormi occhi bianchi, Spider-Gwen è anche piuttosto minacciosa, nella giusta situazione. 

Sì. Se sei un tizio in un vicolo che non sa niente di lei e te la vedi di fronte, fa decisamente paura. Il suo aspetto vende bene l’idea di minaccia, con lo stesso livello di serietà e di impegno con cui Stan Lee e Steve Ditko hanno trattato Spider-Man ai suoi esordi.

Forse solo il nome è un po’ più ridicolo, ma dopotutto è un soprannome che le è stato dato su Internet, nato dalla gente. Quindi va bene così. E per noi è stato una benedizione, perché mi ha permesso di alleggerire in tanti momenti.

Avrei qualche domanda per il Jason Latour disegnatore, adesso. C’è un tuo omonimo, qui a Lucca, Jason Aaron, cui ti legano una bella amicizia e la collaborazione su una storia importante come “Southern Bastards”. Vi siete conosciuti su “Scalped”, su cui hai brevemente lavorato?

No, da prima ancora. Saranno dieci anni, ormai. Ci siamo conosciuti su forum di artisti e fumetti. Ci siamo attratti fin da subito perché tutti e due siamo appassionati di football. Poi ci siamo incontrati a una convention a Chicago e ci siamo messi a parlare di cinema, Fumetto e di come siamo cresciuti. Qualcosa è scattato immediatamente, ci siamo sempre capiti fin da subito, soprattutto in fatto di Fumetto. Era solo questione di trovare un’occasione per lavorare assieme. Una volta trovata, il resto è storia.

Una storia che vi ha portati appunto a “Southern Bastards”. Aaron mi ha detto che è nato sostanzialmente da voi due in cerca di qualcosa da raccontare assieme, discutendo di quel che vi piace e che avete in comune, che avevate voglia di mettere in un fumetto. 

Panini presenta Southern Bastards di Jason Aaron e Jason LatourEsattamente. Volevamo semplicemente trovare un’idea che nessun altro avrebbe mai messo in un fumetto. Una cosa complicata, perché ha a che fare con un’analisi precisa di se stessi e con la capacità di essere sinceri sulla propria natura. Ma quando siamo assieme io e lui è facile: a entrambi piacciono le storie crime, entrambi abbiamo voglia di confrontarci con il nostro rapporto contrastato con le origini del sud che condividiamo. Ci sembrava la piattaforma perfetta per dire quel che avevamo da dire.

Quando abbiamo iniziato pensavamo che nessuno avrebbe letto una storia di football e omicidi, e ora eccoci qui, tre anni dopo, a girare il mondo per promuoverla. Per me è incredibile che la gente in Francia, in Italia o in Argentina si sia appassionata a una storia del genere.

Inoltre, è diventato, volente o nolente, anche un fumetto di stretta rilevanza politica, cosa che credo non fosse minimamente nelle intenzioni.

In realtà è sempre stata un po’ sottotraccia, perché di fatto parlavamo di quel che bolliva sotto la superficie della nostra società degli Stati Uniti, ma che tutti ignoravano. Le elezioni hanno portato quella roba in superficie, ma lo stato della nostra nazione in generale era da sempre un po’ quello di cui stavamo parlando nelle nostre storie. Abbiamo colto il momento giusto.

Ho trovato molto divertente che qualcuno mi abbia chiesto se, dopo le elezioni di Trump, avevamo in mente qualche storia che descrivesse il tipico elettore trumpiano. Lo stavamo già facendo da un pezzo! Le mie idee politiche credo siano molto chiare, e non voglio parlare per Jason, ma “Southern Bastards” è chiaramente un’opera soprattutto divertente e di intrattenimento, la cui componente politica è un effetto collaterale di chi siamo noi, che la scriviamo e disegniamo.

E a proposto della tua collaborazione con Jason, ti piacerebbe lavorare con lui a una serie Marvel? Quale?

Con Jason? No, veramente vorrei averne una tutta per me. Se dovessi lavorarci con Jason, credo che potremmo dar vita a una qualche folle serie sui Fantastici Quattro.

Be’, se non vado errato, c’è un vuoto da riempire, in quel settore. Ormai avete entrambi un certo peso alla Marvel, quindi chissà…

Giocare coi giocattoli di Kirby sarebbe un sogno e “Fantastic Four” è un fumetto su cui non ho mai lavorato. Sarebbe una scelta interessante e inaspettata, credo. Sono un grande fan del quartetto e, come ti dicevo, di Kirby.

Piaciuta la serie su Silver Surfer di Dan Slott e Mike Allred?

Non ho avuto il tempo di leggerla, ma ha un aspetto meraviglioso. Spero di poterlo fare presto.

Be’, è molto kirbyana. Dovrebbe piacerti. A proposito di kirbyani, tu hai lavorato anche con Mike Mignola.

Sì, anche se molto brevemente.

Vuoi raccontarci qualcosa, dato che è uno dei nostri preferiti?

Be’, è uno dei preferiti di un po’ tutti, direi. Anche mio, quando ero ragazzo. Per me, lavorare con lui è stata un’esperienza surreale, perché ho iniziato a leggere “Hellboy” che avevo tipo dieci anni. Figurati. Inoltre “Sledgehammer”, la storia a cui abbiamo lavorato assieme, proponeva un personaggio completamente nuovo ed era davvero intrisa dello spirito di Jack Kirby. Ho dei ricordi meravigliosi ed è uno dei punti chiave della mia carriera.

La cosa divertente è che c’è stato un periodo della mia vita in cui praticamente arrivavo sempre a lavorare con qualche grande autore o artista. Pensavo che sarei diventato famoso come quello che è arrivato dopo. Ho preso in mano “Winter Soldier” dopo Brubaker, ho lavorato con Tarantino su “Django”, con Mignola… ci sono stati due o tre anni in cui mi stavo facendo un nome e mi chiedevo quando sarei stato io ad essere l’autore principale. “Spider-Gwen” è nata anche un po’ da lì, come storia: volevo avere un progetto che sentissi del tutto mio.

E, a proposito di un progetto tuo e di un’eroina a cui hai dato vita, come tutte le versioni alternative di personaggi già esistenti, rischia di avere vita breve. Di solito è così, a meno che non succeda qualcosa. Miles Morales, ad esempio, è approdato nell’Universo Marvel per poter sopravvivere alla fine di quello Ultimate. Gwen potrebbe avere un destino simile?

Sì, credo di sì, anche perché ha già le carte in regola per farlo. A differenza di Miles, Gwen è consapevole dell’esistenza di un universo parallelo e lei viaggia avanti e indietro con una certa facilità. Quindi sì, potrebbe tranquillamente farlo, anche se spero che rimanga più a lungo possibile nel suo universo nativo e che la storia prosegua su questi binari. Siamo al quarto anno e la cosa è onestamente al di là di ogni previsione. Trovo che sia la dimostrazione di come non sia vero che, per avere successo, si debba per forza intercettare qualche sorta di vibrazione tematica nel pubblico, toccare argomenti, temi, chiavi di lettura che contano per le masse nella contemporaneità. Non ci ho mai creduto davvero, e “Spider-Gwen”, per me, è la dimostrazione che una storia conta per le persone quando è ben fatta ed è divertente, quando chi la racconta pensa che conti per lui e te lo faccia sentire.