A Lucca Comics & Games 2016, presso il Teatro del Giglio, è andato in scena un memorabile incontro tra due leggende del fumetto: Frank Miller e Milo Manara. Abbiamo avuto la fortuna di essere presenti a qualcosa di storico e abbiamo conseguentemente deciso di riportare i passaggi più salienti del confronto ai nostri lettori che non hanno avuto la possibilità di parteciparvi.

I due fumettisti hanno iniziato ripercorrendo brevemente le loro incredibili carriere, dagli esordi negli anni Settanta a oggi, soffermandosi su quanto il mondo del fumetto sia cambiato nel corso del tempo.

 

Manara – Preciso che non è la prima volta che io e Miller ci incontriamo. Lo dico perché Frank è stato talmente gentile da volermi incontrare a San Diego, quattro anni fa. Siamo stati a pranzo insieme ed è così che ho conosciuto questa leggenda del fumetto, un artista straordinario che si è anche premurato di scrivere di suo pugno la prefazione di una collana di miei libri pubblicati negli Stati Uniti da Dark Horse. Per me è stato un regalo inatteso: prima di allora, non avevo nemmeno idea che Miller sapesse della mia esistenza!

In questi anni, il mondo del fumetto è cambiato molto, sia dal punto di vista del linguaggio che dell’immagine, con un livello qualitativo che è progressivamente cresciuto. Nell’ultima decina d’anni, inoltre, nel fumetto è entrata la tecnologia, il digitale che ha davvero trasformato visivamente quest’arte. Le storie si fanno sempre più interessanti e articolate: quello che voglio dire è che il fumetto è divenuto adulto. Capisco benissimo i giovani autori che in Italia fanno fatica ad accettare lo stesso termine “fumetto”, che ha quasi una connotazione infantile e riduttiva, rispetto a un mezzo che è diventato nettamente adulto: se una volta parlavamo di genere narrativo, adesso è una forma narrativa che contiene tutti i generi.

Sento parlare di “graphic novel”, ma credo che la definizione più corretta sia quella coniata da Hugo Pratt: letteratura disegnata. Con una certa malizia, Pratt diceva che gli autori di fumetti sono scrittori che in più sanno anche disegnare. Bisogna dire che proprio a causa di questo progresso del fumetto, è già capitato che degli autori di fumetti siano stati candidati al Premio Strega, come Zerocalcare e Gipi. Il fumetto è entrato nel salone buono della cultura, per usare un’espressione trita. In realtà, una grande spinta a questo processo di crescita l’ha data proprio Frank Miller, introducendo nei comics americani fumetti popolari, elementi di alta cultura e ispirazione.

Miller – La prima volta che ho letto le opere di Milo sono rimasto colpito dalla bellezza di quello che realizzava, ovviamente, ma anche dall’ampiezza di genere del suo lavoro, sempre incredibilmente erotico, oltre che romantico e molto divertente. Quindi il suo canone, da questo punto di vista, non ha fatto che divenire sempre più ampio.

I fumetti sono cambiati in un modo assolutamente radicale, dagli anni Settanta a oggi. Sono successe talmente tante cose allo stesso tempo… e alcuni elementi importanti sono quelli dovuti alla crescita delle prime generazioni di lettori di fumetti, che sono divenuti adulti e hanno fatto leggere i fumetti ai loro figli.

L’altra cosa da considerare è che a New York aprì un franchise di fumetti inglesi, Forbidden Planet, che rivelò ai lettori americani che i fumetti non presentavano solo aberrazioni e mostruosità, o storie fantastiche, ma anche il lavoro di autori come Hugo Pratt, Jean Giraud e Milo Manara.

 

Il discorso si è poi spostato sulla politica americana, in particolare quella inerente alle prossime elezioni presidenziali, così come sul tema della città, elemento molto presente nei lavori dei due autori.

 

Manara – Intanto, vorrei sfatare una leggenda, quella che vuole che Frank Miller sia di destra. Io in realtà non l’ho mai pensato, e in seguito lui mi ha confermato che non è assolutamente così. Lui è un pensatore libero e non è schierato in alcun modo.

Miller – Grazie! [in italiano] Dire che sono di destra è come dire che il Maestro Manara detesta le donne!

Manara – Mi sono concentrato particolarmente sul tema della città soprattutto nel mio ultimo lavoro, Caravaggio, al cui seguito sto lavorando. Ho preso la città che è divenuta uno dei protagonisti della storia perché mi interessava sfruttare al meglio uno dei pochi vantaggi che ha il fumetto nei confronti del cinema, cioè quello di poter ricostruire le città del Seicento senza spendere una lira. Se lo si fa nel cinema si spendono molti soldi per gli effetti speciali, mentre noi fumettisti riusciamo a cavarcela gratuitamente.

Ci sono inoltre delle vere e proprie documentazioni nel mondo attorno a noi, basti pensare alle rovine di antiche città, ai palazzi antichi, ai monumenti e ad altri lavori artistici. Nel caso specifico, credo non si possa capire davvero la vita di Caravaggio e dei suoi contemporanei se non si ha un’idea precisa del mondo nel quale vivevano; così come le differenze rispetto al nostro, a partire dall’illuminazione sino alle strade. Era un’altra vita.

Ricordo una battuta che mi fece Fellini: in una giornata di pioggia lo stavo accompagnando a casa e mi commosse molto il fatto che lui, per entrare in casa sua, dovette strisciare tra due parafanghi di automobili impiastricciandosi i pantaloni. Allorché, mi chiesi se fosse mai possibile che un così grande artista dovette sporcarsi per entrare nella sua abitazione, e lui mi rispose: “Sa, se ritornasse in vita mio nonno, chissà cosa direbbe di tutte queste scatole di metallo che hanno invaso la città!” Il contesto urbano è importante in ogni storia.

Miller – Mi chiedo se Fellini vivesse a Manhattan…

Manara – Quello è Woody Allen! Per raccontare il rapporto di Miller con la città bastano le parole “Sin City”.

Miller – Quello che adoro della mia città, New York, è che mentre cammini per le strade e alzi lo sguardo verso le finestre dei palazzi puoi pensare che dietro a ognuna di esse ci sia una storia. Mi piace pensare che in America, così come in Europa e nel resto del mondo, le persone portino le loro storie, tutte diverse, sui loro volti. Sono assolutamente innamorato della mia città.

Dopo l’11 settembre, non si riusciva a respirare e la cosa più incredibile era che i newyorkesi erano stranamente ben educati, gentili l’uno con l’altro. Insomma, se avete mai visitato New York sapete che gli abitanti sono, come dire, un po’ strani: quello fu un periodo molto tranquillo, silenzioso, malinconico e triste. Credo che di non essermi sentito totalmente a casa fino a quando non ho sentito una persona incavolarsi con un tassista per la mancia.

 

Miller si è poi soffermato sulla fisicità dei personaggi che popolano le sue storie.

 

Miller – Il modo in cui disegno i corpi dipende fondamentalmente dalla reazione che voglio suscitare nel lettore. Per esempio, se pensiamo a Marv di Sin City, tutto quello che lo riguarda cerca di esprimere la forza bruta: quindi, questo personaggio è goffo e immenso. Mentre per quanto riguarda le donne c’è una maggiore varietà nel loro linguaggio del corpo, in come si muovono e gesticolano, perché questi stessi personaggi sono più eterogenei, basti pensare al personaggio di Goldie, su tutti, che ho creato perché stesse a rappresentare le fantasie di ogni uomo sulla Terra.

 

I due hanno quindi condiviso il loro pensiero sul leggendario Hugo Pratt:

 

Manara – Di Pratt mi resta lo smisurato orgoglio di essere stato l’unico disegnatore al mondo ad aver disegnato ben due sue sceneggiature. Lo dico perché evidentemente è segno del fatto che la prima gli era piaciuta, se me ne ha data un’altra!

Gli insegnamenti di Pratt sono scolpiti dentro di me, soprattutto sulla vita di vagabondo anarchico, del quale lui era un modello perfetto, e il suo essere irriducibile nei confronti dell’avventura: lui è stato uno dei pochissimi che ha continuato a fare fumetti di avventura anche quando questo genere non era più così popolare.

C’è stato un momento nel quale tutte le storie o quasi dovevano essere politicizzate, in cui questo genere era quasi scomparso, anche come mero concetto. Il suo punto fermo era l’autodeterminazione, la capacità dell’uomo di scegliere il proprio destino a qualsiasi costo, cosa che è poi il manifesto dell’avventura. Basti pensare, non a caso, all’Ulisse di Omero, personaggio che è il prototipo del gentiluomo di ventura, in senso quasi dantesco. Lui era convinto di questi valori, totalmente, quasi in modo eversivo: se nel mondo reale tutti fossero come i suoi personaggi, la società si rovescerebbe in un attimo.

Miller – Ho incontrato Hugo Pratt, che avevo studiato per anni, in un momento nel quale probabilmente non ero ancora pronto per lui, come uomo. Avvenne proprio qui a Lucca, tanti anni fa: lui arrivò nella sala dell’albergo per fare colazione e mi si parò davanti lanciandomi uno sguardo truce. Sorprendentemente, mi ricordava Raymond Burr, e questo vuol dire che era come se mi stesse guardando Perry Mason. Venne da me, mi guardò e digrignando i denti mi disse: “Tu. Io ti conosco.” Parlammo a lungo dei nostri progetti e continuammo a incontrarci e a farlo per giorni. Rimasi colpito di quanto fosse espansivo e generoso, di quanto vasta fosse la sua cultura e quanto grande il suo charme, oltre che per il suo straordinario gusto culinario. Non potevo fare altro che imparare da lui.

Manara – Il famoso sguardo da tigre di Hugo Pratt che ti immobilizzava. Io non ho mai litigato con lui e sono stato uno dei pochi fortunati, proprio perché imparando a conoscerlo, ho sempre saputo quando stare zitto.

 

Miller ha poi discusso di altri importanti autori di fumetti italiani, come Dino Battaglia e Sergio Toppi:

 

Miller – Un altro fumettista italiano che mi viene in mente è sicuramente Dino Battaglia, perché il suo lavoro è qualcosa di incredibile. Poi c’è Sergio Toppi: credo che l’oggetto di cui sono più orgoglioso sia una pin-up di Sin City che Toppi ha realizzato per me. Si tratta di una pin-up del personaggio di Miho alla quale non abbiamo reso giustizia quando è stata riprodotta per l’edizione in volume dell’opera: quanto incredibilmente bella dal vivo è quell’opera!

Io e lui abbiamo qualcosa in comune: la nostra assoluta ossessione per i samurai. Ho studiato a lungo Toppi dopo essere rimasto molto sorpreso dal fatto che utilizzasse i disegni come una forma di collage, con immagini che si intersecano l’una con l’altra. Molto interessante è anche il fatto che lui avesse quasi uno sdegno completo per l’idea di prospettiva: ci sono immagini che collidono l’una con l’altra e vanno a creare un nuovo concetto di prospettiva, qualcosa di assolutamente unico e meraviglioso.

Per quanto riguarda Battaglia, la cosa che mi ha sempre colpito è il modo roboante con il quale riusciva a utilizzare il pennino. Cercate di capire però che quando parlo di questi autori è perché li amo davvero come artisti, in quanto non riesco a leggere i loro fumetti, dato che spesso non sono tradotti in inglese.

Battaglia come artista era uno che riusciva a colpire tutti i cilindri, per usare un’espressione americana: vuol dire che riusciva a suonare ogni singola nota di un pianoforte fino a comporre qualcosa di straordinario e perfetto. Ogni volta che ammiro la sua arte ne sono assolutamente travolto.

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