A Lucca Comics & Games 2016, grazie alla collaborazione dell’etichetta Nona Arte di ReNoir, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Matthieu Bonhomme, autore del volume L’uomo che uccise Lucky Luke, realizzato in occasione del settantesimo anniversario del popolare personaggio.

 

Come sei stato selezionato per L’uomo che uccise Lucky Luke? Essendo un personaggio così popolare, hai dovuto superare delle selezioni?

L'uomo che uccise Lucky Luke, copertina di Matthieu BonhommeÈ buffo: non ho superato alcuna selezione perché sono stato io a proporre il progetto alla casa editrice. Una decina di anni fa avevo chiesto di disegnare un albo di Lucky Luke, perché in quel periodo diverse case editrici facevano reinterpretare i loro personaggi di punta da artisti con stili differenti. A me sarebbe interessato disegnare Lucky Luke, ma ogni volta che lo proponevo a Dargaud mi rispondevano che non era possibile, non erano interessati.

Due anni fa parlai della cosa con il mio editore francese, che mi disse di ritentare approfittando del settantesimo compleanno del personaggio. Era il momento giusto, mandai dei miei disegni di Lucky Luke a Darguard che mi chiese cosa avrei voluto raccontare. Solo che non lo sapevo: le mie prove erano piaciute, ma a quel punto dovevo pensare a una storia, come affrontare il personaggio.

Com’è stato accolto l’approccio realistico dei tuoi disegni? Ci sono state pressioni da parte della casa editrice per restare più vicino allo stile tradizionale del personaggio?

No, hanno già un artista che lavora sulla serie principale e il suo lavoro è disegnare con uno stile il più possibile vicino a quello di Morris. Io invece dovevo disegnare con il mio, fornire la mia interpretazione. La cosa interessante era creare qualcosa di nuovo, di differente da quanto era stato fatto fino a quel momento. Potevo fornire il mio punto di vista sul personaggio, perciò ho avuto molta libertà, ho potuto fare ciò che volevo, avevo il controllo su quella che sarebbe stata la mia visione personale di Lucky Luke.

La gag-tormentone su Lucky Luke che non riesce a fumare è un chiaro ammiccamento ai fan di vecchia data del personaggio. Ce ne puoi parlare?

Quando ami Lucky Luke come me, fin dall’infanzia, non capisci perché a un certo punto smetta di fumare, un elemento importante nella serie principale. La pensano così sia i lettori più giovani che i veterani.

Qualche anno fa un giornalista ha scritto che Lucky Luke è morto il giorno in cui ha smesso di fumare. È stata una cosa strana e questo volume per me è stata l’opportunità di esplorare perché il protagonista abbia deciso di non fumare più. Mi rivolgo a tutti i fan che amano il personaggio come me, creando una sorta di intimità tra autore e lettore, è stato un piacere giocare con questa battuta che chi conosce bene la serie può comprendere.

Lavorare a questo volume di Lucky Luke ti ha insegnato qualcosa che porterai con te nei tuoi prossimi lavori?

Lucky Luke mi ha ispirato fin da quando ero bambino, è stata la mia principale influenza nel mondo del fumetto. Adoro la semplicità delle storie, il modo in cui vengono inseriti i personaggi femminili, il mix tra elementi realistici e cartooneschi. È con questa filosofia che ho sempre lavorato ai miei fumetti. Realizzare questo volume è stata un’esperienza grandiosa, ma sono lo stesso artista di prima, è stata soltanto una naturale evoluzione del mio sviluppo creativo.

C’è qualcosa che ti ha sorpreso come autore di Lucky Luke che non ti aspettavi dall’esperienza come lettore?

Avviene sempre. Quando scrivi una storia, all’inizio sono soltanto idee che devi poi trascrivere in modo preciso. A questo punto realizzo lo storyboard, che è la mia personale sceneggiatura, ed è la fase di creazione in cui i personaggi mi sorprendono: scopro qualcosa di nuovo perché devo andare a fondo nella storia, devo immaginare di essere nello stesso luogo assieme ai protagonisti, provare ciò che provano loro. È una proiezione di quell’universo narrativo all’interno della tua mente. In quel momento i personaggi riescono a sorprendermi, iniziano a vivere di vita propria.

Prima de L’uomo che uccise Lucky Luke c’è stata un’altra reinterpretazione moderna e realistica di Lucky Luke: mi riferisco al film in live action con Jean Dujardin. L’hai visto? 

No. È raro che i francesi riescano a realizzare un buon film tratto da un fumetto, mentre gli americani sono più abili in questo. Ci sono i cartoni di Lucky Luke che sono piuttosto buoni, ma una trasposizione con attori è davvero difficile; il mio approccio è realistico e ho dovuto escludere i commenti di Jolly Jumper, Rataplan e i fratelli Dalton, perché sono elementi molto cartooneschi.

L’editore ti ha chiesto di realizzare altre storie dopo questo albo celebrativo? Ti piacerebbe lavorare a un altro episodio?

No. È stata una esperienza grandiosa, ma ho altri progetti, altre cose da realizzare.