Allo stand Panini Comics giungiamo prodighi di domande per colui che, forse, possiamo considerare la vera sorpresa di questa edizione di Lucca Comics & Games: Gabriel Hernandez Walta. Il suo Visione – scritto da Tom King e al primo volume (di due) in Italia – è andato letteralmente a ruba anche grazie alla sua presenza in fiera, nonostante sia una lettura non semplice e ben lontana dal classico fumetto supereroistico.

Grazie allo staff Panini abbiamo potuto scambiare quattro chiacchiere con lui, ed ecco il risultato.

 

Visione è un segno del cambiamento in atto nei fumetti mainstream e in quelli della Marvel in particolare, anche grazie al tuo particolare stile grafico e narrativo. Pensi che cinque anni fa avresti potuto far parte della famiglia Marvel con questa continuità e con tanti progetti?

Cinque forse sì, dieci, direi di no. Sono convinto che nei comics qualcosa stia cambiando per davvero e che tu abbia ragione: qualche anno fa sarebbe stata molto più dura per uno come me. Non avrei trovato posto.

La tua formazione non è strettamente sui supereroi, anche perché sei un artista europeo. Quali sono stati i tuoi riferimenti principali, in fase di crescita artistica?

Io ho studiato alla scuola d’arte, ho lavorato molto come pittore, quindi diciamo che ho una formazione classica. La mia fortuna è aver letto un sacco di fumetti americani durante l’adolescenza, molto più che non europei, quindi diciamo che la mia formazione è quindi mista, perché ho avuto anche quello nel mio orizzonte e ho sempre voluto partecipare anche a quel mondo. Il mio artista preferito in assoluto è Bill Sienkiewicz, che chiaramente è un maestro dei comics, ma anche molto di più.

Non posso evitare di farti una domanda su Tom King, stella in crescita rapidissima del fumetto americano e un autore con una prospettiva per nulla banale sul mondo dei supereroi, capace, in Visione, di andare nel profondo delle personalità dei personaggi, come sottolineato anche dai tuoi disegni. Immagino che per descrivere Visione come avete fatto, come personaggio tragico, in modo così efficace, abbiate lavorato a strettissimo contatto.

Certo che sì, ma la cosa buona della nostra collaborazione è che lui conosceva già il mio lavoro quando ha iniziato a scrivere. Aveva letto Magneto e conosceva da vicino le mie abitudini anche in termini di regia. Si è studiato i miei punti forti e ha lavorato alla sceneggiatura in modo da sottolinearli e sfruttarli a nostro vantaggio. Inoltre sapeva che sarei stato io il disegnatore, perché sono stato scelto prima di Tom, per la serie. In qualche modo l’editor che ci seguiva ha scelto uno scrittore che fosse adatto alle mie caratteristiche. La cosa ha aiutato moltissimo.

E tu confermi la bontà della scelta di Tom, credo, anche alla luce dei risultato che è di livello altissimo.

Sì, èVISIONE sketch 3 stata una decisione meravigliosa. Nel primo numero dovevamo ancora conoscerci, quindi le sue descrizioni erano ancora piuttosto dettagliate, ma già dal secondo ha iniziato a fidarsi molto di me e a concedermi tanto spazio di manovra.

Devo dire che, quando mi arrivò la sceneggiatura del secondo episodio rimasi sbalordito. Era la migliore che avessi mai letto nella mia vita fino a quel momento. Da lì in poi, io e lui abbiamo lavorato quasi parallelamente. A volte la sua sceneggiatura va da una parte, il mio disegno da un’altra e si incontrano a un certo punto per poi proseguire all’unisono. In questo modo, siamo riusciti a raccontare cose diverse con i testi e i disegni all’interno di una stessa storia. Ve ne accorgerete durante la lettura. La fiducia reciproca è stata fondamentale.

Penso che tu possa essere definito un artista dall’approccio cinematografico, anche se alcuni ti definiscono teatrale nello stile con cui tratti i personaggi. Ma, in realtà, credo che il modo in cui presenti la loro recitazione sia fatta soprattutto di piccole cose, piccoli movimenti del volto, apprezzabili in primo piano e quindi più da grande schermo che da palco teatrale. Sei d’accordo? Da dove viene questa cosa, se davvero c’è nel tuo stile?

Sì, sono d’accordo. In questa storia in modo particolare, come anche in Magneto. Anche perché entrambe le serie non dicono, in molti casi, quel che i due personaggi pensano ed è toccato a me mostrarlo tramite le espressioni del volto di Magneto e di Visione. Ecco perché i tanti primi piani.

Per quanto riguarda il mio approccio cinematografico devo dire di non averci mai pensato. Anche perché non ho riferimenti estetici fuori dal fumetto. Voglio che un fumetto sembri un fumetto, non che somigli a una serie TV o a un film. Tuttavia, mi sento sempre come se stessi realizzando un film. Diciamo che mi influenza molto il cinema soprattutto nella trattazione della vicenda, più che nello stile visivo. E su questo hai ragione, perché la recitazione dei personaggi è parte di ciò che fa procedere la storia. Infatti ci sono parecchi film che mi hanno influenzato nel mio lavoro, più di quanto non facciano i fumetti. Penso ad Apocalypse Now o alla trilogia de Il Padrino.

Esempi notevoli di recitazione di altissimo livello e portata avanti dalle espressioni del volto.

Esatto. Inoltre io cerco di conoscere i personaggi che disegno fin nei minimi particolari, quasi come se fossi io l’attore che ci si deve immedesimare, perché così posso permettermi di disegnarli per intuizione, di farli reagire con naturalezza agli eventi, come se stessero improvvisando davanti alla macchina da presa. Ed è lì che emergono le piccole cose di cui prima dicevi. Insomma, mi lascio andare a loro e alle loro personalità.

Tra l’altro sembra una costante per te quella di lavorare, almeno con Marvel, su fumetti fortemente incentrati sui personaggi, più ancora che sugli eventi. Tu e Cullen Bunn ci avete regalato un ritratto inedito ed estremamente analitico di Magneto; Visione è un dramma personale molto complesso anche per l’idea di personaggio che vi sta dietro; tra qualche mese ti vedremo su Occupy Avengers, con David Walker, altro autore con una prospettiva obliqua sui personaggi; inoltre il personaggio centrale di quest’ultima serie sarà Occhio di Falco, che negli ultimi anni ha subito la decostruzione e ricostruzione di Matt Fraction. Insomma, pare che tu sia legatissimo alle storie orientate sui personaggi.

Sorrido, perché è proprio così. Alla Marvel conoscono molto bene il mio stile e mi propongono dei progetti che mi calzano. E del resto io adoro far recitare i personaggi, perché penso che debbano sempre essere il focus principale di una storia, ma non nel senso della caratterizzazione estetica. Se non ci si relaziona con il personaggio della storia, quest’ultima diventa dimenticabile, per me. Ed è per questo che mi sono concentrato sulla recitazione dei personaggi, perché credo che sia il mezzo più veloce per ottenere questo risultato.

Altro tratto costante delle tue storie americane è il fatto che si sia sempre qualcosa di disturbante, di inquietante. La personalità di Visione lo è; Magneto è un personaggio che danza sul filo del rasoio tra bene e male. Si tratta di un’altra affinità elettiva tua personale?

Ne stavo parlando poco fa con Marco Lupoi. Io adoro le storie di Ray Bradbury, ad esempio, e in generale tutte quelle vicende che parlano di situazioni che avvengono in ambienti apparentemente normali, in contesti molto quotidiani, ma con un elemento di stranezza, di bizzarria e inquietudine. Le amo da lettore e, in qualche modo, mi inseguono da artista.

Di nuovo, non si tratta di una scelta cosciente, ma è qualcosa che mi capita in continuazione. In Visione, c’è una tensione costante, la sensazione che stia sempre per capitare qualcosa di brutto, da un momento all’altro. Cosa che apprezzo moltissimo perché aiuta il progredire della storia e a mantenere l’attenzione sempre altissima da parte del lettore.

Mi pare che tu l’abbia dichiarato ieri, durante un incontro: ti piace lavorare su quei personaggi che non ami ancora alla follia e hai paura di disegnare storie di quelli per cui hai grande affetto, come Wolverine. Quindi la domanda, tra serio e faceto è: chi è che detesti veramente e su cui, pertanto, ti vedremo al meglio?

C’è un certo alieno con un costume rosso e blu, non so se lo conosci. Lo chiamano Superman. Non è che lo detesti, ma credo sia difficilissimo trovargli un difetto e questo è l’opposto di quel che mi piace in una storia. Non ha molti punti di debolezza e questo lo rende difficilissimo da trattare.

Sarebbe però una sfida interessantissima, no? Lo è sempre.

Questo senz’altro. Tom King diceva che è semplicissimo raccontare una storia su Batman, mentre farlo con Superman è quanto di più complicato ci sia nel fumetto. Forse in periodi in cui la fantascienza e la fantasia erano più ingenue, non era così complesso, ma oggigiorno è davvero complesso. A volte, troppo.

Alla base della tua identità, c’è quella di narratore per immagini. Spesso vediamo che nelle tue storie lo fai, per lunghi tratti, senza parole. Dove pensi che questo elemento del tuo stile si sia manifestato maggiormente?

Ovviamente, ai miei esordi, con i progetti con cui ho debuttato in Spagna. Niente soldi, ma un sacco di libertà e l’occasione perfetta per mettermi alla prova su quel campo. Negli Stati Uniti, ho sempre avuto un grado di libertà piuttosto alto, perché è proprio per le mie qualità di narratore.

E infatti sei stato affiancato da autori che lasciano tradizionalmente molto spazio di manovra ai loro disegnatori, come Cullen Bunn, oltre che Tom King. E David Walker cammina sullo stesso sentiero.

Esatto. Inoltre si tratta di serie. Visione è tra quelle più lunghe, quindi io e Tom ci siamo conosciuti con il tempo e siamo diventati una squadra sempre meglio oliata. Ecco perché probabilmente questo è il progetto americano su cui si vede di più la mia attitudine alla narrazione.

Inoltre, mentre un tempo erano i disegnatori le star vere del fumetto americano, ora sono gli sceneggiatori. Per fortuna, però, sempre più autori d’oltreoceano hanno questa voglia di coinvolgere nell’atto del narrare i loro colleghi disegnatori.

John Cassaday mi diceva ieri che, da una frase sola di Warren Ellis ha tratto un’intera tavola. Questo ti dice come anche una leggenda come lo scrittore inglese sia disposto, se il collega è quello giusto, a lasciare mano libera. O forse era Joss Whedon, non ricordo. Ma il fatto è che molti lettori non si rendono conto di quel che noi disegnatori facciamo davvero in termini di racconto. Comunque credo che il mio miglior lavoro come narratore per immagini sia proprio Visione. Penso proprio di aver dato il meglio di me stesso.

Mi pare che stia andando benissimo qui in Italia, vedo grande attenzione per il tuo lavoro.

Sì. Questa è la mia prima fiera qui da voi è l’ho adorata. La gente è stata gentilissima, la Panini è stata grandiosa e Lucca è una città davvero meravigliosa, mi piacerebbe restarci un anno a disegnare. Camminando per strada mi sembrava di vedere un sacco di architetture di Mignola, di monumenti che potresti vedere un una storia di Hellboy. E poi sono innamorato di un vostro artista che è Gipi, uno dei miei fumettisti preferiti in assoluto, non solo europei, ma di tutto il mondo.

Una domanda che facciamo a tutti. Stai leggendo qualcosa di bello che vuoi consigliarci?

Oh, certo. Sto leggendo East of West di Hickman che è grandioso, un sacco di cose di Mignola. Ciò che sto rileggendo di Occhio di Falco, sia di Fraction che Lemire mi sta piacendo moltissimo. E per Jeff Lemire ho una passione particolare. Essex County è un fumetto che mi sarebbe piaciuto disegnare, proprio il tipo di storia che adoro.