Tra gli ospiti di Lucca Comics & Games 2015 c’erano Jean-Yves Ferri e Dider Conrad, autori delle ultime due storie a fumetti con protagonisti gli irriducibili Galli: Asterix e i Pitti e Asterix e il Papiro di Cesare. Quest’ultimo, uscito in contemporanea mondiale un paio di settimane fa ci ha piacevolmente sorpreso, come potete leggere nella recensione realizzata in occasione della nostra visita all’editore modenese. Grazie a Panini, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare i due autori, che ci hanno raccontato la loro esperienza e cosa si prova a dover seguire le orme di René Goscinny e Albert Uderzo. Questo è il risultato della nostra chiacchierata:

 

Sono convinto che ci sia stato un lungo processo di “casting” prima di diventare i nuovi autori di Asterix. Potete raccontarci come siete stati scelti?

Jean-Yves Ferri – È cominciato dalla storia, diversi sceneggiatori hanno proposto un soggetto ed è stato scelto il mio. Non mi sono proposto, è stata Hachette a contattare quelli che riteneva i potenziali scrittori. Sono così diventato lo sceneggiatore di Asterix e i Pitti, che avrebbe dovuto essere realizzato da un disegnatore dello studio di Uderzo, ma che poi è stato allontanato dal progetto. Così l’editore ha chiesto a quattro artisti di presentare alcuni studi grafici dei personaggi. Dopo di che Dider ha dovuto fare due tavole di prova e così è stato scelto.

Didier Conrad – Per Asterix e i Pitti ho dovuto lavorare molto velocemente, perché l’altro disegnatore aveva “rubato” diversi mesi della realizzazione dell’albo, e anche il processo con cui sono stato scelto ha portato via altro tempo. Ho avuto soltanto 8 mesi per apprendere lo stile, preparare tutto e disegnare ogni tavola, e ti assicuro che è poco tempo. Per Il Papiro di Cesare invece è stata una lavorazione normale, ho avuto più tempo a disposizione, circa un anno e mezzo.

Per Asterix e i Pitti sentivate la pressione di essere i nuovi autori di Asterix, il fumetto più venduto al mondo, venendo considerati gli eredi di Goscinny e Uderzo?

Ferri – Asterix per noi è un personaggio leggendario con cui siamo cresciuti, la pressione nasce soprattutto da questo. Poi, come hai detto, Asterix non è un fumetto normale: ci sono altri personaggi considerati dei veri e propri miti, come Corto Maltese, ma la tiratura dei loro volumi è molto inferiore. Quindi c’è uno sforzo economico superiore e per l’editore è imperativo che il fumetto sia pronto entro una determinata scadenza, perché c’è una macchina organizzativa e promozionale di dimensioni impressionanti legata ad essa, anche questo concorre a farci sentire il peso della nostra responsabilità.

Vi ricordate come avete conosciuto Asterix quando eravate bambini?

Ferri – Mi sono reso conto subito che era un grande fumetto, con un suo universo costruito nei dettagli e coerente, un lavoro curato con personaggi ben caratterizzati e ottime storie. Era l’epoca d’oro di Asterix: ero bambino quando uscì Asterix Legionario. In quel periodo in Francia usciva un volume all’anno e lo ricevevo sempre per il mio compleanno, era un regalo perfetto.

Conrad – Ricordo che me l’ha fatto conoscere mia madre, regalandomi degli albi di Spirou, dov’era pubblicato assieme ad altre importante opere del fumetto franco-belga. Non ricordo la prima storia che ho letto, così come non ricordo il mio primo Tintin, o il mio primo Spirou, ma ricordo distintamente l’insieme.

Qual è la vostra storia preferita di Asterix?

Ferri – Resterà sempre la prima che ho letto, Asterix Legionario.

ConradAsterix e Cleopatra.

Asterix e il Papiro di Cesare, copertina di Didier ConradPassiamo a parlare di Asterix e il Papiro di Cesare. Mi è piaciuta molto la storia, e in particolare ho adorato l’omaggio finale a Goscinny e Uderzo, che fornisce una nuova chiave di lettura a tutta la trama. In quale fase della scrittura è nata questa idea? È qualcosa che è arrivato all’inizio della lavorazione, oppure è un elemento aggiunto quando la vicenda era ormai conclusa?

Ferri – Non era previsto. Era una delle idee che mi erano venute in mente, poi quando ho completato la sceneggiatura mi sono reso conto che potevo ancora utilizzarla, visto che la storia parlava della trasmissione orale dei racconti, e mi è sembrato evidente che potesse essere un finale perfetto.

In tutte le storie di Asterix ci sono degli elementi ricorrenti, dei tormentoni: penso ai pirati, alle risse al villaggio, al bardo maltrattato, al banchetto finale… Quando inizi a scrivere una storia pensi “Devo inserire in qualche modo quelle scene perché il lettore vuole ritrovarle” oppure mentre sviluppi la sceneggiatura ti rendi conto che alcuni di quegli elementi potrebbero trovare spazio?

Ferri – Il mio primo pensiero è la storia. Una volta che ho la struttura generale cerco di capire quali elementi ricorrenti ha senso utilizzare e in che modo, quella è la cosa più difficile, fare sì che non siano solo citazioni ma propongano qualcosa di nuovo e contribuiscano alla trama.

Vi confrontate e collaborate nella stesura della storia?

Conrad – Parliamo molto, ma io non mi permetto di dare suggerimenti se non una volta arrivati alla fase della messa in scena, come devono essere disegnate le tavole. Prima credo sia giusto che sia Jean-Yves a completare la sceneggiatura con le sue idee, il merito per la storia è interamente suo.

Ferri – Discutiamo molto, ed è necessario, soprattutto perché non è un mondo che abbiamo creato noi. Potremmo uscire dal tracciato, perciò è utilissimo un feedback dell’altro per essere sicuri che ciò che facciamo corrisponda all’idea di Asterix che ha chiunque.

I fumettisti che scrivono o disegnano per Disney o la Marvel lavorano su personaggi conosciuti in tutto il mondo ma possono applicare il loro stile caratteristico, riconoscibile dai lettori. Voi invece lavorate cercando di rendere le vostre opere il più simili possibili a quelle di Goscinny e Uderzo. Sentite un vincolo in questo approccio?

Ferri – Stiamo parlando di due mercati completamente diversi, in America i lettori sono abituati ai cambiamenti di stili e a vedere i personaggi che amano interpretati da artisti anche molto diversi tra loro. La tradizione franco-belga non è così, si cerca di mantenere sempre lo stesso stile. Sono mondi diversi, da noi è difficile che una categoria di lettori esplori entrambi; a differenza dell’Italia dove vedo esserci una ricca fetta di pubblico “onnivoro”, come in Inghilterra, in Francia e in Belgio c’è una netta divisione tra chi legge solo manga, chi legge solo supereroi, chi solo bande-dessinée…

Conrad – Non è frustrante, perché Asterix è un personaggio talmente famoso che è un onore poter proseguire il cammino dei suoi creatori; affrontiamo questo lavoro con umiltà e più che infondere il nostro stile al fumetto, cerchiamo di capire cosa questo fumetto così importante può insegnarci.

Ho notato nei disegni un maggiore utilizzo di vignette larghe che occupano mezza pagina, inquadrature particolari, che donano un sapore quasi cinematografico ad alcune scene. È una scelta finalizzata a cercare un approccio visivo più moderno?

Conrad – Bè, sì, ma bisogna considerare che Uderzo disegnava per il suo lettore di riferimento, che aveva una conoscenza meno sofisticata dei fumetti rispetto al pubblico moderno. Negli albi storici non potevano esserci tutti i riferimenti visivi che il lettore odierno conosce, dal cinema attuale ho ripreso alcuni “movimenti di cinepresa”; questo non sarebbe mai potuto avvenire nei primi albi, all’epoca gli unici riferimenti visivi potevano essere Charlie Chaplin o Buster Keaton, una sorta di “teatro filmato”.

Asterix e il Papiro di Cesare è più elaborato anche dal punto di vista narrativo, con più storie che si intrecciano: abbiamo la trama principale sul capitolo mancante del De Bello Gallico, l’oroscopo, il passato di Panoramix… È un’evoluzione simile a quella di cui abbiamo parlato per i disegni, facendo un paragone con le storie più semplici della serie?

Ferri – Sì, il lettore di oggi è abituato a film o telefilm in cui ci sono strutture narrative più ricche ed elaborate, anche i bambini sono in grado di comprendere storie più complesse. Inoltre è stato interessante tornare su personaggi di cui è già stato scritto molto, tutti li conoscono, quindi ho avuto l’opportunità di approfondirli descrivendo aspetti che non erano ancora stati mostrati: ad esempio Panoramix e la sua giovinezza, o come si comporta Obelix quando scopre di non poter più mangiare cinghiali…

Conrad – L’importante è rimanere coerenti con l’universo narrativo di Asterix. Ma in tutti questi anni la società è cambiata, quindi di riflesso è naturale che ci siano cambiamenti anche nelle storie di Asterix, sono state fatte piccole modifiche e inseriti nuovi personaggi, ma tutto con estremo rispetto per quell’universo. È qualcosa di estremamente complicato, il lettore non dovrebbe quasi accorgersene.

ObelixUno dei punti di forza della saga di Asterix è che ci sia un cast ricchissimo di personaggi, tutti caratterizzati alla perfezione. Qual è il personaggio più divertente da scrivere, e quale il più divertente da disegnare?

Ferri –  Bè, sicuramente Obelix perché non capisce niente, quando risponde non c’entra mai nulla. Poi anche Matusalemix, più invecchio e più mi piace. E sua moglie ovviamente, ancora non si capisce come sia possibile che esista una coppia del genere.

Conrad – Per me, Cesare.

I romani compaiono nella maggior parte delle storie, ma non sono dei veri e propri cattivi, sono simpatici per il lettore. Come vedete questo popolo?

Ferri – I romani non sono i nemici, sono un altro potere che controbilancia quello dei Galli; di solito nelle storie il vero avversario è una figura vile, meschina, che cerca di manipolare la Storia. Goscinny e Uderzo hanno ripetuto più volte che le storie di Asterix non sono politiche, parlano di personaggi, quindi è molto più efficace inserire una nemesi di questo tipo.

Visto che Asterix è il fumetto più venduto al mondo, avete un anno e mezzo per lavorare a un solo volume, con la possibilità di fare numerosi aggiustamenti e perfezionare ogni singola vignetta. È un lusso che possono concedersi pochi fumettisti, spesso costretti a ritmi di consegna più serrati…

Ferri – Sì, è un onore ma anche un onere, sentiamo la responsabilità di dover realizzare un prodotto perfetto sotto ogni aspetto. Anche Uderzo, che lavorava più o meno a questi ritmi, pensava che un anno e mezzo fosse comunque poco. Ma l’editore non la pensa allo stesso modo.

Dopo l’accoglienza di questi primi due albi continuerete a lavorare sulla serie con questo ritmo, realizzando un albo ogni due anni?

Ferri – No, non abbiamo un contratto per più albi, firmiamo per ogni albo, ma per scelta nostra, perché non ci piace essere vincolati.