Lucca Comics & Games 2018 è stata un’edizione speciale, con tante novità soprattutto per quanto riguarda Tex, che compie quest’anno il suo settantesimo anno di vita editoriale. Alla fiera toscana, dunque, non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione di incontrare l’attuale curatore del personaggio e sua prima penna: Mauro Boselli.

Ecco cosa è scaturito dalla nostra chiacchierata!

 

Ciao, Mauro, e bentornato su BadComics.it.
“Tex” compie settant’anni: cosa significa per te e per il Fumetto italiano un traguardo del genere?

Grazie per l’ospitalità. È qualcosa che va al di là di ogni aspettativa. Ricordo bene quando, cinquant’anni fa, ero un ragazzino e Bonelli festeggiava il ventennale di “Tex”. Già allora quel traguardo ci sembrava inarrivabile. Oggi è passato mezzo secolo. Gianluigi e Sergio Bonelli, purtroppo, non sono più qui con noi, ma c’è ancora “Tex”, che è sempre giovane e ci offre la possibilità di attingere a questa fonte inesauribile di storie mantenendo giovani anche noi.

Ci tieni spesso a ricordare che prima di tutto sei un lettore di “Tex”. Cosa ti ha affascinato da ragazzo e cosa ti affascina ancora oggi di questo personaggio?

Certamente, ancora oggi mi ritengo innanzitutto un lettore di “Tex”. In primo luogo, mi affascinava la fantasia e la maturità del personaggio. All’epoca conoscevo i romanzi di Emilio Salgari e leggevo fumetti come il Topolino di Romano Scarpa e “Pecos Bill”. Le avventure di Tex mi erano apparse immediatamente straordinarie e più adulte rispetto gli altri titoli. Ti faceva crescere con lui, per quello che ti insegnava: il senso di giustizia, il rispetto delle minoranze e la convivenza con altri popoli, avendo una moglie indiana. La mia generazione, come le precedenti, è cresciuta con quei valori, e credo che ancora adesso siano condivisi da tutti i lettori di “Tex”.

È questo che anche oggi mi piace di “Tex”, insieme alla sua infallibilità, alla sua instancabile lotta ai soprusi, al fatto di sapere sempre cosa fare e farlo nella maniera giusta. Siamo costantemente assetati di giustizia e frustrati, perché ci sembra sempre che questa venga calpestata. Gli eroi servono a questo, a farci sognare, a convincerci che la giustizia possa trionfare. Il carisma inarrivabile di Tex serve a farci comprendere tutto questo. Lui è inarrivabile, ma i suoi comprimari – il figlio Kit, il vecchio amico Kit Carson e il compagno Tiger Jack – sono invece molto umani e hanno difetti. Noi possiamo identificarci in loro.

Com’è stato il tuo approccio da professionista a “Tex”? E perché per uno sceneggiatore è così difficile scrivere per “Tex”?

Io ho sempre desiderato scrivere “Tex”, anche se ho fatto tante altre cose nella vita. Una volta arrivato in Bonelli, “Tex” è rimasto qualcosa di distante per me. Eppure avevo realizzato dei soggetti per Gianluigi, essendo un suo collaboratore. Avevo scritto una storia, poi da lui completata, che era “La minaccia invisibile”. Quando mi è stata affidata la prima avventura importante di “Tex”, “Il passato di Carson”, mi sono trovato un po’ spaesato. Ho attinto alle fonti più autorevoli in materia, non solo italiane, ispirandomi perfino alle avventure di Carl Barks e Milton Caniff. Poi ho interrotto questo lavoro, intrapreso con il grande disegnatore Carlo Raffaele Marcello, per dedicarmi a “Zagor”. Ricordo che mi sentivo letteralmente tremare le vene dei polsi. Arrivato a pagina cento, camminavo per la stanza cercando di andare avanti. Non perché non avessi idee, ma perché pensavo a cosa stessi facendo: “Sto facendo Tex. E se dovessi fallire?” Per fortuna non mi è mai più capitata una cosa del genere. Devo ringraziare Gianluigi Bonelli, che è stato per me un maestro straordinario. Ancora oggi il suo insegnamento mi è da stimolo e mi dà coraggio.

Ecco, per scrivere “Tex” ci vuole coraggio. Tex è un personaggio coraggioso e mi infonde un po’ del suo coraggio. Siamo stati in pochi a scriverlo, ognuno con il suo stile, cercando sempre di rispettarlo, dal suo creatore al figlio Sergio Bonelli, da Claudio Nizzi a me, fino a Pasquale Ruju, attuale mio collaboratore più assiduo. Tutti condividiamo un principio fondamentale: raccontiamo un uomo e un personaggio veri, seppur infallibili, cercando di sentirci un po’ lui o un po’ Gianluigi Bonelli… perché lui era Tex!

Grandi sceneggiatori, come hai appena ricordato, hanno lavorato e lavorano sul personaggio. Il tuo stile è inconfondibile, ma come spirito il tuo “Tex” ricorda quello di Gianluigi. È a lui che ti ispiri?

Sì, l’ho conosciuto bene e so che sono molto diverso da lui, ma per me Tex è sempre stata una figura paterna, e considero un po’ Gianluigi un secondo padre. Quello vero, mio papà, è stato partigiano. Entrambi erano uomini d’azione che sapevano scegliere le cose giuste. Tex mi ha sempre ricordato loro. Sono cresciuto da ragazzo con la figura di Tex a infondermi sicurezza. Ho quindi recuperato il personaggio di Gianluigi Bonelli, aggiungendogli ciò che piace a me, ossia vecchi e nuovi personaggi secondari, uno stile che mi ricorda un po’ quello di Guido Nolitta, alias Sergio Bonelli. Diciamo che ho voluto fondere il meglio dei grandi autori bonelliani di “Tex” nel mio modo di interpretarlo.

“È stato anche argomento dell’incontro con Giulio Giorello, qui a Lucca Comics & Games 2018, in occasione dei settant’anni di “Tex”: la domanda sembra senza risposta, ma qual è la tua personale opinione sul successo inossidabile di Aquila della Notte?”

Ci giriamo attorno da anni, ma è impossibile dirlo. Io credo che i grandi personaggi che hanno ottenuto un successo popolare, come Zorro, ma anche i perdenti come Don Chisciotte, possiedano una loro nobiltà d’animo in cui il lettore vorrebbe riconoscersi, e vorrebbe essere vendicato da loro dalle ingiustizie della vita, come d’altronde sosteneva Gianluigi stesso.

La tua gestione del personaggio ha significato tanta innovazione, dai cartonati alla francese alla nuova serie al debutto qui a Lucca Comics & Games. Com’è stata l’accoglienza in Bonelli per queste idee?

Diciamo che in Bonelli è stato piuttosto facile. Come editor di “Tex” ho una certa libertà al riguardo, e ci tengo a precisare che la nuova serie, “Tex Willer”, è stata voluta dal direttore editoriale Simone Airoldi. È lui che ha avuto l’idea di tornare alle origini. Io l’ho strutturata secondo le mie idee personali: sarà una serie sulla giovinezza di Tex, ma non racconterà le stesse storie che conosciamo già, ne racconterà altre che sono rimaste, diciamo così, nella penna di Gianluigi, e che io ho cercato “medianicamente” di ritrovare.

Cos’altro devono aspettarsi i lettori da questa nuova serie?

Innanzitutto, devono aspettarsi il Tex di allora, che è un fuorilegge: ha già un senso della giustizia, ma è dall’altra parte della legge. È ricercato dagli sceriffi, ma ha la stima dei ranger, tra cui un giovane Kit Carson. Mi piacerebbe poi che i lettori ritrovassero il piacere dell’avventura, con quel sapore picaresco e i cliffhanger del “Tex” delle origini, in cui si sarebbe saputo come sarebbe andata a finire solo nell’episodio successivo. Sarà un Tex scatenato, un Tex che potrebbe incappare in qualche sbaglio e, perché no, in qualche storia d’amore. Ci saranno tante piccole novità, senza tradire l’essenza del personaggio.

Qual è il tuo comprimario e la tua storia preferiti di “Tex”, ce lo puoi confessare?

La mia storia preferita è senza dubbio “Sulle piste del Nord” [“Tex 122”, aprile 1974 – NdR], di Gianluigi Bonelli e Giovanni Ticci, in cui il protagonista si ritrova in Canada, in compagnia di Jim Brandon e le Giubbe Rosse.

Il mio comprimario preferito… Ce ne sono tanti. Kit Carson lo è per tutti. Io direi Pat Mac Ryan, che è un irlandese focoso: non è molto intelligente, ma è simpatico.

 

Mauro Boselli