Uno degli artisti più interessanti presenti a Lucca Comics & Games 2018 era Ryan Ottley. Eravamo piuttosto ansiosi di intervistarlo dopo aver letto il finale di Invincible, la saga supereroistica cui ha dato vita assieme a Robert Kirkman e Cory Walker, consapevoli del fatto che il disegnatore è impegnato su Amazing Spider-Man, una delle testate fumettistiche più importanti al mondo.

Grazie alla pazienza e alla disponibilità del team saldaPress, siamo riusciti a fargli un po’ di domande, davanti a un caffè e a un prosecco. Ecco quel che ne è scaturito:

 

Grazie per il tuo tempo, Ryan, e benvenuto su BadComics.it!
“Invincible” è terminato ed è stato un enorme successo. Come ti sei sentito a chiudere i conti con il personaggio che ti ha in qualche modo messo sulla mappa del Fumetto internazionale?

GrizzlyShark, copertina di Ryan Ottley

Be’, il finale mi ha dato una gran bella sensazione. Ho lavorato a “Invincible” così a lungo, per così tanti anni! Quattordici anni. Volevo davvero dedicarmi a qualcos’altro ed è per questo che ho dato vita a “GrizzlyShark”. Volevo da tempo confrontarmi con qualcosa di diverso ed è venuto fuori un prodotto abbastanza folle, imprevedibile. Che tra l’altro scrivo anche. Altra cosa che volevo fare da un sacco. L’ho realizzato parallelamente a “Invincible”.

Ho detto a Robert, dopo tredici anni, che volevo dare un cambiamento alla mia carriera. Guarda caso, lui stava pensando di dare un finale alla serie, e così è andata. Abbiamo progettato l’arco di chiusura, Cory Walker ha disegnato sei numeri e io gli altri dodici. E devo dire che sono molto felice di quello che ne è uscito. I personaggi mi mancheranno moltissimo, ovviamente, perché ci ho passato talmente tanto tempo. Li amo tutti quanti, sono come una famiglia. Soprattutto Debbie, che mi sembra sia diventata mia mamma, praticamente. Pazzesco.

Hai avuto modo di leggere tutta la sceneggiatura del finale, prima di metterti a disegnare?

No no. Sceneggiatura per sceneggiatura. Nemmeno Robert Kirkman scrive così in fretta!

Te lo chiedo perché ho letto delle sue dichiarazioni in cui ha detto di aver pianificato con minuzia tutto quanto, prima di scrivere le sceneggiature.

Sì, lui lavora così. Ma non ci parla dei suoi piani in anticipo. E comunque pianifica, ma non così tanto nel dettaglio.

Kirkman ti ha lasciato molta libertà per quanto riguarda la narrazione visiva delle storie o le sue sceneggiature sono molto dettagliate?

Devo dire che le sue sceneggiature possono essere davvero stracolme di roba. Lui ha sempre una visione molto precisa, e il mio ruolo è quella di esagerarla, amplificarla e renderla chiara ed evidente. Poi dipende dalle situazioni e dai diversi momenti narrativi. Ad esempio, se c’è una scena di combattimento, mi dà un’idea degli ingombri e poi mi lascia sostanziale carta bianca. Quindi direi che sono vere entrambe le cose. A volte sono sceneggiature dettagliate, a volte molto meno. Ma, per la maggior parte del tempo, mi sono sentito libero di fare quel che volevo come volevo. Soprattutto a livello di violenza.

E c’è un sacco di violenza in “Invincible”.

Già. Mi piace un sacco spingermi più vicino possibile ai limiti e dare al lettore la sensazione precisa dell’azione e delle sue dolorose conseguenze.

Qual è il tuo rapporto con Cory Walker, il tuo collega disegnatore su “Invincible”? Lui ha dato vita all’atmosfera e tu ha dovuto sostanzialmente trovare una chiave per adattarti al tono della serie, quando sei saltato sul carro. Avete mai lavorato gomito a gomito?

No. Non viviamo nemmeno nello stesso stato. Lui stava in Arizona… o in Kentucky, non ricordo. Io in Utah. Abbiamo sempre lavorato separatamente e parlavamo sostanzialmente via mail, sempre sulla base delle indicazioni di Robert. Ho conosciuto Corey alle convention e siamo diventati amici lì. Gran bel tipo. Gli voglio bene.

Tra voi ci sono somiglianze e anche differenze. Credo che tu sia più cartoonesco, caricaturale e che ti piaccia di più esagerare i tratti e il linguaggio del corpo dei personaggi.

Assolutamente.

…Cosa che credo ti sia tornata molto utile per “GrizzlyShark”.

“GrizzlyShark” è proprio quella cosa lì. Mi sono sentito come se qualcuno avesse girato verso il massimo la manopola del volume. “Invincible” è chiaramente più realistico, anche se ha i suoi spazi per il cartoonesco, ma volevo fortemente dare sfogo a quella componente del mio stile che hai descritto poco fa. “GrizzlyShark” non doveva avere assolutamente nulla di realistico. E così è stato.

Credi che questo stile sia più nelle tue corde?

Anche in questo casto, dipende. Sicuramente non voglio disegnare sempre con quello stile. Era una necessità di quel momento, che forse tornerà in futuro. Ma, in generale, credo di preferire il disegno un po’ più realistico, perché ti consente di essere più versatile in senso comunicativo ed emotivo, di coprire più generi di storie. Quello stile ti permette di essere sia comico che drammatico, ad esempio. Diciamo che è più facile coprire un certo tipo di emotività e di toni. Difficile farlo con uno stile del tutto cartoonistico. Meglio, se possibile, un compromesso.

Credo che “Invincible” sia stato anche un bell’esperimento visivo, perché, nonostante il protagonista sia fortemente legato alle radici del Fumetto supereroistico, essendo sostanzialmente un misto di Peter Parker e Clark Kent, la serie ha sempre avuto un aspetto visivo diverso da tutte le altre. Come hai trovato l’equilibrio necessario tra l’epica, la violenza e l’atmosfera classica e più cartoonistica?

Innanzitutto, grazie per il complimento. Io definisco il mio stile cartoonesco-realistico, lo stesso che penso di utilizzare ora come ora su “Amazing Spider-Man”. Come l’ho trovato? Non lo so, sinceramente. Semplicemente penso a un compromesso tra altre cose che vedo in giro che hanno quelle due sensibilità. E oscillo un po’, adattandomi ai momenti più divertenti delle sceneggiature o a quelli più drammatici e seri.

Eppure il risultato è molto coerente. Sembra che i due toni visivi non si alternino, ma convivano. Non hai mai avuto bisogno di deformare, e ho sempre avuto l’impressione che il tuo stile cogliesse davvero il punto mediano.

Di nuovo, grazie. Questo è sempre stato il mio obiettivo:poter coprire un po’ tutto lo spettro emotivo delle storie.

 

 

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