Negli ultimi anni, Charles Soule è stato uno degli sceneggiatori più attivi e prolifici della Marvel: se da poco ha ereditato le redini della serie ammiraglia di Star Wars, su cui lo vedremo cimentarsi a partire da gennaio 2020, nel recente passato ha avuto per le mani due eroi “solitari” particolarmente apprezzati dal pubblico e complessi da gestire, Wolverine e Daredevil, avendo l’onore e onere… di ucciderli entrambi!

Soule ha recentemente condiviso alcune riflessioni sui due personaggi e sull’approccio che ha scelto per raccontare le loro storie:

 

Death of Wolverine #1 cover by Steve McNiven

Soule – Quando mi hanno incaricato di raccontare la morte di Wolverine ho pensato a quel finale perché volevo fare qualcosa di diverso, non semplicemente farlo combattere contro mille ninja e poi farlo morire, perché a conti fatti avrebbe significato che Wolverine aveva perso. A mio modo di vedere, nel finale di La morte di Wolverine Logan diventa un’icona in senso letterale, il che mi è sembrato appropriato dato che effettivamente è una specie di icona. Quindi era giusto prendere congedo da lui nel modo più appropriato per tutto ciò che aveva fatto, le vite che aveva salvato e l’ispirazione che aveva fornito agli altri in tanti modi diversi. Inoltre, mi piace l’idea degli eroi che, per così dire, si allontanano verso il tramonto.

Quanto al suo ritorno, be’… ho scritto Il ritorno di Wolverine e mi hanno chiesto di raccontare la storia che l’ha riportato in vita. Se l’avesse fatto qualcun altro, avrei potuto sentirmi un po’ strano, ma in questo modo ho ucciso il personaggio e l’ho riportato indietro, un’opportunità davvero rara nel Fumetto. Quindi sono molto orgoglioso di questa intera trilogia, ciclo, o come vogliamo chiamarlo.

Dopodiché, diamine, Wolverine può andare in qualunque direzione, ovviamente. Il personaggio è in circolazione da più di quarant’anni, e questo è stato possibile perché è incredibilmente versatile. Puoi inserirlo in mille situazioni diverse. A volte è un maestro, a volte è un assassino, a volte è una vittima e a volte è – come dire – il classico super eroe. Può essere tutte queste cose diverse. Quindi credo che lungo il cammino vedremo cosa decideranno di fare con lui i vari autori, e su quali aspetti sceglieranno di concentrarsi.

 

Soule passa poi a parlare di Daredevil, soffermandosi sulla scelta di farlo diventare un procuratore e sulle parole che chiudono il suo ciclo di storie:

 

Daredevil #1, copertina di Ron Garney

Soule – All’inizio del mio ciclo narrativo ho fatto diventare Matt Murdock un procuratore. In parte l’ho fatto perché sono un avvocato, ho un background legale, quindi volevo raccontare qualcosa che sembrasse corretto da quel punto di vista, e così è stato. Inoltre, nel fare di lui un procuratore, puntavo a mescolare le carte in tavola e mostrare ai lettori il personaggio da un’angolazione che non avevano mai visto prima: portando Daredevil, per così dire, dall’altra parte della barricata gli ho fornito l’accesso ad alcuni strumenti che non gli abbiamo mai visto usare. Poteva accedere agli strumenti governativi, alle forze di polizia… Questo, dal mio punto di vista, potenziava anche le sue capacità come Daredevil e lo rendeva diverso da ciò che avevamo visto in precedenza. E per me come avvocato è semplicemente interessante trattare questa materia.

Non posso vedere la luce, quindi sarò io la luce.” È la frase che pronuncia Daredevil alla fine del mio ciclo di storie. È stato uno di quei momenti in cui ho pensato, “Be’, questa è l’essenza del personaggio”, no? Insomma, l’unica cosa che vede è l’oscurità, quindi sceglie di essere la luce. Mi è sembrata una metafora molto potente di tutto ciò che è Daredevil, e di tutto ciò che ha trattato il mio ciclo. Mettere nero su bianco in quegli ultimi momenti il motivo per cui continua a combattere anche se sarebbe molto più facile rinunciare era una cosa che ci tenevo davvero a fare. Sono felice che abbia funzionato.

 

Daredevil #610, copertina di Phil Noto

 

 

Fonte: Aipt