Lo spotlight che il sito ufficiale della Marvel dedica di volta in volta ai suoi autori più interessanti è incentrato nella sua ultima edizione su Kyle Higgins. Lo sceneggiatore di alcune storie di Captain America e Winter Soldier si è imposto all’attenzione del grande pubblico soprattutto per il suo recente lavoro su Rise of Ultraman, al punto che oggi è considerato il nume tutelare di quello specifico universo narrativo.

 

 

Paradossalmente, sebbene il cuore di Higgins battesse per i super eroi fin dall’inizio, la sua formazione non è avvenuta sulle tavole dei fumetti, bensì dietro una macchina da presa cinematografica, combattendo per fare accettare alla sua università un film a tema supereroistico in tempi in cui il genere era ancora considerato oscuro.

Higgins ricorda sulle pagine del sito della Casa delle Idee quell’esperienza, e i contatti che ne seguirono fino a portarlo sulle pagine del fumetto di Ultraman:

 

Ultraman, illustrazione di Alex Ross

Higgins – Quando sono diventato più grande e la realtà si è fatta strada nella mia vita, invece di diventare un super eroe ho deciso che avrei creato dei super eroi. Scelsi Super Heroes come film della mia tesi universitaria perché vedevo l’opportunità di realizzare qualcosa, nella scala che avevo in mente, di incredibilmente raro. A causa della scuola che frequentavo e delle risorse a mia disposizione, sapevo di poter realizzare qualcosa che avesse un valore di produzione molto alto senza avere una tonnellata di soldi. E soprattutto decisi che se avessi voluto fare sul serio e presentarmi con un biglietto da visita che lasciasse il segno, avrei dovuto lavorare sodo. Quindi tanto valeva concentrarsi sulla materia che mi aveva ispirato a voler realizzare dei film fin dall’inizio: i super eroi.

Passai un anno ad ascoltare consigli di ogni genere e le più grandi storie su Hollywood e sul Cinema che abbia mai sentito. Fu un periodo incredibilmente stressante per me, esplorare l’ambito, il budget e la politica alla scuola di Cinema. Le persone non “capivano” il film ed ero terrorizzato dal fatto che l’intera cosa non funzionasse. Tom Mankiewicz fu una delle poche persone che vide il film e non pensò a cosa fosse, ma a cosa sarebbe potuto essere.

Ultraman, illustrazione di Ed McGuinness e Matthew Wilson

Anzi, Tom aveva un paio di piccoli suggerimenti che, se applicati, avrebbero risolto molti dei nostri problemi. Sfortunatamente, ero così al verde in quel momento che l’idea di spendere anche 300 dollari era improponibile. Tom mi chiese: “È questa la cifra che servirebbe?” Gli risposi di sì. Ne ero convinto. Tom si infilò una mano in tasca e tirò fuori il fermasoldi, staccò tre banconote e me le porse. “Sennò come farei a vedere il film finito?”, mi disse facendo l’occhiolino.

Facemmo riprese per circa dodici giorni su pellicola super 16mm, in esterno, prevalentemente di notte, al freddo e alla pioggia, o a volte anche in set incredibilmente ben progettati e costruiti. Nel frattempo lavoravamo anche con il green screen, cavi, coreografie di combattimento e controfigure, dozzine di inquadrature con massicci effetti visivi, una colonna sonora jazz originale registrata a Chicago e un mix completo in 5.1 di cui mi occupavo personalmente. Era forse la più grande produzione che uno studente avesse messo in atto alla Chapman University. Mi consumò la vita per quasi due anni.

Rise of Ultraman #1, copertina di Alex Ross

La produzione, la post-produzione e le politiche dell’amministrazione scolastica (era il 2007, e Iron Man dei Marvel Studios non era ancora uscito, quindi odiavano l’idea che io facessi un film di super eroi) mi spingevano al limite, e in più occasioni mi ritrovai quasi al verde. Ma completammo il film, mettemmo online e uno dei miei amici, Eric Wight, inviò un’e-mail a tutti quelli che conosceva nel mondo del film, della TV e del Fumetto, affinché parlassero di questo cortometraggio per cui aveva realizzato il design dei personaggi: invitandoli a contattarmi se fosse loro piaciuto quanto era piaciuto a lui. Una delle prime e-mail che ricevetti fu quella dell’allora Editor-In-Chief della Marvel, Joe Quesada. E da lì tutto ebbe inizio.

L’ultima volta che vidi Tom Mankiewicz fu nel 2010, pochi mesi dopo la pubblicazione del mio primo vero fumetto, un one-shot di Capitan America scritto assieme ad Alec Siegel. Passai l’ora precedente al nostro pranzo insieme a pensare ossessivamente a cosa avrei potuto scrivere sul fumetto. Alla fine scelsi: “Per Tom. Grazie per avermi mostrato come la scrittura possa cambiare il mondo. O quantomeno farlo girare al contrario”. Gli porsi il fumetto e mi sedetti al bar, guardandolo mentre leggeva l’iscrizione. Alla fine ero così orgoglioso di me che non potei fare a meno di dire: “Hai presente il finale di Superman [Il film]? Quando il mondo gira all’inverso…“. Alzò lo sguardo, alzò un sopracciglio e disse: “Oh, ho capito.”

The Rise of Ultraman #2, variant cover di Jorge Molina

Ora sono in grado di trovare quello che penso sia il nucleo emotivo di un’idea in modo molto più coerente. O quantomeno riesco a trovare un nucleo emotivo che mi interessi, e che mi faccia piacere esplorare. In questi giorni vado anche molto orgoglioso di poter trovare il punto di vista più interessante su un concetto o un personaggio, in base a quali sono i parametri del lavoro. E di caricarlo creativamente ed emotivamente. Inoltre di recente mi hanno spezzato il cuore, quindi l’empatia emotiva e la vulnerabilità sono un po’ più semplici per me da scrivere di quanto sarebbe stato normalmente.

Ricordo quando Tom nella mail mi disse che aveva la sensazione che questo nuovo incarico su Ultraman mi avrebbe etichettato per sempre come “il tizio dei toku…”, ma la cosa non mi disturba affatto. Insomma, l’argomento mi piace, e in un settore dove è così difficile ritagliarsi uno spazio come autore, sarei felice di essere associato all’argomento.

Tutti sono così appassionati ed entusiasti di Ultraman e di ciò che stiamo cercando di costruire, che per me visitare quel mondo a ogni sceneggiatura è un sogno.

 

 

Fonte: Marvel