Ultima parte del confronto tra autori delle storie di Beta Ray Bill di ieri e di oggi. Daniel Warren Johnson ha avuto l’occasione di fare domande a Walt Simonson, maestro del Fumetto, creatore di Bill e plasmatore del personaggio di Thor come lo conosciamo oggi. E noi vi riportiamo l’ultima parte della loro discussione.

 

 

Ecco il risultato del tentativo di Johnson di entrare nella mente di narratore di Simonson.

 

Daniel Warren Johnson – Qual è il tuo primo passo, da scrittore, nel processo creativo che porta alla nascita di una nuova storia. E, da artista, pensi prima alla componente visiva oppure parti da qualcosa d’altro?

Walt Simonson – Non ho un metodo preciso per dare inizio a una storia. A volte tutto nasce dalla voglia di raccontare qualcosa di inedito e, come mi è successo con l’incontro tra Beta Ray Bill e Thor, l’idea di sfruttare l’iscrizione su Mjolnir mi è arrivata da sé, mentre ero in cerca di un elemento di partenza per il mio primo arco narrativo. Quando ho raccontato della battaglia tra Thor e il Serpente di Midgard, è stata un’ispirazione improvvisa, che mi ha sorpreso tutta insieme con l’idea di utilizzare solo splash page. Mi si è proprio accesa la lampadina. Altre storie ho dovuto scovarle dentro di me.

Thor Walt Simonson

Sulle serie per cui ho lavorato a lungo, mi è sempre capitato di avere idee frequenti per nuove storie. A volte sono rimaste poco più che pensieri sparsi, a volte mi si sono presentate tutte insieme, come interi soggetti. Devo solo assicurarmi di scrivere tutto quanto quando mi viene in mente, perché ho  imparato sulla mia pelle che idee e soggetti che valgono la pena sono spesso evanescenti come sogni e scompaiono senza lasciare traccia se non me li scrivo.

In veste di disegnatore, prima faccio attenzione alla narrazione per immagini, quando inizio a progettare una storia. Tutto sta nell’organizzazione della pagina, nelle inquadrature, nella composizione della gabbia, alla ricerca del modo migliore per raccontare. Mi approccio al lavoro con lo stile Marvel, quando sono storie mie, che significa che prima scrivo il soggetto, poi realizzo gli schizzi veloci di ogni pagina, quindi scrivo la sceneggiatura su quella base, in modo da vedere come parole e immagini funzionano assieme.

Una volta che ho la sceneggiatura completa, trasformo gli schizzi nelle vere tavole, ma ancora in maniera molto incompleta, per poi rendermi conto che tutto quanto sia ben allineato. Quindi inizio a lavorare sui dettagli visuali, sui personaggi, i costumi, gli sfondi, le architetture e tutto ciò che serve per creare uno spazio convincente in cui ambientare la storia.

Daniel Warren Johnson – Se pensi alla tua carriera, di quali lavori sei più orgoglioso? Ci sono progetti a cui ripensi con rimpianto, oppure ti capita di vedere cose che vorresti aver scritto o disegnato diversamente?

Walt Simonson – Non ho mai avuto la sensazione di essermi risparmiato, sul lavoro. Ho sempre cercato dare il massimo nel tempo a disposizione. Non mi preoccupo molto delle mie vecchie cose perché so cosa ci ho messo dentro. Ovviamente, c’è qualcosa che non mi dispiacerebbe ridisegnare, ma è troppo lontano nel tempo. E so di aver fatto il meglio possibile, all’epoca. C’è una testa, in particolare, in una storia sull’Alamo che ho realizzato quando ero molto giovane, che mi piacerebbe ridisegnare, potessi tornare indietro, ma ormai è andata. E, onestamente, se ci ripenso, quella fu una grande lezione per l’artista che ero allora.

Per quanto riguarda l’orgoglio per qualcosa di specifico, mi vengono in mente molti lavori, ma quando me lo si chiede, in genere cito Manhunter, per ragioni soprattutto sentimentali. Oggi disegno meglio di quanto facessi su quella striscia, la prima cui ho lavorato con una continuity. Facevo questo lavoro da sei mesi. Ma non saprei raccontare meglio di così, per immagini. E soprattutto non ho mai lavorato con uno scrittore tanto simpatico quanto Archie Goodwin, che scriveva ed editava quella striscia.

Ed ho lavorato con tanti grandi autori, quindi spero che nessuno di loro si offenda. Manhunter è il fumetto che mi ha reso un professionista. Ha vinto diversi premi e, prima di lavorarci ero solo un giovanotto che cercava un impiego e tentava di farsi una carriera. Dopo un anno di impegno, non ho più dovuto cercare nessun incarico. Avevo una carriera.

Daniel Warren Johnson – Grazie mille del tuo tempo, Walt. Nel salutarti, c’è qualche consiglio o qualche parola di saggezza che vorresti condividere con le generazioni più giovani di fumettisti, che hai ispirato nei tuoi decenni di carriera?

Walt Simonson – Certo, ma non dire ai miei vecchi studenti che te le ho rivelate gratis. Primo: ogni volta che vi viene in mente una domanda sul fumetto che state creando, sulla scrittura, sul disegno, i colori, il lettering e quant’altro… dovreste sempre chiedervi se rispondere a quella domanda renderà la storia migliore. Perché lo scopo è sempre lo stesso: raccontare storie al meglio delle proprie abilità. Se la risposta che vi siete dati non va in quella direzione, meglio ripensarci un po’ su.

Secondo: usate riferimenti visivi, perché rendono migliori le immagini. Ci sono milioni di modi, ovviamente. Non c’è bisogno di ricalcare o copiare delle fotografie, ma di imparare ad osservare il mondo. Quel che vedete, che vedete davvero, passa dai vostri occhi al vostro cervello, viene rimescolato e fuoriesce tramite la vostra mano. Quindi dovete allenare tanto gli occhi quanto le mani, e la loro interazione con la vostra mente.

Terzo: i fumetti sono un lavoro faticoso e farete meglio a farci l’abitudine.

 

 

Fonte: Marvel