In occasione dell’ultima edizione di Napoli Comicon 2018, abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Michael Rocchetti, alias Maicol & Mirco, a proposito del suo ultimo lavoro, Gli Arcanoidi, edito da Coconino Press, e in generale del concetto di astrazione nel Fumetto. Ne è uscita l’intervista che segue:

 

Ciao, Maicol! Benvenuto su BadComics.it.
Come nasce l’idea di raccontare in questo modo così particolare la storia degli Arcanoidi? 

Gli Arcanoidi: morte, avventura e basta, copertina di Maicol & Mirco

“Gli Arcanoidi” è una storia che parla di epica legata ad un pugno di personaggi. Adoro l’idea di poter raccontare qualcosa su qualcuno di cui, io per primo, non so nulla. Di solito, si parte dalla storia, mentre io parto dai personaggi che mi coinvolgono, che mi stimolano a dire cosa potrebbero raccontare degli esseri di quel tipo. È venuta subito fuori una storia legata all’epica, che parla di un pugno di miserabili e di semplici forme colorate. Istintivamente ho voluto raccontarne una storia dai toni esagerati, che partisse da poco, come una pallina che rotola giù da una discesa e prende velocità piano piano, fino a demolire una città. L’idea dell’epica, invece, è legata all’utilizzo di una voce fuori campo.

È un volume strano, perché a vederlo potrebbe essere scambiato per un libro illustrato dato che ogni pagina ha un’immagine e una disascalia. In realtà è un fumetto fatto solo di didascalie. Ho aspettato il momento in cui i personaggi avessero voluto prendere la parola e fare un discorso diretto, ma non l’hanno voluto fare. Per questo è esattamente un fumetto, ma estremo, di sole didascalie. Non è un vezzo, anzi: sarebbe stato molto più vezzoso farli parlare, a un certo punto, inserendo un balloon. Invece è stato un libro raccontato, perché era quello che volevano i personaggi. Se c’è una cosa che faccio nelle mie storie è non contraddirli mai. Voglio che parlino liberamente. Forse non sarei nemmeno capace di contraddirli, non ne avrei la forza. Sono costretto a obbedire ai miei personaggi. In questa storia, più che mai, hanno preso il controllo immediatamente: il più forte elimina immediatamente il più debole.

Il libro inizia con un funerale: sono in tutto sei personaggi, e nella prima pagina già ne muore uno, mentre dopo una ventina di tavole rimangono praticamente in due. Essendo un mondo arcano, la cosa più logica è che ci fossero regole differenti dalle nostre. Sarebbe assurdo raccontare il mondo di Marte con le regole della Terra. Sarebbe surreale, ancora più alieno. Il mondo è un universo alieno che sono riuscito a scrutare da spettatore. Tutti i libri miei mi vedono come spettatore, non invento mai il finale a priori. Alcuni sono scritti interamente di getto – come “Il Papà di Dio” – con giusto qualche idea che mi è venuta in mente in precedenza. Solitamente sono libri che vanno di pari passo con quello che scrivo sul momento, altrimenti mi annoierei. Il primo lettore dei miei fumetti sono io.

Come mai hai scelto quella palette di colori vivi coperta da un color senape marcio?

Sì, in generale sono colori molto vivi, con una palette che ricorda quella dei Barbapapà, con sopra un alone giallo tristissimo. Inizialmente, l’avevo inserito per dargli un immaginario rétro, per dare l’idea di un certo tipo di fantascienza, mentre alla fine quella luce è rimasta a raccontare: è una luce che si vede estremamente nei loro occhi e nelle loro bocche. Ho scoperto solo dopo che quella era la luce del pianeta arcanoide!

Oltre alla luce, però, c’è anche la componente del nero.

Il nero è il colore di tutte le cose: gli oggetti sono pietre, erbe e polvere. Il resto è solo una tavola orizzontale. È come quando giocavi da bambino, mettendo dei personaggi senza alcuna relazione sul tavolo: un Big Jim senza una gamba, un cane senza testa e un Puffo gigante e fuori scala. Da bambino non hai alcun problema a giocarci e a creare un mondo coerente.

Quello che mi hanno detto i lettori è che durante la lettura arrivano immediatamente in un mondo con regole assurde, ma allo stesso tempo molto “reali”. Non vedi più le singole forme che dialogano tra loro, ma un mondo intero, il mondo degli Arcanoidi in cui i personaggi sono estremamente fedeli a loro stessi, trasportando il lettore sul loro pianeta e facendolo sentire arcanoide a sua volta. Non spettatore, ma uno di loro.

Il lettore è lì, appartiene a quel mondo.

Entra nel loro clan, perché questo è quello che mi è capitato con i libri che ho adorato. È facile dirlo nel caso di libri come “It”, di Stephen King, dove sei tra i ragazzini, ma è anche vero che quei libri ti hanno risucchiato davvero in modo impressionante, anche in casi in cui non c’entravi nulla con quel mondo lì, ma ti ritrovavi ugualmente coinvolto. Ci sono molte storie che subisci dalla finestra, invece vorrei che le mie storie vedessero il lettore sempre attivo, non che subisse la vicenda. Il lettore ne è parte. La stessa storia fa ridere alcune persone mentre altre ne escono distrutte, e altre ancora la riconoscono come “loro” da sempre, perché è piena di vuoti che vengono riempiti dai lettori.

C’è paura nel leggere questo libro. La paranoia ti contagia perché sai che dopo accadrà qualcosa di brutto. 

Mirko, Scarabocchio di Maicol e Mirco

È il potere dell’astrazione. A un certo punto piangi per delle forme colorate. L’astrazione è il più grande super potere che hanno gli esseri umani: quello di immedesimarsi nelle cose, come quando antropomorfizziamo la macchina di cui ci innamoriamo. L’astrazione ci mette in contatto con altre forme di vita. Pensiamo agli oggetti come a cose inanimate, poi usandoli ci rendiamo conto che in realtà hanno una vita assolutamente propria. Questa è una cosa che vedrete anche nella mia storia legata al Museo della Reggia di Caserta, sviluppata con il MiBACT, in cui spiego ai bambini che gli oggetti hanno un’anima.

Ora, finalmente, consideriamo gli animali come esseri viventi, ma per me anche le cose meriterebbero lo stesso rispetto. Alle medie lessi un libro, “La rivolta delle cose”, che raccontava in un’avventura per bambini che le cose un giorno avrebbero smesso di funzionare per rivoltarsi contro di noi: il frullatore si fermava, la scala si rivoltava contro il suo utilizzatore… ti faceva rendere conto di quante cose utilizziamo e di quanto dipendiamo da esse, anche dalle quelle più semplici. Da lì mi è sorta la cosa di ragionare sull’anima delle cose, e per me “Gli Arcanoidi” è un trionfo dell’astrazione.

I personaggi sono compenetrazioni di forme, e c’è una parte del loro linguaggio basato sugli occhi dove un’astrazione contenuta in un’altra astrazione prende vita. 

Lì c’è molto dell’immaginario supereroistico. Pensa all’Uomo Ragno, a quando cambiò il classico costume rosso e blu per quello nero. Prima di scoprire che il costume era animato, ti trovavi innanzitutto di fronte ad un’icona diversa. L’Uomo Ragno nero è ugualmente bello rispetto a quello con il costume classico, ma era davvero un’altra persona semplicemente cambiando il colore del costume.

In quel caso, però, era comunque una forma umana, mentre qui abbiamo solo figure geometriche.

Noi riconosciamo come umana qualsiasi cosa che abbia occhi e bocca. Non si tratta del concetto di uomo al centro del mondo, ma di astrazione come chiave verso nuovi universi, per comunicare con nuove forme di vita, soprattutto quelle morte!

Parlando di astrazione, negli “Scarabocchi” riesci a catturare quell’aspetto peculiare della persona che poi diventa un’astrazione, e dai un’anima a uno scarabocchio. 

Questa astrazione si può fare sia sotto il profilo della forma, sia sotto quello del contenuto. Lì c’è quella del contenuto: noi non siamo fatti solo di ciccia e ossa, ma anche di comportamento. Un discorso quasi di transfer.

Da cosa nasce l’idea di comunicare in questo modo? 

Nasco copiando i fumetti Marvel e quelli giapponesi, come tutti. Un autore raggiunge il suo stile prendendo pezzettini da altri autori. Prima copiavo tutto di sana pianta. Poi, sommando milioni di livelli, arrivo a far comparire quello che mi interessa davvero. E nel mio caso è raccontare il più possibile con il meno possibile. Essendo io un bulimico del racconto delle storie, mi è venuto naturale trovare il modo più semplice per raccontarle, per avere la possibilità di raccontarne tante altre: un’ottimizzazione. Altre storie avranno magari bisogno di più dettagli, ma comunque resto nel minimale. L’idea però è sempre raccontare il più possibile con il meno possibile. Ne “Gli Arcanoidi” esistono solo le facce, mentre negli “Scarabocchi” solo i corpi. Eppure vengono riconosciuti come somiglianti anche loro.

Progetti per il futuro?

A Lucca Comics uscirà la raccolta degli “Scarabocchi”, opera omnia divisa in grandi volumi economici a cadenza – immagino – semestrale, con il primo presentato quest’anno. Poi arriverà il secondo libro di “Palla rossa e palla blu”, che dovrebbe essere disponibile al Salone del Libro del prossimo anno.

 

Maicol e Mirco