Dopo un giovane talento come Giulia Pellegrini, a Rapalloonia 2017 abbiamo avuto il piacere di conversare con Alessandro Bilotta, creatore di Mercurio Loi, la più recente serie Sergio Bonelli Editore, nonché vincitore del Premio U Giancu come Migliore Sceneggiatore.

 

Ciao, Alessandro! È un piacere ritrovarti su BadComics.it. Innanzitutto, complimenti per il Premio U Giancu! È la maniera ideale per celebrare l’esordio di “Mercurio Loi”. Com’è stata la risposta del pubblico?

Grazie! Sono molto felice per il premio. Per rispondere alla tua domanda, è ancora presto, per una sequela di fattori. Prima di tutto, l’uscita in contemporanea in edicola e in fumetteria, che solitamente ha tempi di risposta più lenti. Inoltre, lo zoccolo duro di lettori si forma dopo almeno cinque numeri. Per avere dati certi dopo l’uscita di un albo ci vogliono un paio di mesi. Per cui diciamo che dopo Lucca si avrà un quadro più chiaro e il polso della situazione.

 

 

Nella terza uscita, “Il piccolo palcoscenico”, fai fare a un comprimario, il burattino, un’attenta descrizione del protagonista. Partendo dal nome “Mercurio”, vengono fatti riferimenti al pianeta, al metallo e al dio della mitologia greco-romana: sono tutti elementi che ti hanno suggestionato durante la creazione del personaggio?

Sinceramente, non è facile rispondere. È complesso ricostruire a posteriori come nasce cronologicamente una storia o un personaggio. Molte cose vengono fatte in maniera subliminale. Certo, la decisione di chiamarlo Mercurio mi è stata suggerita dal fatto che il termine in sé ha moltissimi significati e richiami, anche se probabilmente quando ho scelto il nome non li avevo bene a fuoco tutti. Poi, cominciando a scrivere i primi numeri e divertendomi a smontare il protagonista – come se fosse anche lui l’oggetto delle indagini – ho scoperto quanti elementi potessero essere legati al nome Mercurio e quanto gli fossero affini. Da lì ha preso il via il resto.

Mercurio non ha certo l’età, le fattezze e neppure il carattere di un tradizionale protagonista di un fumetto: non è accattivante come un classico eroe Bonelli. Lo hai concepito subito così?

Parto dall’idea che “accattivante”, “interessante” e “affascinante” siano aggettivi che, se riferiti ai canoni della bellezza tradizionale, non si sposano con il mio modo di concepire un fumetto. Diciamo che molti – ma non tutti – gli eroi Bonelli, funzionano così. Però se penso a Hellboy o Tintin, questo discorso non funziona.

Quando ho iniziato a dare forma a Mercurio Loi, l’ho immaginato immediatamente come una scimmia. La scimmia è un animale curioso, iperattivo, intelligente e fastidioso, tutte caratteristiche che appartengono al mio personaggio. Inoltre per me, la scimmia è l’animale più misterioso perché è quello che più ci somiglia e forse nasconde in sé le origini della nostra stessa esistenza.

 

 

Sempre nel terzo albo, scopriamo che l’assistente di Mercurio si chiama Ottone. Se il protagonista è stato battezzato con il nome di un metallo, il suo aiutante porta quello di una lega. È solo una casualità?

Potrei mentirti, ma confesso che molte delle dinamiche che mi portano a idee e pensieri che poi traduco nel fumetto riesco a metterle a fuoco con lucidità solo a posteriori. Potrei raccontarti un aneddoto affascinante per una spiegazione che in realtà non c’è… è tutto piuttosto avvolto nella nebbia.

Restiamo su “Il piccolo palcoscenico”, disegnato meravigliosamente da Onofrio Catacchio per i colori di Erika Bendazzoli. Possiamo considerarlo una sorta di pietra angolare della serie. Su queste pagine viene introdotto Leone, il nuovo domestico di Mercurio, una figura molto intrigante. Quando è maturata l’intenzione di sostituire il buon Ercole?

Quando ho realizzato “Mercurio Loi” per “Le Storie” volevo essere sintetico e immediato, farmi capire subito dal lettore. Lo esigeva quel prodotto, che prevede un’unico episodio. Ho inseguito dunque uno schema classico dei personaggi anche se a me piace approfondirli il più possibile, di modo che risultino lontani da uno stereotipo.

Arrivata l’idea di una serie, due comprimari in particolare non mi convincevano appieno perché ritenevo non avessero sufficienti potenzialità. Uno era il Colonnello Belforte e l’altro era proprio il domestico di Mercurio, Ercole. Così ho optato per azzittire quello strillone del Colonnello – mi pareva un espediente divertente – e di uccidere il maggiordomo, che è mi servito molto di più da morto per far emergere alcuni aspetti di Mercurio e non solo.

Torniamo alla genesi della serie: il fumetto di Le Storie è in bianco e nero, mentre la testata regolare è a colori. Ci racconti com’è nata l’idea del colore?

Ci sono più motivi, pratici e creativi. Dico pratici, perché ormai la Bonelli si è costruita una solida fama anche sugli albi a colori, e vedo che oggi – ma soprattutto domani – le sue produzioni saranno sempre più in policromia. Basta dare un’occhiata a cosa uscirà a Lucca.

Ma veniamo al lato creativo. Io sono portato a spremere, a sfruttare tutte le potenzialità narrative disponibili in un fumetto. Il colore mi sembrava una qualità in più, molto interessante. Per questo motivo, le avventure che avete letto e leggerete sono sempre legate in modo inconscio o razionale al colore, che gioca un ruolo di rilievo nella storia. Talvolta è addirittura il punto di partenza creativo.

 

 

A tal proposito, chi firma le copertine di “Mercurio Loi” è un artista straordinario come Manuele Fior. Lo vederemo prima poi anche come disegnatore di un albo?

Posso risponderti dicendo che io ho alcune idee su Mercurio Loi e anche su certi progetti collaterali da realizzare. Il mio interesse è di lavorare a cose molto particolari. Dobbiamo capire come.

 

L’intervista continua nella prossima pagina!