Peter David discute con la redazione di Newsarama della sua storica run su Supergirl, una serie durata sette anni e rimasta nel cuore di molti appassionati DC Comics. Linda Danvers non era l’eroina che conosciamo oggi con il nome di Supergirl, ma una donna dal percorso accidentato, fatto di rituali demoniaci, cammini oscuri e discutibili salvataggi imprevisti. La sua vicenda coinvolgeva Matrix, la sua versione alternativa e protoplasmica.

Lo sceneggiatore è tornato a parlare dei suoi temi e delle sue trame peculiari. Ecco in che termini:

 

Supergirl #1, copertina di Gary Frank

David – Non fui io a dar vita all’idea di base della storia. La DC mi chiese di scriverla perché l’avevano offerta a John Byrne, che aveva creato quella versione del personaggio, ma lui aveva rifiutato. Motivo per cui mi fece sorridere il suo disprezzo per il mio lavoro su di lei, dato che aveva dimostrato di non avere la minima idea di cosa farne. La mia preoccupazione stava tutta nel fatto che Linda era una versione mutaforma di Matrix senza nessuna ragione plausibile per essere Supergirl. Poteva diventare Supergirl o Superman… o una Oldsmobile o quel diavolo che le pareva. Nulla la teneva ancorata al concetto di umanità. Certo, aveva i ricordi di Lana Lang, ma non sapevo nemmeno io bene il perché.

L’intero passato del personaggio era così complicato e fumoso che volli subito semplificarlo e costruire per lei un motivo di attaccamento all’umanità. Ecco perché decisi di farla fondere a una donna reale, che le avrebbe dato un contesto, una famiglia, degli amici. Poi venne l’idea di rendere l’umana che si sarebbe unita a Matrix, Linda Danvers, malvagia. In questo modo mi sarei trovato con una storia di redenzione pronta a dipanarsi.

Linda era intrigante perché era davvero un personaggio frutto di una fusione. A differenza di Firestorm, per esempio, non è due individui diversi nello stesso corpo. Ha una sola personalità, quella di Linda Danvers, di cui mantiene l’anima, i ricordi e gli affetti, ma condivide anche il passato di Supergirl, la sua determinazione a fare del bene.

Non ho mai pensato di creare una versione oscura del personaggio classico. Il mio intento era quello di raccontare una storia che parlasse di religione e spiritualità, argomenti mai affrontati in un fumetto legato a Superman. Supergirl era un’esplorazione del concetto di fede, che passava per quella delle azioni di Linda e di sua madre, la quale crolla dopo aver scoperto quel che è accaduto alla figlia. C’era persino Dio tra i personaggi, tra i comprimari. Quante altre volte lo avete visto capitare? Cercavo di analizzare temi che nessun altro fumetto di quell’ambito aveva mai toccato. Non volevo ridigerire vecchi temi, ma cercarne di completamente inediti.

Il ritorno della Supergirl originale, tra i numeri #75 e #80, era semplicemente una scelta strategica. Le vendite crollavano e volevo un momento di grande forza drammatica. Mi sembrava il modo migliore per farlo. Avevo in mente dei progetti più a lungo termine, che speravo mi consentissero di creare una versione “Super” di Birds of Prey, in qualche modo, con un cast formato dalla mia Supergirl, Kara e Power Girl. Lo avrei chiamato Blonde Justice. Sfortunatamente, gli editor mi piazzarono un disegnatore del tutto incompetente che realizzò le copertine dei primi due numeri. E la DC non mostrò nessun altra immagine al pubblico. Vendite giù. Quando i lettori videro gli splendidi disegni degli interni, era già troppo tardi.

 

 

Fonte: Newsarama