Le nostre interviste realizzate in occasione dei 30 anni di Dylan Dog proseguono e si allunga la lista di grandi nomi che abbiamo incontrato per voi. Dopo Giampiero Casertano, oggi tocca a un altro Maestro del Fumetto italiano, un vero e proprio mostro sacro tra i disegnatori del personaggio creato da Tiziano Sclavi, anche se a lui, vista la sua incredibile modestia, questo epiteto non piacerebbe!

Diamo il benvenuto su BadComics.it a Corrado Roi, che, oltre alla lunga e intensa intervista che segue, ha voluto regalarci quattro splendide immagini inedite: studi a colori per la creatura a cui ha dato vita insieme a Paola Parbato: UT!

 

Ciao, Corrado! È davvero un onore e un piacere averti qui con noi. Ci racconti come hai iniziato a lavorare per Dylan Dog? È stato il tuo primo incarico in Bonelli?

Innanzitutto grazie a voi per l’ospitalità. Come ho iniziato a lavorare per Dylan Dog? Nella maniera più banale: fai le prove per Zagor e disegni Dylan Dog. [ride]

All’epoca lavoravo per Il Monello, per la Epierre di Gianni Bono e facevo tante altre cose. La Epierre aveva da poco iniziato a collaborare con Sergio Bonelli Editore, così mi era stato proposto di fare alcune prove per lo Spirito con la Scure. Il bello è che Zagor è tra i pochi personaggi della Bonelli che non ho mai disegnato! La casa editrice stava per lanciare un nuovo titolo realizzato da Tiziano Sclavi e servivano disegnatori. Così. insieme ad altri dieci, circa, sono finito immediatamente su Dylan Dog.

La tua interpretazione del personaggio è stata subito contraddistinta da una personalità unica. Che indicazioni avevi avuto sul soggetto?

Dylan Dog 4: Il fantasma di Anna Never, testi di Tiziano Sclavi, disegni di Corrado RoiAvevamo pochissime immagini di Dylan. C’erano quelle dal fisico emaciato di Claudio Villa, che aveva contribuito alla sua creazione ma che non assomigliava così tanto a come sarà in un secondo tempo, a Rupert Everett. Le foto erano poche, non c’erano film a disposizione e tanto meno il web.

A differenza dei protagonisti di molti altri fumetti, il nostro non si rifaceva a un attore così celebre, almeno in Italia, per cui abbiamo dovuto faticare tutti quanti a immaginarcelo. Quindi ci siamo mossi un po’ a tentoni, ognuno secondo il proprio stile. Per fortuna non molto tempo dopo sono arrivate le fotocopie delle prime tavole di Angelo Stano, realizzate per l’albo d’esordio. Il suo Dylan ha fatto da riferimento a tutti noi.

A parte le problematiche relative alla mancanza di documentazione reperibile sulle fattezze del personaggio, come ti sei trovato alle prese con la nuova serie di Sclavi e con il genere horror?

Per me Dylan Dog era un lavoro nuovo. Non ero abituato alla classica gabbia fissa a tre vignette della Bonelli. All’inizio devo dire che ho faticato un po’.

Per quanto riguarda l’Horror sono convinto che un professionista debba essere in grado di prepararsi e approcciarsi a qualunque genere. Se non è nelle tue corde oggi, lo sarà domani, mi dico sempre. Certo, le atmosfere della serie che prediligono ambientazioni scure o in penombra mi sono congeniali, ma in un albo di 96 pagine ti trovi a disegnare tante cose e ti devi adeguare anche a fare supermercati e ospedali, ti becchi quello che scrivono. [ride]

Sei considerato uno dei maestri del chiaroscuro in Italia. Ti è sempre venuto naturale o sei arrivato allo stile attuale progressivamente?

A mio parare è una questione di professionalità. Se devo usare una linea chiara, la uso. Se devo usare le ombre, pure. Non ho una maniera sola di disegnare, ma ovviamente per fare questo lavoro devi farti conoscere, devi rendere il tuo tratto familiare, così selezioni all’interno delle tue capacità tecniche delle soluzioni piuttosto che altre e dai loro continuità nel tempo. Se vogliamo, UT è la conclusione di una logica artistica iniziata con Dylan Dog.

Tuttavia, quello che oggi è riconosciuto da tutti come il mio stile, non sarei disposto a sposarlo come il mio stile definitivo, perché sarei pronto a distruggerlo in un attimo, se fosse necessario. In poche parole: non sono quello che faccio.

Credo che il mio disegno, quand’ero a Il Monello, avesse una qualità superiore al successivo, perché quest’ultimo era frutto anche di un calcolo, di una maniera per rimanere all’interno della Bonelli. Mi sono chiesto: “in una casa editrice in cui, a parte Mister Non e Martin Mystère, il western va per la maggiore e ha un bacino di lettori molto legato alla tradizione grafica, come mi colloco? Quali ingredienti scelgo?” Ho sempre rispettato il rapporto della Bonelli con i propri lettori, e per me i lettori vengono prima di tutto. Quando ho optato per una proposta “semi-nuova”, gli stessi lettori mi hanno apprezzato e siamo entrati in sintonia. Come avrei potuto tradirli?

Corrado, sei conscio di essere considerato dai lettori – e non solo – forse il più grande e rappresentativo disegnatore di Dylan Dog?

Tex Speciale 29: L'orda del tramonto, testi di Pasquale Ruju, disegni di Corrado RoiGuarda, questa è una cosa che effettivamente mi sento ripetere spesso dai lettori. Qui torna il rispetto per loro, per chi si alza dalla sua sedia, esce di casa, va in edicola e tira fuori i suoi soldini per comprarsi l’albo. Oggi più che mai, quando hai tutto a casa pronto, il fumetto rappresenta una dimostrazione di stima e di affetto nei confronti di chi lo fa che non ha paragoni. Il rispetto per coloro che fanno questo gesto, e lo fanno per comprare un albo disegnato da me, è assoluto.

Detto questo, è un lavoro. Se il mio lavoro fa felice qualcuno, ne sono felice anch’io. Ma è un ruolo. Mi sta bene, ma non mi sento nessuno per questo. Me lo dicono, diciamo così…

In tutta onestà, ho avuto produzioni di una certa qualità e momenti difficili. Faccio parte di quella categoria che quando l’editore chiama perché ha una necessità, se dice di sì è sì. Il Texone [Tex Speciale 29 – NdR], per esempio, mi è piombato addosso. Sanno che sono uno abbastanza veloce e quindi vengo contattato spesso. È giusto, capisco benissimo le logiche di una programmazione che deve coniugare la disponibilità degli autori, la continuity e l’offerta di storie diverse e alternative. Questo però può influire sul rendimento e sulla qualità del disegno, almeno per me, che sono un po’ la prostituta della casa editrice. [ride] Perché ho fatto la stragrande maggioranza dei suoi personaggi.

Per questi e per altri motivi, qual è la tua storia che ricordi con più piacere di Dylan Dog?

Sono due. Una perché Tiziano mi ha lasciato ampia libertà di manovra soprattutto sugli ambienti, che sono al cento percento farina del mio sacco, ed è Sette anime dannate [Speciale Dylan Dog 6 – NdR]. Quella sceneggiatura di Tiziano penso sia il sogno di ogni disegnatore, un equilibrio tra precisione e libertà: “ti dico di fare una cosa, ma la fai come vuoi tu”.

L’altra storia è I ricordi sepolti [Dylan Dog 249 – NdR], di Luigi Mignacco, perché avevo usato la china in maniera diversa, lasciando evaporare l’acqua e ottenendo un risultato molto suggestivo che mi aveva soddisfatto particolarmente.

Se ti chiedessi tre aggettivi per definire Dylan Dog, quali sceglieresti?

È una domanda a cui non saprei rispondere, perché Dylan Dog lo trovo amorevolmente “L’uomo senza qualità”, l’uomo comune messo di fronte a situazioni molto più grandi di lui, che diventano normali per lui. Dalle nostre parti si direbbe l’è’n brav fiò, “è un bravo ragazzo”… a cui non farei mai conoscere mia figlia. [ride]

Se Dylan Dog non fosse un fumetto, hai mai pensato a cosa potrebbe essere?

No, perché Dylan Dog è un fumetto, nato con un linguaggio cinematografico voluto da Tiziano e con una modernità così lampante che non ha bisogno di altre riletture. Quella giacca nera, i polsini risvoltati della camicia rossa fuori dai jeans e le sue clarks sono di per sé iconici come il costume di un supereroe, a prescindere da chi lo indossa. E la trasposizione da fumetto a film è sempre un’operazione rischiosa perché l’immagine bidimensionale, ferma e bloccata, ha un suo meccanismo e collegamento; l’immagine tridimensionale ha uno spessore da aggiungere, che è sempre difficile da centrare e adeguare.

Come ti approcci a una sceneggiatura di Dylan Dog: da dove cominci? Hai dei riti preparatori che compi usualmente?

Viva Valentina!, copertina di Corrado RoiAppellandomi a qualsiasi tipo di indulgenza. [ride] Dipende molto dallo sceneggiatore, ovviamente. Le mie ultime collaborazioni sono state con tre autrici diverse: Micol Beltramini, Paola Barbato e Barbara Baraldi. Mi sono trovato benissimo con tutte, anche se hanno tre modi di scrivere completamente differenti per ritmo, tempo narrativo, concezione delle sequenze, eccetera. Con Micol abbiamo buttato giù la storia di Valentina [Viva Valentina! – NdR] al bar, con Paola siamo amici da una vita e con Barbara si è instaurato subito un bel rapporto. Sarà perché sono fanciulle, ma con Chiaverotti o Manfredi non è che cambio usi e costumi! Alla fine cerchi di rispettare le loro intenzioni, ciò che vogliono esprimere con quella specifica scena.

Io sono abituato a mandare allo sceneggiatore le tavole man mano che le finisco, perché mi piace avere un contatto diretto, una collaborazione regolare mentre si lavora insieme. Sono convinto che dia valore aggiunto a ciò che si sta facendo e semplifichi lo sforzo di entrambi. Con alcuni, o alcune, si cementa poi una confidenza, un’empatia simile a quella di una affiatata coppia di comici. Certi abbinamenti sceneggiatore-disegnatore se funzionano bene, andrebbero riproposti più spesso, a mio parere.

Comunque, in ben oltre quarant’anni di carriera, ho lavorato con una miriade di autori, alcuni geniali, altri eccezionali, e in generale devo ammettere che sono stato fortunato.

Che consiglio daresti a un giovane disegnatore che si avvicina per la prima volta a Dylan Dog?

Bisogna aver presente che non si tratta solo di sapersi relazionare con il personaggio. C’è il tipo di sceneggiatura, l’autore, il curatore della serie… Bisogna sapersi rapportare con tutti gli attori e i fattori in gioco. Bisogna entrare nell’ordine di idee che si fa parte di una squadra e che si gioca tutti per un unico risultato. Se ti capita una storia brillante, adeguati. Se invece è un horror cupo, pure. Toccherà saperci fare bene con ombre e chiaro scuri. La flessibilità è una qualità fondamentale per un disegnatore.

Gli direi poi di stare attento alla sequenza e al ritmo della lettura: per vignette con didascalie prolisse o dettagliate che lo rallentano, per esempio, ci vuole un’immagine al contrario semplice, senza fronzoli. Evita sfondi o riducili all’osso. Bisogna interpretare, capire e sintonizzarsi sulla velocità che la sceneggiatura vuole imprimere alla lettura.

Come ricordavi, hai disegnato quasi tutti gli eroi Bonelli, ma disegnare Dylan Dog, per te, ha un sapore diverso, giusto?

Le grandi storie di Nathan Never: I giorni della maschera, testi di Davide Rigamonti, disegni di Corrado RoiPosso definire Dylan come il miglior lavoro che ti possano commissionare. Va detto che il rapporto del lettore che vive il personaggio non è lo stesso dell’autore, che deve in un certo qual modo recidere quel cordone ombelicale che lo lega emozionalmente.

Ci sono ancora dei colleghi che hanno all’incirca la mia età e che mi dicono “io amo questo, io adoro quello…”. Io li guardo come se fossero dei marziani, per non dire altro. [ride] E poi, talvolta, mi trovo a pensare di non essere contento, perché io non sono così. O di essere contento proprio perché non sono così! È una questione di visione della vita…

È una domanda per cui ci vuole una risposta “aperta”. Mettiamola così: preferisco disegnare i capelli neri e spettinati di Dylan che i riccioli biondi anni ’50 di Martin Mystère, i capelli lunghi di Dampyr che il cappello di Tex, la chioma anni ’80 di Nathan Never rispetto al taglio di Mister No, giusto per stare “in cima ai personaggi”, ma spero di essermi spiegato.

Visto che Dylan compie 30 anni, qual è il tuo personale augurio al nostro Old Boy?

Cosa gli direi… Gli auguro avventure horror più claustrofobiche, dato che la china la pago poco! E che sia un po’ meno cinematografico e più fantasioso. Certe cose si vedono già al cinema, perché metterle anche nei fumetti? Nei fumetti posso realizzare a basso costo ciò che nel cinema richiederebbe un budget spropositato. Quindi gli auguro più horror, più fantasia e che faccia un voto di castità che duri per tre numeri consecutivi… al quarto se ne può fare quattro! [ride] Voglio dire, vorrei vedere una bella storia dove non c’è qualcuna che finisca a letto con Dylan.

Passiamo alla tua creatura, che hai voluto condividere con Paola Barbato: UT. Hai detto che è qualcosa che hai in mente – e hai elaborato – da una vita. Quando questo tuo progetto è divenuto qualcosa di realizzabile?

Per la precisione, ho disegnato per la prima volta il personaggio quando avevo sedici anni. Ho ancora i fogli originali che custodisco gelosamente, perché è senza maschera. Ho alcune storie scritte e che non ho mai consegnato in redazione, così come alcuni personaggi.

Quando Mauro Marcheselli ha saputo di questa mia idea, mi disse: “Che aspetti a portarla in redazione?” Nel giro di otto mesi, con l’aiuto di Paola, ho condensato il grosso dei racconti che avevo in mente, o che avevo buttato giù disordinatamente su carta.

La trama è molto particolare, per i contenuti e soprattutto per come viene proposta al lettore. È stata una scelta successiva o l’idea è nata insieme a questo universo fantastico e terribile?

UT, studio a colori di Corrado RoiNo, è nata in un secondo tempo, da me e Paola. Poteva essere una cosa meno ermetica, meno provocatoria e molto più semplice, perché bastava narrarla in un altro modo, anche se la logica sequenziale è quella bonelliana.

Il grande direttore Decio Canzio diceva: “In un albo Bonelli le parole non devono risultare necessarie. Per capire la storia deve poter bastare sfogliarne i disegni”. Ho voluto questo anche per UT.

Dove si devia dalla tradizione Bonelli? Nell’omissione. In molte serie il lettore viene accompagnato per mano dall’inizio alla fine dell’albo, come in Tex. Gli si danno tutte le informazioni man mano, di pagina in pagina, per giungere insieme al protagonista all’obbiettivo da ottenere.

In UT manca parte della comunicazione con il lettore, che è privo delle coordinate essenziali per orientarsi. Lo abbiamo abbandonato perché vogliamo che ci metta qualcosa di suo per uscirne.

I ruoli importanti non sono pochi, ma sono abbozzati, non sono decifrabili immediatamente, né connotati con un codice noto, e alla fine, in alcuni casi, compaiono ribaltati. Non ci sono vampiri, fantasmi o gnocche. Non ci sono né bene né male. Non ci sono vendette da compiere o la giustizia da far trionfare.

Mancano quei principi che sono alla base di una storia reputata “vendibile”. Abbiamo voluto giocare. Non è stata presunzione, ma ci siamo ispirati a grandi esempi della letteratura, come alcune opere di Borges, o del Cinema, come certi film di Buñuel.

Per la casa editrice è stato diverso. Ha compiuto un bello sforzo, perché ha significato rinunciare alla sicurezza del proprio pubblico abituale e uscire con un prodotto che o viene accettato e piace molto, oppure viene rifiutato senza mezzi termini, com’è naturale che sia. Io ho definito l’atteggiamento della Bonelli un po’ dadaista, ma bisogna sottolineare che questa scelta fatta da me e Paola è stata avallata con grande coraggio dalla casa editrice.

Un altro riferimento che avete negato al lettore è il genere. È impossibile definire UT con un genere, se non facendo degli equilibrismi o delle forzature. Non solo per il lettore, ma anche per chi ha dovuto recensirlo non è stato facile…

Si, assolutamente! [ride] Ho voluto eliminare ogni forma di retorica e ogni riferimento a un genere. Certo, ho messo in difficoltà non solo il lettore, ma anche chi ha dovuto recensirlo. Devo dire, però, che le recensioni sono state tutte più o meno positive, anche se diverse. Perché chi ha scritto ha colmato come il lettore quel vuoto che abbiamo lasciato apposta con del suo e con l’esperienza che ha provato leggendo quelle pagine.

Perché, tra tutti gli scrittori con cui hai lavorato e lavori, hai scelto proprio Paola Barbato per UT?

UT, studio a colori di Corrado RoiPerché io e Paola ci conosciamo telefonicamente da quando lei ha iniziato questo mestiere, proprio grazie a Dylan Dog. È nato come un rapporto di lavoro e poi è diventata una bella amicizia. Negli anni si è formata un’empatia davvero speciale. Se parlo a Paola di un certo tipo di teatro, c’è. Se le parlo di un certo tipo di cinema, c’è. Esiste tra di noi tutta una serie di interessi comuni davvero notevole.

Poi Paola è molto brava a caratterizzare anche i personaggi secondari, a dargli spessore e vitalità. Era quindi la figura ideale per UT, che ha tutta una serie di comprimari e comparse che devono tuttavia risaltare. Non è l’unica a saperlo fare – è chiaro – ma la conoscenza e l’amicizia rendono tutto più semplice.

Proprio Paola ci ha detto di essere molto contenta di come abbia reagito il pubblico a UT, perché c’è stato chi l’ha adorato e chi invece l’ha odiato. Tu cosa ti sentiresti di dire al riguardo?

Guarda… Mia madre mi ha insegnato che se non stai sulle balle a nessuno vuol dire che non hai caratteristiche. Ho ricevuto un complimento da un mio amico regista teatrale, che mi ha detto: “Finalmente qualcosa di analogico!”. UT è analogico come il nostro vivere quotidiano. Siamo noi che poi lo frammentiamo e lo archiviamo in tanti modi complicati.

Avete lasciato ogni intreccio aperto, per cui c’è la possibilità di rivedere in futuro questo incredibile universo, giusto?

Sì, stiamo lavorando su alcune storie. Per cui c’è la concreta possibilità che UT continui, perché anche la casa editrice si è dimostrata interessata a un seguito. Inoltre siamo piuttosto d’accordo tutti quanti che UT sia un personaggio più adatto alla fumetteria che all’edicola, per cui credo che ci orienteremo in quella direzione e magari su un formato diverso da quello tradizionale. Però non c’è ancora nulla di nero su bianco.

Hai parlato di due collaborazioni per Dylan Dog con la Barbato e con la Baraldi. Per concludere, puoi dirci qualcosa in più, anche su altri tuoi progetti in ballo?

La storia della Baraldi è La ninna nanna dell’ultima notte, uscita qualche mese fa, mentre ho praticamente finito di inchiostrare quella della Barbato. Questo per Dylan, e non posso dire altro.

Con la Barbato, poi, abbiamo cominciato a ragionare su un altro personaggio completamente inedito, che ci piace molto e ha qualcosa di poetico, a nostro avviso. Come lo ha UT, d’altronde. Questo nuovo progetto, però, è ancora inter nos. Io e Paola butteremo giù il materiale necessario e poi vedremo se piacerà al nostro editore.