Come hai cominciato a collaborare con Lupo Alberto? Cosa ricordi del periodo in cui muovevi i primi passi con il personaggio?

Nel 1998 stavo lavoravo in pianta stabile a Cattivik, ma l’ipotesi di una futura collaborazione a Lupo Alberto era già nell’aria, poiché Silver la stava caldeggiando da tempo. Mi ero studiato a fondo la creatura silveriana e stavo mettendo a punto alcuni soggetti, con l’intenzione di dedicarmi a essi più avanti, dato che oltre a Cattivik stavo anche lavorando con Giorgio Sommacal agli episodi della serie Contatti per “Il Giornalino”.

Invece, da un giorno all’altro, Silver mi convocò a Milano per propormi di entrare a far parte del team di scrittura della prima serie dei cartoni animati di Lupo Alberto, che la Rai aveva appena iniziato la produzione e sulla quale stava già lavorando Francesco Artibani. Un’offerta che non potevo rifiutare, come si dice…

Così, in modo un po’ spericolato, mi lanciai nella grande avventura, resa più movimentata dal dover adattare l’universo silveriano alla scrittura cinematografica, a me non ancora abituale. Una ventina di episodi in un turbine di riunioni e revisioni dalla quale sono uscito, in un certo senso, corazzato. La serie regolare a fumetti è venuta dopo, nel 2000, quando ho abbandonato con un po’ di rimpianto gli sperimentalismi e l’allegra anarchia delle storie di Cattivik e mi sono dedicato anima e corpo al lupo, compresa la seconda serie.

Rispetto ad altri personaggi con cui hai lavorato, cosa contraddistingue il cast che popola la fattoria McKenzie? Quali sono le caratteristiche che lo differenziano dagli altri fumetti?

Non si può affrontare l’universo silveriano con la sola ottica di fumetto umoristico mainstream e il pur indispensabile approccio professionistico. È necessario penetrarlo, assorbirlo, coglierne il cuore, e soprattutto conoscere e capire il suo autore, perché Lupo Alberto è fumetto pop e autoriale insieme, un’alchimia che funziona solo se si hanno affinità culturali e se ne condivide la filosofia di fondo.  La genialità della serie sta nel sistema di relazione tra i personaggi, ma soprattutto nei loro caratteri, mai monolitici e bidimensionali, bensì sfaccettati e contradditori, in continua evoluzione personale e nel loro rapporto con il mondo, imperfetti e dunque interessanti, caratteristiche che li rendono stimolanti e permettono lo sviluppo di narrative pressoché infinite. La fattoria è un sistema perfetto che non necessita, se non saltuariamente, della presenza di personaggi esterni, perché al suo interno c’è già tutto ciò che serve, un luogo dove convivono satira di costume, commedia, dramma, gag, poesia e contaminazioni.

Collaborare a Lupo Alberto è stata e rimane una straordinaria scuola di crescita professionale e personale. Un rapporto ventennale di amicizia, stima e affinità tra tutti noi, autori, Silver, la redazione, che si è sviluppato nel tempo attraverso le lunghe chiacchierate, le risate, i calembour, i nonsense e i cazzeggi innominabili che sono una parte fondamentale del nostro lavoro. Perché, se non si era capito, siamo tutti una banda di pazzi.

Quali sono le storie di Lupo Alberto che preferisci?

Difficile fare una graduatoria tra le tante e bellissime strisce, tavole e novelas di questa storia quarantennale.  Accanto ai celeberrimi cicli silveriani dedicati all’omosessualità, al dramma di Uccello, alle battaglie contro l’imbecillità – e tanti altri: l’elenco sarebbe lungo – ci sono alcune storie di miei augusti ed esimi colleghi che negli anni mi sono rimaste scolpite nella memoria.

Penso alla breve e folgorante Guerra di Giacomo Michelon, a dimostrazione dell’estrema versatilità del Lupo e della bravura dell’autore.
Ricordo Partita con la Morte, di cui avevo ammirato le tavole originali nella redazione di Mck i primi tempi della mia collaborazione con Silver, e che divenne una specie di imprinting della figura di Bruno Cannucciari (che non conoscevo ancora e immaginavo creatura efebica, esangue e umbratile, e invece è l’uomo più solare e muscoloso che conosca). Da allora, aspiravo segretamente a lavorare con lui a qualche storia zeppa di scheletri, teschi e tibie, desiderio esaudito anni dopo nella prima storia realizzata insieme, La casa del vampiro.
Errore di Sistema, di Silver-Cannucciari, fondamentale sintesi e modello di narrazione silveriana.
E poi L’album di Mosè di Cannucciari, altro grande spin-off e grande prova d’autore.
Per quello che mi riguarda personalmente, ci sono storie alle quali sono legato sentimentalmente (L’alta Marea, Natale senza te), quelle in cui mi sono particolarmente divertito (La domenica bipolare del signor La Talpa), e altre che, semplicemente, trovo siano riuscite bene (Duro come il tuo cuore, Dolce casa).
Entusiasmante e stata la collettiva Lupo Alberto è Messer Correggio dove ho lavorato ai testi di un soggetto di Silver e al colore dei disegni di Bruno Cannucciari. Un’esperienza mistica!

Da anni la visibilità della testata è in calo, con sempre meno storie inedite e una produzione che purtroppo non è paragonabile agli anni d’oro del personaggio… Pensi che il personaggio abbia ancora qualcosa da dire? Cosa credi potrebbe farlo tornare alla ribalta?

Il momento è difficile, e Lupo Alberto, come tante altre testate, ne sta subendo le conseguenze. Strano, perché il personaggio continua a essere tra i più conosciuti e apprezzati dal grande pubblico, ma tant’è. Il suo recente rilancio presso Panini mi spinge a essere moderatamente ottimista: il lupo è un osso duro e sono convinto che supererà l’impasse (anzi, lo sta superando). E c’è una decina di soggetti nei miei cassetti che scalpita per essere realizzata. Vedremo.