In occasione dell’uscita del primo numero di Dylan Dog: OldBoy abbiamo intervistato Roberto Recchioni, parlando con lui del nuovo corso della testata, del rinnovamento del personaggio e di cosa possiamo aspettarci nel futuro della serie regolare.

 

Bentornato su BadTaste.it, Roberto.

Su “OldBoy” ritroviamo il Dylan Dog classico. Può sembrare un elemento sciocco da usare come discriminante, ma immagino che sia quello senza cellulare… C’è un periodo editoriale preciso che è stato preso come riferimento? Quali indicazioni sono state date agli autori per questo filone?

No, nessun periodo editoriale specifico. L’idea è molto più semplice: rifarsi al Dylan Dog scevro dagli elementi di continuity. Come quelle testate americane di Batman o di Spider-Man che affiancano le regolari, in continuity stretta, e propongono storie dei personaggi nella loro versione originale, iconica, e priva di tutte le variazioni, più o meno momentanee, imposte dalla continuità narrativa. L’unica indicazione che Franco e io abbiamo dato è di darci buone storie di Dylan: quindi imprevedibili, inquietanti, con qualcosa da dire e ben scritte.

Dylan Dog ha sempre intercettato l’attualità. Con questa divisione più netta rispetto alla serie principale, anche le storie di “OldBoy” continueranno a essere uno specchio del presente? La cronaca potrà ancora influenzare anche questa serie o dobbiamo considerare “OldBoy” immerso in una sorta di bolla temporale slegata dal presente, un po’ come quando la Marvel realizza nuove storie con Peter Parker ai tempi del liceo?

I fatti di cronaca sono fatti di cronaca, non il senso del tempo presente. Dylan non si è mai rifatto, esplicitamente, all’attualità quanto al sentire del tempo presente. E questa rimane una costante anche sull’”Oldboy”. La prima storia di Gabriella Contu lo dimostra pienamente.

Il processo di rinnovamento ha portato Dylan Dog a evolversi e a una moltiplicazione delle testate a lui dedicate. Quale pensi sia il personaggio Bonelli che avrebbe più potenzialità, se fosse al centro di un’operazione simile?

Quelli che hanno queste potenzialità, hanno anche la loro famiglia di testate, no? Basti pensare a Tex. Le testate si moltiplicano quando un personaggio ha un pieno successo. È la semplice logica della domanda e dell’offerta. Più un personaggio è di successo, più aumenta la domanda. E l’offerta viene di conseguenza.

Sulla testata principale di Dylan Dog stai portando avanti una progressiva decostruzione del protagonista. Immaginando di portare all’estremo questo processo, quali ritieni siano quegli elementi del personaggio che non potrebbero mai cambiare senza stravolgerlo?

In realtà, è il contrario. Il ciclo 666 è un ciclo di ricostruzione, non di decostruzione. È un “anno uno” che parte da un Dylan che non è ancora Dylan e che, mese dopo mese, lo diventa. Dal primo numero al sesto abbiamo visto un Dylan dal carattere ancora molto spigoloso, ancora alcolista, ancora privo di molti elementi della sua ideologia e della sua “mitologia” che, avventura dopo avventura, torna a essere quello che era e torna ad avere tutti i “pezzi” al posto giusto. Detto questo, gli elementi chiave di Dylan sono sempre i soliti: l’esercizio del dubbio, il senso di innata giustizia, il romanticismo e l’essere dalla parte degli ultimi.

Al di là del tema Coronavirus – di cui si è già parlato abbondantemente in merito a come potrà influenzare la narrazione per i mesi a venire – in questo periodo la cronaca presenta sempre più situazioni straordinarie. Basti pensare alle rivolte oltreoceano e alle dure prese di posizione di alcuni politici. Questo contesto è uno stimolo ulteriore a immergersi narrativamente in questi “incubi”, oppure – come per il Covid – è fonte di grandi dubbi perché è difficile immaginare quale piega avranno preso gli eventi tra qualche mese, quando le storie raggiungeranno i lettori?

I temi delle grandi manifestazione americane di questi giorni, ma anche i temi dell’inclusività e dell’eguaglianza sociale e culturale, fanno parte del DNA del personaggio sin dall’inizio. Non è tanto Dylan che si sta adattando al presente ma il presente che, finalmente, sta arrivando alle conclusioni a cui Dylan è arrivato da decenni.

Ora che “Dylan Dog” ha un approccio molto più seriale, immagino sia necessaria una maggiore pianificazione sul lungo termine per determinare la direzione e scandire le tappe, rispetto a quando era una testata più antologica. Agli autori di una serie TV si potrebbe chiedere: “Quante stagioni avete in programma”. Su Dylan quanto ti sei spinto in avanti? Quanti archi narrativi o quanti anni hai delineato allo stato attuale?

Si lavora, di media, con due anni d’anticipo. Al momento, ho pianificato due-tre archi narrativi successivi al 666, di lunghezza variabile e che avranno un tema specifico. Questi archi saranno intervallati da episodi autonomi e autoconclusivi.

Già ai tempi di “John Doe” avevi iniziato a sperimentare applicando al Fumetto la struttura delle serie televisive, ma con 666 ti sei spinto oltre, visto che la connessione è ancora più stretta. Gli ultimi albi non sono più autoconclusivi, hanno un teaser che introduce gli eventi futuri, con le ultime tavole addirittura realizzate dal disegnatore dell’albo successivo. Il risultato è più vicino ai serial moderni, in particolare quelli presenti sulle piattaforme streaming che molti considerano “film suddivisi in più parti”. È una scelta limitata a 666, o possiamo aspettarci di vedere questa struttura anche nei prossimi archi narrativi?

Sul 666 è molto estremizzata e nei prossimi archi narrativi sarà lievemente più blanda, ma ogni storia porterà comunque alla successiva e avrà un impatto preciso sulla continuità narrativa del personaggio.

L’attuale universo narrativo di Dylan Dog sembra in qualche modo influenzato dal mercato editoriale americano, tra crossover, multiversi, team-up con personaggi di altre case editrici (Batman, Don Zauker). A completare questo quadro sembrano mancare all’appello gli spin-off sui comprimari. I “Grouchini”, dopo la loro presentazione “da fiera”, sono arrivati in edicola sotto il “marchio Dylan Dog Color Fest”. Dopo la miniserie su Daryl Zed, pensi che un giorno potremo vedere storie che hanno protagonisti diversi da Dylan (Bloch? Xabaras? John Ghost?) presentate sugli scaffali al di fuori delle collane regolari?

In qualche misura, una serie su Bloch esiste già, ed è pubblicata sul Magazine. Ma non è un segreto per nessuno che mi piacerebbe molto potenziare questa cosa e creare una testata monografica sul personaggio, raccontato nei suoi anni giovani. Per Xabaras ho in mente da anni una miniserie.

Spesso ti viene chiesto quali artisti vorresti portare su “Dylan Dog”, e in questi anni ti abbiamo visto portare grandi nomi e talenti emergenti, anche con stili molto differenti. Sappiamo che molti altri verranno, hai addirittura anticipato che possiamo aspettarci nomi stranieri. Entriamo nel campo dell’impossibile, forse anche un po’ esoterico: immaginando di riportare in vita qualche fumettista del passato, puoi menzionare un disegnatore, uno sceneggiatore e un autore che ti piacerebbe vedere su “Dylan Dog”?

Chiariamo una cosa che poi si creano fraintendimenti. Un lettore mi ha chiesto se su Dylan ci potranno mai essere autori stranieri e io ho risposto “perché no?”. A quel punto, siti specializzati e non, hanno scritto “Recchioni anticipa l’arrivo di nomi stranieri sulla testata”, ma io non l’ho fatto. Per rispondere alla tua domanda, amerei vedere un episodio di Dylan Dog scritto da Dan Harmon e disegnato da Rafael Grampá.