Dopo aver collaborato con le major del Fumetto americano, Doug Braithwaite ha deciso di contribuire a rilanciare la Valiant, casa editrice fondata nel 1989 da Jim Shooter. Nel corso di questi anni, l’artista britannico ha prestato la sua arte su quasi tutte le serie, dalle punte di diamante X-O Manowar e Bloodshot, a progetti più particolari come Imperium o eventi come Armor Hunters e Book of Death. Non solo Marvel e DC Comics, ma anche la voglia di misurarsi con una realtà nuova e riportarla al centro del mercato a stelle e strisce.

 

 

Durante l’ultima edizione di Lucca Comics & Games, Braithwaite è stato ospite presso lo stand di Star Comics, dove abbiamo avuto la possibilità di incontrarlo e intervistarlo, approfondendo anche le sue precedenti collaborazioni con Alex Ross e Grant Morrison.

 

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Dopo una carriera alla Marvel e alla DC Comics, nel 2012 hai deciso di legare il tuo nome alla Valiant, anno in cui abbiamo assistito al suo rilancio. Cosa ti ha spinto ad accettare quest’avventura?

Braithwaite – Sono stato contattato dalla Valiant poco dopo la conclusione del mio contratto con la Marvel. Avevo da poco iniziato a lavorare a un mio progetto per la Image Comics insieme a David Hine, e hanno avuto la pazienza di aspettarmi. Dopo aver fatto alcune prove, ho deciso di accettare, vista la presenza di tanti scrittori interessanti, molti dei quali provenivano dalla scena indipendente.

Inoltre, mi ha colpito sin da subito l’unità d’intenti dei loro titoli, la volontà di raccontare storie legate tra loro. C’era una sola voce in questo progetto ed è qualcosa di diverso rispetto a quello che avevo realizzato per Marvel e DC Comics. Ho accettato questa sfida, e una volta salito a bordo ho aiutato gli sceneggiatori a sviluppare i personaggi. Devo dire che è andata davvero bene.

Dare lustro a personaggi assenti dalle scene da diverso tempo deve aver comportato un gran lavoro.

Braithwaite – Esattamente. Molti dei fan della prima ora della Valiant erano disperati perché volevano vedere i loro beniamini tornare in azione. Sotto la supervisione di Dinesh Shamdasani, a cui era stata affidata la supervisione creativa, sono state scritte quattro serie in cui era evidente la volontà di tutti di realizzare qualcosa che riprendesse quanto fatto in precedenza dalla casa editrice. Hanno mantenuto un approccio molto intelligente alle storie, e i vari team creativi hanno lavorato insieme a questo reboot. Sono ripartiti con idee fresche che hanno fatto sì che i super eroi tornassero così come li conoscevamo, ma con qualcosa di diverso, più spettacolari. Credo che la gente abbia amato quello che è stato realizzato finora.

In questi anni alla Valiant hai avuto modo di collaborare con Matt Kindt, Jeff Lemire e, recentemente, con Andy Diggle su “Incursion”. Parlaci un po’ di queste tre collaborazioni.

Braithwaite – È difficile risponderti perché ogni scrittore ha le sue peculiarità. Ai nomi che hai fatto, aggiungo anche Joshua Dysart. Si tratta di sceneggiatori fantastici, con una capacità unica di raccontare le proprie storie. È difficile per me dirti con chi mi sia trovato meglio a lavorare. Pero, ho fatto il nome di Joshua perché tra le serie sulle quali ho collaborato, “Imperium” è quella che mi ha fatto divertire di più.

Uno dei miei titoli preferiti!

Braithwaite – Ne sono felice! È davvero una grande storia, in cui i personaggi si sono rivelati qualcosa di completamente diverso rispetto a ciò che mi ero prefigurato. Il character design di questa serie è davvero fantastico, adoro la maniera in cui è stato sviluppato. Avevamo bisogno di un componente visuale molto forte al fine di trasmettere la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di veramente tosto.

In questi anni, hai lavorato a titoli come “X-O Manowar” e “Imperium”, passando da ambientazioni epiche ad altre più orrorifiche o ricche d’azione. Come ti sei approcciato a tutti questi cambiamenti?

Braithwaite – Ogni serie richiede la sua dose di dramma, enfasi, azione eccetera… Prendi il mio ultimo lavoro su “X-O Manowar”, con le sue atmosfere epiche, e mettilo a confronto con quanto fatto su “Ninjak” o “Shadowman”: c’è sempre qualcosa di nuovo da disegnare e magari era la prima volta che lo facevo in carriera. Il segreto per cercare di risultare sempre credibili è scavare a fondo nella storia, entrando in contatto con quello che si vuole trasmettere al lettore e cogliendone le varie sfumature.

Generalmente, cambio sempre approccio quando devo cominciare a lavorare su un nuovo progetto. La prima cosa che faccio è sedermi e leggere la sceneggiatura, almeno tre volte consecutive, e iniziare a far scorrere nella mia testa le immagini, come se fossi davanti a un film. Successivamente inizio a scrivermi quelle che sono le emozioni che hanno accompagnato la visione, e solo allora passo allo studio del design dei personaggi.

Guardando alla tua carriera, c’è qualche personaggio che vorresti aggiungere all’elenco di quelli che hai disegnato?

Braithwaite – Devo essere sincero, no, non ci sono altri personaggi in giro che vorrei disegnare. Sono una persona molto fortunata, ho già avuto la possibilità di lavorare sui personaggi che amavo quando ero piccolo. Potrei farti nomi di super eroi di primissimo piano di proprietà della Marvel o della DC Comics, come Superman, Batman o Wonder Woman. La verità è che sono orgoglioso di quello che ho fatto per queste due major così come lo sono del mio lavoro alla Valiant.

Ogni storia è una sfida per me, e amo accettare quelle che mi permettono di migliorare, di portare sempre un po’ più in là il mio stile, la mia immaginazione, il mio storytelling. Ho lavorato su diversi grandi progetti, ma ora piuttosto che scegliere un personaggio su cui lavorare vorrei cominciare a creare qualcosa che sia completamente mio.

È questa la tua prossima sfida?

Braithwaite – Ho già avuto modo di realizzare qualcosa di mio per la Image Comics, come ti dicevo prima, “Storm Dogs” insieme a David Hine, uno scrittore fantastico. Dopo aver completato i sei numeri, ho accettato l’offerta della Valiant, una di quelle che non potevo rifiutare. Per il futuro, la volontà è quella di continuare a lavorare su personaggi creati da me.

Sei un artista affermato che ha lavorato per le più importanti case editrici di fumetti americani. Quando eri ancora un ragazzino, quali erano le tue principali letture e i disegnatori che ti hanno influenzato durante la tua crescita?

Braithwaite – Le mie principali letture da ragazzino erano per lo più fumetti satirici pubblicati sulle riviste britanniche. La prima vera rivoluzione è stata quando ho iniziato a leggere gli albi Marvel. Tieni presente che in Inghilterra i fumetti erano in bianco e nero, quindi passare al colore è stato assolutamente fantastico! Questa di sicuro è stata la mia prima influenza.

Inoltre, non posso non citare “2000 AD”: quando ho iniziato a essere maggiormente attratto dalle questioni tecniche dei fumetti, ho appreso tantissimo dagli artisti che hanno reso unica quella rivista. Un’altra grande influenza è stata Alex Raymond. Insomma, ho avuto diverse fasi nella mia vita, ognuna caratterizzata dalla voglia di migliorare, di fare qualche passo in più per raggiungere nuovi obiettivi.

Ci sono aspetti del tuo stile che vorresti migliorare ancora oggi, nonostante una solida carriera alle spalle?

Braithwaite – Non so se può essere considerato un miglioramento, ma di sicuro vorrei tornare a occuparmi di ogni cosa. La mia idea è quella di disegnare, inchiostrare e colorare tutto da solo. Nonostante fossi un disegnatore veloce, quando ho iniziato a lavorare per Marvel UK sono passato a occuparmi solo delle matite, per cercare di essere ancora più veloce. Credo di aver raggiunto ottimi livelli come disegnatore, e ho avuto l’indubbia fortuna di collaborare esclusivamente con inchiostratori bravissimi. Ecco, mi piacerebbe tornare a inchiostrare, dipingere… ad avere il controllo totale su quello che va fatto per un fumetto.

Tra gli artisti con i quali hai collaborato non possiamo non citare il grande Alex Ross. 

Braithwaite – Sono molto orgoglioso di quanto realizzato con Alex su “Universo X” e “Paradiso X”, e ho avuto la fortuna di affiancarlo nuovamente sei anni dopo su “Justice”. È stata un’esperienza davvero unica, dato che abbiamo sempre interagito su tutto, sia per la sceneggiatura che per le tavole. Ho sempre pensato che le mie matite dovessero avere delle colorazioni più lavorate, come dei dipinti. Il fatto che io e Alex avessimo interessi similari nel campo dell’illustrazione ha reso questo rapporto ancora più bello e funzionale. In fondo, stiamo parlando di uno dei massimi esponenti della Nona Arte della sua generazione.

Alex è il migliore, e quando ho iniziato a contribuire a “Justice” ero consapevole che avrei dovuto mettere da parte il mio ego. Allo stesso tempo, però, non dovevo soccombere sotto il peso di un confronto con il suo lavoro. In qualunque direzione mi muovessi, dovevo essere bravo a mantenere in equilibrio queste due cose. Fortunatamente, c’era un rispetto reciproco che ha fatto sì che non avvertissi troppo la pressione. Il risultato sono delle tavole che risultano spontanee, e credo che sia questo il motivo per il quale abbiamo collaborato su diversi progetti: essere riusciti a combinare un tratto realistico con qualcosa di spontaneo. Sono davvero felice per la riuscita del progetto.

All’inizio della tua carriera hai prestato la tua arte anche alla serie “Doom Patrol”, scritta da Grant Morrison. Cosa ricordi di quell’esperienza?

Braithwaite – Se non ricordo male, si tratta del mio primo o secondo lavoro fatto per gli Stati Uniti. All’epoca, ero davvero giovane e non riuscivo a capire a cosa stessi lavorando, la storia era davvero strana! [Ride]

È stata un’esperienza davvero incredibile. In merito a Morrison, sapevo che lui era solito accompagnare la sceneggiatura con dei disegni, i layout delle tavole. Per quel che ricordo dell’epoca, ho ricevuto il materiale, mi sono detto “Okay, devo mettermi sotto” e l’ho affrontato come una sfida. E sì, c’era Grant Morrison. [Ride]

 

Doug Braithwaite e Pasquale Gennarelli