Vengo meglio quando non guardo“: così dice Lee Bermejo mentre cerchiamo di fagli una foto al centro congressi di Cernobbio, in occasione del Lake Como Comic Art Festival 2019.

Disegna sempre, anche mentre risponde – con grande gentilezza – alle domande che abbiamo per lui, questo artista dallo stile dettagliatissimo, potente, ruvido quando serve, dall’immaginario visivo quasi ossianico. I suoi personaggi sembrano sempre scolpiti nella pagina eppure terribilmente espressivi.

Non fa differenza il Batman che ha sul foglio e che scaturisce dal suo pennino piano piano, durante l’intervista. Ed è proprio dal suo impegno sul personaggio del Cavaliere Oscuro, assieme al sodale di vecchia data Brian Azzarello, che inizia la nostra chiacchierata.

 

Stai disegnando una storia molto particolare, “Batman: Damned”, che ha scatenato qualche polemica ma poi è risultata estremamente ben accetta a critica e pubblico. Hai un rapporto molto speciale con il Cavaliere Oscuro: da dove viene? Pensi che ti porterà a lavorare ancora su di lui?

Non so quale sia l’origine del mio amore per Batman. Devo dire che da piccolino ero molto affezionato alla serie TV degli anni Sessanta. Il primo Batman che mi ha fatto incuriosire è stata propria quella versione. Poi ho iniziato a leggere i fumetti degli anni Ottanta e quindi…

E proprio nella stanza qui a fianco c’è Kelley Jones…

Esatto! Da lì si è un po’ scatenata la passione. Poi, quando avevo tipo undici anni, è uscito il primo film di Burton, quello del 1989. Da lì fu difficile non diventare fan di Batman. Lo trovavi dappertutto. E io avevo l’età perfetta per appassionarmi al film, alla saga e al personaggio. Guardando indietro, penso che sia stato quello il momento che mi ha fatto innamorare.

Il tuo è un Batman molto duro e tenebroso ma anche molto realistico, cosa che si adatta perfettamente al tuo stile di disegno. Credi che la tua versione del personaggio, di per sé un versatilissimo, sia questa?

Sì. Non capisco il senso di realizzare un fumetto senza un elemento personale conferito al personaggio e alla storia. Non c’è altro modo, io penso, per dare significato a quel che facciamo con il nostro lavoro, soprattutto quando siamo impegnati a ritrarre un’icona che ha ottant’anni di storie alle spalle. Bisogna dare una visione, un’interpretazione forte. Anche i miei lavori preferiti di altri disegnatori e scrittori, in generale, hanno sempre questa componente che li rende riconoscibili e che fa dei personaggi la loro versione: la loro visione personale.

E infatti stai lavorando con Brian Azzarello, che senza dubbio mette molto di sé, stilisticamente, come sceneggiatore. Ma tecnicamente come sono le sue sceneggiature? Perché la sensazione, leggendo “Batman: Damned”, è che tu goda di grande libertà.

Vero. Brian scrive con tutti in maniera molto aperta. Tra l’altro, con me, lavora in stile Marvel, realizzando solo il plot e lasciandomi costruire come voglio le tavole.

Non lo sapevo, ma ci avrei quasi scommesso. Quindi sei molto coinvolto anche nel racconto della serie.

Sì, anche perché fin dall’inizio abbiamo ideato la trama insieme. Per costruirla abbiamo anche investito molto tempo. Volevamo essere sicuri di dare vita a un prodotto molto particolare, e per fortuna fino a questo punto è andato tutto bene.

Ti piacerebbe scrivere le tue prossime storie? Hai in ballo qualche progetto?

Non per la DC. Non scriverò per una major. Questo sarà l’ultimo progetto lungo che porto avanti con personaggi di altri. Ho un paio di cose piccole nel mio futuro, ma altri progetti così lunghi e impegnativi li farò per me, nel mercato indipendente.

Avendo parlato di Batman, non posso che farti qualche domanda anche sul Joker, protagonista di una graphic novel tua e di Azzarello di qualche anno fa: senti di aver dato un’impronta forte al personaggio, anche su come viene utilizzato oggi nelle storie?

Forse. Non lo so. Faccio fatica a pensare a queste cose, perché penso sempre e solo a fare quello che devo. Quel che viene dopo, nei fumetti o anche nei film, magari sembra somigliare al mio lavoro, ma non so mai distinguere in maniera così netta. Vedo sempre anche altro, influenze di artisti, pezzettini di altri disegnatori. Quindi non è una cosa a cui penso tanto.

Qual è la caratteristica che nel tuo Joker doveva spiccare di più?

A me piace il Joker visibilmente pazzo. Oggigiorno capita di vederlo quasi raccontato come eroico, comprensibile. C’è chi si dimentica che è un maniaco omicida imprevedibile. Io e Brian, all’epoca, volevamo anche tornare un po’ alla versione più classica del Joker, metterlo sulla pagina in maniera che nessuno potesse fare il tifo per lui. Lo vedo come un cane rabbioso e malato.

Posso chiederti un parere sulle ultime versioni cinematografiche, che mi paiono molto, molto distanti da come lo vedevate voi in quella storia del 2008?

Parli del Joker di Jared Leto? Non mi è piaciuto per niente. Proprio zero. Ma del resto tutto quel film è stata una delusione molto forte.

Siamo qui a Como e sappiamo che hai un forte rapporto con l’Italia, dato che vivi qui da noi da diversi anni. Che rapporto hai, invece, con il nostro Fumetto?

Spesso mi trovo a dire che l’artista che più mi ha fatto effetto nella mia vita è Tanino Liberatore.

Davvero? Devo essere onesto, non l’avrei mai detto.

Sì. E poi, magari non che mi abbia ispirato, ma sono da sempre un amante di Sergio Toppi. E poi per me è un maestro vero Mastantuono. Per me lui è un grande assoluto.

Cosa ti ha colpito in particolare di Liberatore?

Negli States, da ragazzino, leggevo “Heavy Metal”, che era vietato ai minori ed era difficilissimo da avere. Per fortuna, nella città in cui sono cresciuto, ho conosciuto alcuni adulti facilmente corruttibili che me lo procuravano. Lì ho scoperto Manara, Liberatore, Moebius: il mondo europeo che mi affascinava.

“Ranxerox” per me era il massimo. Non potevo credere che qualcuno avesse realizzato quei disegni, la qualità di quelle tavole mi sembrava impossibile. Non potevo pensare che un essere umano le avesse prodotte con le sue mani. La sensazione era quella. Erano talmente belle che erano fuori dal mondo, per me.

Hai lavorato con tanti grandi sceneggiatori nella tua carriera, ma c’è qualcuno che manca alla tua lista e pensi possa essere adatto al tuo stile?

Soprattutto alcuni scrittori non di fumetti, ma che secondo me raccontano storie che sarebbero perfette per il mio stile e hanno un modo di raccontare che mi interessa molto. C’è Scott Silver, ad esempio, che ha scritto il film su Joker che deve uscire, “The Fighter” con Christian Bale e altri film. Spero proprio che potremo lavorare assieme. Ci conosciamo personalmente e spero che si riesca a farlo, perché ha una visione delle cose molto simile alla mia. A parte questo, non riesco a pensare a nomi in particolare. Ho talmente tante storie mie in mente in questo momento, e altre assieme ad Azzarello, con cui continuerò a lavorare sicuramente…

Sei un grande appassionato di Cinema: ti piacerebbe essere più coinvolto in quel mondo?

Un po’ sì. Ho fatto qualcosina. Ho collaborato al film “Justice League Dark”, che poi non si è realizzato, facendo character design e altre cose. Ho anche portato avanti alcuni progetti molto piccoli qua e là. Mi interessa molto, ma mi respinge anche un po’, perché magari fai tre settimane di lavoro e poi prendono pezzi di quel che hai prodotto separatamente…

Più mi occupo di altri ambiti e più mi appassiono di Fumetto. Qui ho molto più controllo sul prodotto finale, mi sento più libero e trovo che sia molto più pura come arte visiva.

 

Bermejo Claudio