Negli ultimi anni abbiamo avuto modo di leggere diverse biographic novel dedicate alle icone della musica. Edizioni BD, in particolare, ha dato ampio spazio a questa tipologia di Fumetto nella sua collana BD Rock, che ha presentato opere incentrate su pezzi di storia della musica come Janis Joplin e Ramones. Tra i volumi proposti dall’editore milanese c’è anche Last Goodbye – Un tributo a Jeff Buckley, scritto da Micol Beltramini per i disegni di Gea Ferraris.

 

 

In occasione del recente edizione 2019 di Lucca Comics & Games, abbiamo avuto modo di incontrare le due autrici allo stand di Edizioni BD, e questo è il resoconto della nostra chiacchierata:

 

Micol, Gea, benvenute su BadTaste.it!
Da dove nasce la volontà di raccontare la vita di una delle icone più sfortunate degli anni ’90?

Beltramini – “Last Goodbye” è figlio del mio amore per Jeff Buckley. Ero sedicenne e già ascoltavo la sua musica. Poi, all’improvviso, ho appreso della sua morte. Il suo decesso è stato molto particolare, avvolto da un mistero che ancora oggi non siamo riusciti a risolvere. Si è trattato di suicidio? O è stato un omicidio? Al momento della morte, in che condizioni era? Era lucido o sotto l’effetto di qualche droga? Non si è mai capito. Non ti nascondo che sono rimasta molto colpita da questo evento.

Qualche anno fa, Marco Schiavone mi chiese se volessi realizzare per la collana BD Rock [oggi BD Icon – NdR] una graphic novel a tema musicale. Ho subito deciso di accettare e ho scelto Jeff Buckley come soggetto. Ancora oggi, “Grace” resta uno dei miei dischi preferiti. Subito dopo, ho pensato a Gea Ferraris come disegnatrice. Avevo già avuto modo di ammirare il suo stile ed ero convinta che il suo tratto così delicato sarebbe stato adatto al tipo di storia che volevo raccontare.

Gea, ricevi la telefonata in cui Micol ti propone di lavorare a una graphic novel su Jeff Buckley: che reazione hai?

Ferraris – Ricevo questa telefonata e mi siedo, perché è stata una proposta bellissima, giunta in un momento della mia vita davvero azzeccato per questo genere di progetto, ovvero: lavorare con un’amica. Io e lei ci conoscevamo già da tempo grazie ad amicizie comuni, prima ancora di collaborare su “Last Goodbye”. Quindi, mi sono trovata nella condizione di dover approcciare un lavoro con un’amica, di cui amo lo stile di scrittura, su un personaggio che non conoscevo benissimo ma di cui che avrei sempre voluto approfondire la conoscenza. Sebbene ne sapessi poco, sono sempre stata incuriosita da questa figura, e ho pensato di farne una mia versione, dandogli un volto filtrato dalla mia arte. Sono stata travolta dall’amore di Micol per il personaggio, e credo che si avverta in ogni pagina di questo libro.

Quali sono stati i tuoi riferimenti nella realizzazione di quest’opera che, a differenza di tanti altri progetti similari, non tende a mitizzare il personaggio ma a presentarcelo il più possibile com’era realmente?

last-goodbye-un-tributo-a-jeff-buckley-copertina-di-gea-ferrarisBeltramini – La prima cosa che ho fatto è stata quella di non immedesimarmi in Jeff Buckley. Si tratta di una persona complicata, che forse soffriva di un disturbo bipolare della personalità e di cui sono emersi moltissimi racconti. Ognuno di questi ci restituiva un pezzetto della sua figura, quasi sfuggente per come fosse in grado di non lasciar emergere quasi mai il suo pensiero. Nessuno sapeva realmente tutto di lui, tanto che nella stesura di “Last Goodbye” ho dovuto fare una scelta importante, evitando di inserire episodi non preminenti, come il fatto che al momento della morte avesse tre fidanzate sparse per il mondo.

Non volevo assolutamente scrivere il “mio” Jeff Buckley, mi sembrava disonesto nei suoi confronti. Avendo a disposizione due biografie e diversi documentari in cui non era mai lui a parlare, ho deciso di frammentare le identità e raccontare il Jeff di ognuna di queste fonti. Solo alla fine mi sono lasciata andare a un confronto sulla mia idea e quella che traspare da questi racconti. Inoltre, questo metodo di racconto mi è sembrato funzionale, e ho deciso di portarlo avanti.

Tra le diverse voci che in questi anni hanno presentato Jeff sotto diverse luci, ho volutamente tenuto fuori solo quella di Gary Lucas [musicista che ha affiancato Buckley nella realizzazione di “Grace” – NdR], perché se avessi dovuto la mia su di lui mi sarei beccata una denuncia! [Ride]

Le tappe che hai scelto offrono una panoramica esaustiva su tutta la sua vita, sia la componente personale che quella professionale.

Beltramini – Esatto. Ogni personaggio è stato scelto perché potesse raccontare quel pezzo specifico della vita di Jeff, in ordine cronologico.

Quali timori ti hanno accompagnato durante la realizzazione di “Last Goodbye”? Hai mai pensato di rischiare di perdere la bussola e non riuscire a raccontare la storia come avresti voluto?

Beltramini – Sono stati diversi, vista anche la mia natura di maniaca compulsiva! [Ride] Aggiungici che era la mia prima opera lunga, quindi, per ovviare a questo aspetto, ho suddiviso la sceneggiatura in capitoli di dieci pagine. Avevo ben chiaro in mente cosa avrebbe fatto il personaggio dall’inizio alla fine di ognuno. Mi sono data dei paletti per riuscire a tenere tutto sotto controllo.

Altre paure specifiche non ne ho avuto, se non quella di essere denunciata dalla madre di Jeff Buckley! [Ride] Lei è molto presente e gestisce tutta la sua eredità. Anche per questo, ho deciso di raccontare la verità sul personaggio, e nel farlo ho deciso di utilizzare le parole di altre persone proprio per evitare di incorrere in qualche problema.

Il momento sicuramente più personale e sentito dell’opera è però il capitolo finale, dove ti smarchi da tutte le notizie ufficiali su Buckley per lanciarti in qualcosa di scevro da ogni vincolo.

Beltramini – È l’unica volta in cui uso in prima persona la voce di Jeff, in cui provo a immaginare la risposta che lui darebbe a tutte quelle domande rimaste senza risposta in questi anni. “Sì, avevo le chiavi in tasca, ma perché me le porto sempre dietro come portafortuna”, per fare un esempio. Ho risposto in chiave ironica a queste interrogativi che sono diventati quasi più importanti della sua stessa vita o musica. Per dire “continuate nella vostra esistenza e non vi soffermate su queste cose”. Durante un’intervista, a chi gli chiedeva “come vorresti essere ricordato?”, lui rispondeva: “Io non voglio essere ricordato, è la musica che deve esserlo”.

Non credo che avrebbe apprezzato tutta quest’attenzione attorno alla sua morte, così come non apprezzava il fatto di essere notato per la sua bellezza o per altri aspetti del suo carattere.

Puntare maggiormente sull’umanità del personaggio, anche andando a cercare episodi meno noti e più significativi della sua vita, è a mio modo di vedere la carta vincente della vostra graphic novel. Alla lunga, però, viene a mancare nel racconto un aspetto fondamentale della figura di Buckley: la componente musicale. Da cosa è stata dettata questa scelta?

Beltramini – Credo di aver comunque ripercorso tutta la sua storia discografica, toccando le principali tappe. Purtroppo, quando si fanno biografie di questo tipo c’è un problema che forse non tutti conoscono: nel libro non ci sono molte canzoni perché non possiamo citarle a causa del copyright. Al massimo, possiamo usare un verso, non di più. Questo comporta che devi giocartela bene quella possibilità, strutturando ogni scena al meglio.

In generale, avendo conferito questo taglio al racconto, ho preferito focalizzarmi non tanto sui musicisti che accompagnavo Jeff o sugli altri artisti che hanno collaborato con lui, ma sullo sguardo di chi aveva una visione più ampia e distaccata di quel particolare evento della sua vita. Prendo l’esempio di Gary Lucas che, dopo la morte di Jeff ha dichiarato a più riprese quanto fosse stato determinante per la realizzazione di alcune canzoni, andando decisamente oltre il suo reale merito. Ecco, non volevo situazioni del genere nel mio libro.

L’opera è in bianco e nero. Gea, hai mai pensato che, trattandosi di una storia legata agli umori del personaggio, potesse rendere meglio a colori?

Ferraris – È stata concepita in bianco e nero con sfumature di grigio perché ci piaceva dare un’area più crepuscolare al racconto. Abbiamo fatto delle prove e scelto questa soluzione. Per un periodo, era balenata l’idea di utilizzare il colore ma, visto che le tavole erano state concepite in questo formato, il risultato appariva un po’ artificioso. Effettivamente, il colore ci avrebbe permesso di giocare maggiormente con gli umori e con il carattere del personaggio, ma l’idea iniziale era quella, la reputavamo ottima e alla fine è uscito così, in scala di grigio.

Che tipo di lavoro preliminare hai fatto per arrivare a catturare in maniera così precisa e viva l’espressività dei personaggi che popolano “Last Goodbye”?

Ferraris – Prima di tutto sono contenta di esserci riuscita perché ho lavorato davvero tanto su quest’aspetto e mi fa piacere che traspaia, grazie! Dopo essere stata coinvolta da Micol sul progetto, ho guardato i documentari e tutto il materiale che ha fatto da contorno alla realizzazione di questo libro, così da avere un quadro generale ampio che mi permettesse di lavorare al meglio; soprattutto, per restituire la personalità, la gestualità e la recitazione dei personaggi stessi.

Micol, quali sono gli aspetti positivi e negativi di realizzare una biographic novel?

Beltramini – Tra gli aspetti positivi c’è il fatto che si tratta di una storia già avvenuta, di cui disponi di tutti i dati e sui quali devi solo lavorare. Poi ci sono degli aspetti negativi, quelli più di confine sui quali devi fare attenzione e che potrebbero compromettere il tuo racconto. Non dimentichiamoci che devi scegliere il taglio che vuoi dare alla storia, al fine di dare una forma precisa al tutto. Io mi sono trovata bene a lavorare su questo formato, mi piace raccontare biografie e credo che sia un genere di racconto su cui voglio continuare a lavorare prossimamente.

Dopo questa tua affermazione, non posso fare a meno di chiederti su cosa tu stia lavorando!

Beltramini – Non ti posso dire nulla perché è ancora tutto in fase embrionale, ma io ho già pronto un soggetto su un’altra icona degli anni ’90. Staremo a vedere!

 

Gea Ferraris, Pasquale Gennarelli e Micol Beltramini