La lettura di un’opera come London Calling è un’esperienza esilarante e allo stesso tempo formativa. Le disavventure dei due protagonisti, Andrea e Tommaso, nella capitale del Regno Unito rappresentano un perfetto vademecum per tutti quei ragazzi che vogliono intraprendere un viaggio di sola andata per andare a cercare fortuna a Londra. Parlare con Andrea Barattin è un’esperienza altrettanto interessante, una ragazza solare e positiva, piena di ironia e il sorriso sempre stampato sul volto. E la cosa più divertente è che proprio i luoghi comuni che vengono demoliti in questa graphic novel sono argomento delle prime battute scambiate con l’autrice.

Saltate, quindi, le considerazioni su tempo, clima e cose così passiamo a conoscere Andrea.

 

 

Ciao, Andrea! Benvenuta su BadComics.it. London Calling è il tuo ultimo lavoro che abbiamo avuto il piacere di recensire. Iniziamo col conoscerti, parlaci di te e della tua giovane carriera.

London Calling. copertina di Andrea BarattinGrazie a voi. Allora, posso dire che ho 29 anni e la mia passione per il disegno risale a quando ne avevo 4, cioè da quando ho iniziato a disegnare e mi sono ripromessa di diventare una fumettista. I mie primi amori sono delle vignette realizzate per delle raccolte a tema sull’erotico e il sesso. Successivamente mi sono trasferita a Londra e, tramite il mio blog, ho iniziato a realizzare dei raccontini su Londra, sulle esperienze quotidiane. Dopo circa un anno, Alessio D’Uva mi ha detto di iniziare a pensare a qualcosa da fare insieme e gli ho risposto che mi sarebbe piaciuto realizzare qualcosa sull’esperienza a Londra, trattandola come una guida. E questo è stato l’inizio di London Calling.

London Calling è edito da Kleiner Flug, interessante realtà editoriale fiorentina. Come sei entrata in contatto con loro?

Alessio l’ho conosciuto all’epoca della Scuola Comics a Firenze. In quel periodo si voleva realizzare qualcosa insieme, ma come spesso capita, finita la scuola ci siamo persi di vista. Successivamente, dopo aver visto le mie due pubblicazioni ci siamo detti che forse era finalmente arrivato il momento di collaborare. Inizialmente la mia preoccupazione era legata al fatto che il mio stile non fosse molto affine alla loro casa editrice, visto che loro trattano biografie, grandi autori e teatro, non opere umoristiche come la mia. Così è nata l’idea di fare una guida per allinearmi alle loro collane.

Una piccola curiosità sul titolo della graphic novel. Sei stata ispirata in qualche modo al brano dei Clash London Calling o è semplicemente una casualità?

Spesso mi capita di avere difficoltà a trovare il titolo per le mie opere, ne ho sempre tanti. In questo caso è stato il mio ragazzo (Tommaso) ad avermi ispirato, quando è venuto da me canticchiando la canzone dei Clash e ho detto “dai facciamolo”. In qualche modo è sempre lui l’ispiratore. Tra l’altro nella recensione sei il primo che lo dice, è stato lui che ha organizzato il viaggio a Londra, io non ho il coraggio di dire “guardate che io non ci volevo andare a Londra” [ride].

L’esperienza a Londra è stata riportata in un blog e, successivamente, inserita in un contesto più organico come questo romanzo grafico. Come è nata l’idea di questi primi racconti slegati e la trasformazione poi in qualcosa di più grande?

London Calling di Andrea BarattinIl blog lo avevo già da qualche anno, solo che non ci lavoravo tantissimo. A dire il vero anche ora dovrei lavorarci un po’ di più. A me piace tanto Zerocalcare, il fatto che racconti della sua quotidianità. Mi ritrovo nelle sue storie anche perché siamo quasi coetanei, quando parla dei cartoni animati anni ’80, ’90, io ci sono, li sento miei e… niente, mi sono detta che sarebbe stato bello fare qualcosa del genere. Non copiarlo, però. Raccontare delle mie esperienze, la mia vita. Sul blog non parlo solo di Londra, ho anche altre storielle mie, tipo la palestra o cose del genere. Quando Alessio ha approvato la mia idea su Londra ho pensato a qualcosa di particolare, non volevo che fosse la solita cosa tipo “io vado qua, io sono stata là eccetera eccetera”. Preferivo realizzare qualcosa in cui la gente si potesse riconoscere, sia chi ha già viaggiato sia chi ha intenzione di farlo o è in procinto di farlo e magari si sente terrorizzato.

Durante la lettura emergono due livelli di lettura: un primo giocato sull’ironia e il sarcasmo, il secondo, più profondo, che rimanda a un ragionamento sulla condizione allarmante dei trentenni, il loro futuro, gli sbocchi lavorativi. Quanto è importante per te l’ironia, la capacità di non prendersi troppo sul serio?

Guarda, io sono una persona abbastanza positiva, o comunque auto-ironica di mio. Anche quando mi succede qualcosa di male lascio andare, mi viene molto da riderci sopra. Quindi usare il sarcasmo e l’ironia mi è sempre venuto naturale. In alcune situazioni poi mi piace proprio prendere in giro sia i luoghi comuni che per luoghi comuni. Chi non mi conosce, all’inizio non sa come prendermi visto che tendo molto a ridere. Tornando all’opera, ci sono molte persone che all’estero si comportano come dei musoni, si prendono molto sul serio: per questo mi è piaciuto sfottere un po’ questa cosa dell’amico dell’amico dell’amico che ha il ristorante, tutta quella serie di luoghi comuni legati all’estro che mi è piaciuto prendere in giro. E alla fine, la cosa divertente, è che una volta lasciata Londra sono diventati anche i miei luoghi comuni e ci sono cascata anche io [ride].

Nella tua formazione quali sono gli autori ai quali ti sei ispirata o le letture che ti hanno in qualche modo influenzata?

London Calling di Andrea BarattinCe ne sono tantissimi. Io sono cresciuta con Topolino, mi sono sempre piaciute quel tipo di storie dotate di un’ironia molto intelligente. Ho sempre adorato Enrico Faccini e Silvia Ziche. Ho letto molti albi Sergio Bonelli Editore, quelli che leggeva il mio papà. Poi Linus, Frigidaire… Andrea Pazienza per anni è stato come un guru per me. In campo internazionale ti dico Calvin & Hobbes, Peanuts, l’umorismo a strisce mi è sempre piaciuto tantissimo, tant’è che anche io per un periodo ho fatto strisce sul blog Balloons, incentrate sulla figura di una studentessa universitaria, il suo futuro, se troverà o meno un lavoro.

Una tematica, questa della crescita e delle aspettative per il futuro, che sembra seguirti sin dagli esordi.

Sì, anche perché è un modo per prendere in giro me stessa. Sono tante le persone che si lamentano per il fatto di non trovare un lavoro. Io poi sono anche fumettista [ride].

Spostandoci sul versante grafico, a che punto sei della tua maturazione artistica? Pensi di aver ormai trovato un tuo stile o sei ancora alla ricerca di qualcosa che possa permetterti una maggiore libertà espressiva?

Anche in London Calling ho mantenuto lo stesso approccio al disegno dei primi due libri che ho realizzato, sempre disegnati con Photoshop. Dopo London Calling, invece, sto pensando a un altro fumetto dallo stile completamente differente e fatto tutto a mano. Non mi piace l’idea di fermarmi a un solo stile, almeno per adesso ho voglia di sperimentare ancora un po’ e quindi continuerò a evolvere.

A questo punto, visto che l’hai citato tu, parlaci dei progetti che hai intenzione di portare avanti.

London Calling di Andrea BarattinQuesta è un’idea che mi è venuta qualche anno fa, ma alla scuola Comics di Firenze ancora non avevo gli strumenti adatti per realizzarla. Adesso mi sento pronta e abbastanza matura per iniziarla. Un paio di settimane fa siamo stati a Barcellona quattro giorni e lì mi è venuto in mente di raccontare un po’ di viaggi. Non trattando il tema del trasferirsi in un posto, bensì il visitare un tot di posti all’anno e poi raccontarli tramite il fumetto. Sempre una sorta di guida ma anche qualcosa di completamente differente. Non so se lo pubblicherò ancora per Kleiner Flug, visto che non è qualcosa che loro trattano, e poi Alessio ha detto che non mi vuole più [ride].

Oggi sei a Valencia. Dal tuo punto di vista privilegiato di osservatrice esterna come vedi e vivi la scena fumettistica italiana?

Non saprei dirti, non essendo lì in Italia è difficile da dire. Nel periodo in cui sono stata a Firenze, quello che mi colpiva era vedere come non solo nelle fumetterie ma anche nelle librerie sempre maggiore spazio veniva concesso ad autori di fumetti italiani e internazionali. Frequentando le ferie come Lucca vedi sempre più gente incuriosita sugli autori con voglia di leggere e conoscere. Internet ha avuto un ruolo importante, secondo me è una gran cosa per un fumettista. Può rappresentare un’importante rampa di lancio anche se tanti non apprezzano molto la novità. Dà molta visibilità. Il fatto che molte persone si propongano tramite Facebook ti permette anche di conoscere tante artisti nuovi che magari vuoi seguire. Tranne quando poi postano disegni bellissimi che avresti voluto fare e ti ammazzeresti quasi [ride]. Nel momento in cui trovi qualcuno che ha la tua stessa passione e si crea il giusto feeling, allora leghi di più, come è successo con me e i ragazzi di Kleiner. Se fossi ancora in Italia sicuramente sarei più vicina a questi ambienti, a persone così, capaci di dare consigli ma anche di chiederli.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

London Calling di Andrea BarattinC’è l’organizzazione Bellunesi nel mondo che dovrebbe commissionarmi due fumetti sull’immigrazione. Bisogna vedere se ci sono i fondi e poi possiamo procedere. Poi c’è il fumetto di cui ti parlavo prima, che credo mi prenderà un bel po’, si tratta di qualcosa che ho in mente da un paio d’anni. È un’opera un po’ per tutti che parla di una bambina, ma non è per bambini… meglio fermarsi qui altrimenti ti incasino la mente. Prendendola alla larga, abbastanza alla larga, è un po’ alla Calvin & Hobbes, vari racconti con diversi personaggi, sempre umoristico e lo possono leggere tutti, è una storia un po’ intima.

Avrà un taglio autobiografico come London Calling?

Non proprio. Diciamo non direttamente. Però qualcosa ci sarà, perché in fondo quello che scrivo sono io e difficilmente inseriamo qualcosa che non sia successo, mettendoci sempre del nostro. E poi c’è quello ispirato ai viaggi, ma prima devo viaggiare.

In chiusura, cosa significa per te raccontarsi?

Oddio, nessuno mai me l’ha chiesto. Non saprei, è una cosa che più o meno ho sempre fatto anche se non me ne rendevo conto, per cui mi chiedo sempre se so farlo o meno, se posso stufare. Non voglio cadere nel classico diario in cui parlo solo di me. Raccontarmi quindi può essere anche un esorcizzare le paure, non solo le mie ma anche quelle degli altri. Magari quando dici qualcosa che ti fa paura, un altro può ritrovarsi in ciò che dici e si sente meno solo. Come molti youtuber hanno iniziato a fare adesso e trovano molto consenso dal pubblico che vive gli stessi stati d’animo. Sin da piccola ho avuto tanti diari che riempivo quotidianamente. Parlare di te agli altri è difficile. In fondo tu racconti te stesso, della tua vita, fai capire come sei fatta.

London Calling di Andrea Barattin