I 10 film del 2017 che più influenzeranno il cinema di domani

Gabriele Niola

1 Gennaio 2018 18:16 · aggiornato il 1 Gennaio 2018 alle 18:30

Un Appuntamento Per La Sposa Non ci sono dubbi che questo sia il film meno prevedibile di tutta l’annata. Chi aveva visto La Sposa Promessa sapeva già che Rama Burshtein non è scrittrice e regista di commedie sentimentali, ma una menta sveglia e polemica. Un Appuntamento Per La Sposa però è una magnifica truffa, un film che si propone come il massimo della leggerezza fin dall’intreccio (una donna ebrea viene lasciata poco prima del matrimonio e visto che tutto è ormai organizzato, decide che si sposerà comunque, deve solo trovare qualcuno con cui farlo in tempo per la cerimonia) e che lentamente scivola in una tensione altissima, uno sforzo di cinema d’autore che agisce sulle strutture e le trame di quello commerciale, per piegarlo fino a fargli prendere nuovi significati, costringendolo a riflettere su ciò su cui non ha mai voluto fare un pensiero serio. Una storiella di matrimoni in forma di commedia che diventa con il suo incedere un vero film d’autore capace di riflettere sul ruolo del matrimonio in certe culture e come prema contro le donne.
John Wick/Atomica Bionda L’action movie americano, da Matrix in poi, aveva deciso di coreografare tutta l’azione aiutandosi con la computer grafica, di importare le arti marziali e i coreografi di arti marziali asiatici per creare qualcosa tra la loro passione per gli stunt reali e quella americana per la post produzione. Ora dopo che il meteorite The Raid è piombato nelle sale, lentamente, qualcosa sta cambiando di nuovo. John Wick (il primo) lo ha annunciato e quest’anno il suo sequel come anche Atomica Bionda (diretto dallo stesso regista del primo John Wick) lo stanno confermando ma più in grande: può esistere un cinema action americano tutto stunt veri e lunghi piani sequenza, in cui ad esaltare non sia tanto la passione per l’esagerazione ma l’eccitazione di un gesto atletico compiuto realmente, l’impressione del movimento e della coreografia eseguita ad alta velocità. Un cinema tecnico, formalmente pazzesco e contenutisticamente duro.
L'Insulto Cinema mediorientale con know how americano. Ziad Doueiri si è formato in America ed è tornato in Libano per girare un film che riesca a raccontare la situazione del proprio paese attraverso la gabbia del cinema commerciale statunitense. Legal thriller ad alto tasso di coinvolgimento, ma anche cinema in cui è impossibile capire chi abbia ragione, come ha fondato Asghar Farhadi. Proprio muovendosi da quello che è l’autore di maggior successo internazionale proveniente dal Medio Oriente, L’Insulto annuncia una nuova era per quei film, nuove possibilità narrative per terre di conflitti insanabili che il cinema ha sempre scelto di raccontare tramite con il dramma invece che tramite il genere.
Brawl In Cell Block 99 Al di sotto di ogni radar, utilizzando star di medio livello senza fare di questo un punto di forza, puntando su titoli anni ‘70 e svolgimenti duri e puri, c’è un cinema di genere americano in piena rinascita, uno che ha preso dall’Europa la rarefazione a cui qui sono giunte le storie poliziesche, per rilanciare il western come il cinema di carcere.

In tutto questo S. Craig Zahler da almeno 3 anni è in prima fila.
Il Mio Godard Il cinema che parla di cinema, sia in forma documentaria che non, è una delle novità più in crescita degli ultimi 15 anni, Hazanavicius tenta però il triplo salto mortale: fare una valutazione critica molto precisa e tagliente sul mito dei miti, Jean Luc Godard, tramite la comicità, mettendolo in ridicolo.

Come aveva celebrato il cinema muto con The Artist qui demolisce il cinema di Godard (almeno una parte di esso) tramite una parodia dei suoi film, incentrata tutta sul momento in cui Godard stesso (a parere di Hazanavicius) ha scelto la politica invece del cinema e ha finito la sua carriera di regista realmente innovativo. Il Mio Godard parte dai resoconti della sua ragazza dell’epoca e si permette il gesto iconoclasta più forte di questi anni: fare di un mito intoccabile uno zimbello proprio per quello per cui è ritenuto un mito intoccabile, cioè il suo impegno politico.

Sarebbe bello pensare di avere davanti a noi più film con questo scarso timore del sacro e questa sana voglia di mettere in discussione.
Baby Driver Ce la farà Edgar Wright a cambiare la maniera in cui viene montato il cinema hollywodiano? È dal 2001 che sta portando avanti una placida rivoluzione che ha pochissimi seguaci, fondata su una diversa concezione del montaggio. Baby Driver è quasi uno studio su come sonoro e visivo possono sposarsi in maniera diverse, più armoniose e interdipendenti. Un film manifesto quasi, uno che sceglie la radicalità come proprio biglietto da visita e caratteristica fondamentale.
Jupiter's Moon È questo il futuro del cinema da festival? Il cinema di genere è sempre di più il cinema d’autore, lo ha dimostrato Cuaron, lo ha confermato Villeneuve e quest’anno anche Jupiter’s Moon aveva un posto in concorso a Cannes. Forse finalmente abbiamo superato la vecchia distinzione e possiamo accettare che svolgimenti fantastici siano materia per i cineasti migliori (del resto è questo l’anno in cui un film di mostri ha vinto il Festival di Venezia).
Split È finita l’epoca del western, quella dei noir e quella dei melodrammoni. È evidente che prima o poi finirà la grande era dei supereroi al cinema, ma prima che questa finisca dovrà sicuramente trasformarsi, diventare altro e lentamente mutare. Quella indicata da Split è una delle possibili strade che il cinema di supereroi può prendere, diventare qualcosa di paradossalmente realistico, uscire dalla fantastico spinto ed entrare in tutti i generi, diventare una serie di storie sugli uomini straordinari, le eccezioni. E M. Night Shyamalan, che girava in questo mondo già da Unbreakable, può avere un ruolo in tutto questo.
Gatta Cenerentola Qualcosa come Gatta Cenerentola non c’è mai stato nel cinema italiano. Non solo perché la nostra animazione (che pure è sempre stata una produzione esigua) non ha mai voluto affrontare trame e personaggi complessi e adulti, ma perché non siamo mai stati capaci di lavorare seriamente sulla fantascienza. Questo lungometraggio d’animazione, giustamente passato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia (quella dedicata al cinema innovativo), invece crea un mondo di fantascienza e, nella stessa maniera di Lo Chiamavano Jeeg Robot, nel farlo non dimentica di radicare la storia nella nostra tradizione, di usare le nostre figure tipiche e di lavorare tanto sul fantastico, quanto sul reale. Il risultato è forse la prima storia di fantasia italiana in cui il fantastico e il tecnologico, il futuro e l’impossibile, si fondono per dire qualcosa di umano.
A Ghost Story L’anno scorso anno The Witch l’aveva annunciato, ora A Ghost Story in una strana maniera lo conferma: l’horror sta sconfinando e diventando una maniera di raccontare tutti i tipi di storie.
C’è pochissima paura in questa storia di un fantasma, c’è un filo di ironia nel fatto di proporre lo spettro con un lenzuolo con due buchi all’altezza degli occhi, e c’è una buona dose di audacia narrativa nel creare una specie di mitologia parallela che parte da ciò che popolarmente si crede sui fantasmi, per aggiungergli qualche forzatura personale con uno scopo che è solo romantico.
Formalmente raffinatissimo, attentissimo alla pulizia di suono e immagine, è un film che una volta non avrebbe dovuto flirtare così tanto con le tematiche di paura e invece, in questi tempi in cui solo l’horror pare consentire storie originali, lo fa.